Era il 23 Giugno del 1959 quando Vernon Sullivan uccise Boris Vian. Lo fece silenziosamente, come un infarto, una morsa letale che stroncò definitivamente la carriera dello scrittore, jazzista e qualcos’altro. Ma quella non fu la prima volta. Nel 1946, in una Francia avvezza alle ultime tendenze letterarie americane, soprattutto in fatto di romanzi hard boiled, comparve nelle librerie parigine un romanzo strano: J’irai cracher sur vos tombes. Crimini efferati, violenza carnale e sesso depravato, questi furono gli ingredienti del racconto, miscelati sapientemente, con eleganza ad uso de’ giovinetti. Vernon, che un giorno di luglio del ’46, per caso incontrò l’editore Jean d’Haullin, non lo conosceva nessuno. In realtà le uniche notizie che abbiamo su di lui, le riferisce Vian stesso quando scrive la prefazione al romanzo. Nero dalla parte dei neri, ma non di quelli “buoni”, ai quali i bianchi danno pacche affettuose sulle spalle nella letteratura, ma dalla parte dei “duri”, coloro che hanno il coraggio di fare le stesse cose che fanno i bianchi. I contatti presi da Sullivan con gli editori americani non avevano lasciato alcun spiraglio per la pubblicazione del romanzo nel suo paese, ed è proprio per questo che egli decise di attraversare l’oceano.
Ma, Sputerò sulle vostre tombe è anche la storia di una scommessa tra Vian e d’Haullin, che nello stesso giorno di luglio del ’46, dibattevano circa la nascente letteratura americana di genere pulp. Probabilmente Boris, divertito e stimolato, scommise con il suo editore di essere in grado di scrivere un libro di quel tipo, meglio degli americani e in soli quindici giorni. Come poteva un editore rifiutare quest’offerta? Fu così che dopo poco tempo Vernon, Boris e Jean si ritrovarono seduti in un caffè parigino, tra jazz e patafisica, e decisero di attuare un’efficace e scandalosa strategia, nessuno avrebbe dovuto scoprire che Sullivan e Vian fossero connessi, opposti, insomma, la stessa persona. In brevissimo tempo il romanzo vendette migliaia di copie. Tutti ne parlavano, e tutti si chiedevano chi fosse questo Sullivan, autore fino ad allora sconosciuto. La borghesia della quarta repubblica francese, bohemien, ricercata, snob, avrebbe dovuto indignarsi per un autore straniero che usava la Francia per pubblicare un libro osceno, oppure trastullarsi del mistero creatosi attorno al romanzo e alla sua storia dannatamente americana? Fece entrambe le cose. Vian aveva generato sia un capolavoro letterario che una efficacissima strategia di marketing.
Il libro venne vietato e ritirato da ogni libreria, Vian fu costretto a svelare la magia e confessare che in realtà Vernon Sullivan era egli stesso, venne processato e condannato per oltraggio alla pubblica morale. Un successo commerciale, un racconto osceno, un’opera letteraria magistrale, un oggetto censurato, bruciato e riabilitato. Censura polivalente, quella attuata sull’opera di Vian, dapprima oscurantista, un decennio dopo funzionale al commercio. Dal romanzo, l’industria di Hollywood volle realizzare un film, un’opera industriale, ben lontana dall’originale. Vian chiese insistentemente di togliere il suo nome e il nome del romanzo dai titoli d’apertura del film, ma senza successo. L’opera oscena fu così riabilitata a nuova vita, ma a quel punto, non era più nulla. Chissà se Boris Vian pensò a questo mentre era nella sala privata in cui trasmettevano il film, suonando, con la sua tromba, un requiem per la sua opera americana divenuta più americana, mentre Vernon Sullivan lo trascinava per sempre verso l’ultimo pensiero disponibile, verso la più immaginaria di tutte le soluzioni, verso la morte.
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