Poco più di un anno fa, Milano saliva alla ribalta internazionale dando il via ad EXPO e scegliendo, quale tema da sviluppare nella sua edizione, quello del cibo e dell’alimentazione per il mondo.
Un obiettivo di altissimo prestigio, ma anche di notevole astrattezza se non sostenuto adeguatamente da atti concreti. Tra questi atti, figurava anche l’elaborazione di una carta – la Carta di Milano – la quale avrebbe dovuto impegnare i firmatari al rispetto di alcuni principi guida in tema di giustizia alimentare e doveva rappresentare il contributo italiano e di Expo, alla discussione intavolata dall’ONU sui cosiddetti obiettivi del millennio. Ma ad un anno di distanza, al netto delle chiacchieratissime code al padiglione del Giappone e dei selfie di fronte all’albero della vita, cosa resta di quegli ideali ed obiettivi posti da Expo? La carta di Milano, ha fatto il suo corso e completato il suo iter, raggiungendo, come previsto, il segretariato delle Nazioni Unite immediatamente dopo la conclusione della chermes milanese.

Discussione finalizzata alla elaborazione della Carta di Milano. “Expo delle idee”, 7 febbraio 2015, Milano.
Il suo testo, che nello specifico impegnava, tra gli altri, i governi nazionali e le imprese a porre in essere tutte le iniziative necessarie a contrastare la fame, si componeva di quattro sezioni specifiche (diritti, impegni, consapevolezze, affermazione finale) nelle quali i firmatari, che potevano essere cittadini comuni, governi imprese o qualsiasi altro ente collettivo, si riconoscevano nell’impianto di base della carta, rifiutando le diseguaglianze alimentari e gli sprechi, ed impegnandosi di conseguenza a fare il proprio per ridurre tali situazioni. Così, a ciascun soggetto spettavano specifici obblighi: i cittadini si impegnavano ad esempio a consumare il cibo razionalmente, evitando gli sprechi sia di acqua che di cibo e a scegliere questi ultimi consapevolmente; le imprese si impegnavano ad investire nella ricerca, a produrre cibi sani e sicuri adempiendo gli obblighi di informazione. Mentre ai governi e le istituzioni spettava l’impegno a promuovere normative positive sul tema e politiche di protezione del suolo coltivato, che eliminassero i rischi di uno sfruttamento eccessivo nonché una maggiore attenzione a promuovere percorsi di educazione alimentare.
La Carta, si concludeva infine con una affermazione di principio, tanto forte quanto rischiosa dal punto di vista della sua concreta fattibilità: “noi ci impegniamo ad adottare i principi e le pratiche esposte in questa Carta di Milano, coerenti con la strategia che gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno elaborato per sradicare il problema della fame entro il 2030”.
Obiettivo impegnativo, almeno ad un primo sguardo, data l’incessante decrescita economica che coinvolge ed attanaglia sempre più popolazioni ed il notevole ampliarsi di conflitti che nel migliore dei casi, cioè quando non portano morte, portano quantomeno carestie e fame. Tuttavia, anche senza andare troppo lontano, non sembrano ancora scorgersi gli effetti di una vera presa di coscienza ed in particolare di quella presa di coscienza che, quell’impegno così ingente testimoniato dalla Carta di Milano, avrebbe dovuto provocare, in particolare nei governi nazionali e nei cittadini: a cominciare proprio da noi italiani che pure abbiamo, in massa, preso parte ad Expo.
Ciò che è mancato, è stata la presenza di azioni concrete da parte del governo e dei cittadini, soggetti senza dubbio più vicini a quelle situazioni di emarginazione sociali. Sembrano dunque, sotto la scia coprente dei lustrini e delle chiacchiere legate alla manifestazione globale, essersi perse le tracce di un vero percorso di mobilitazione sociale sul tema alimentare, che avrebbe dovuto essere adeguatamente sostenuto anche una volta spente le luci, affinché si potesse davvero parlare di un impegno concreto. Ed invece, pare che l’unico segno tangibile, lasciato da quell’ ingente manifestazione globale, sia limitato al Refettorio Ambrosiano, nato proprio da EXPO, quale punto di assistenza ai poveri e che ancora continua nella sua attività di ricezione del cibo in eccesso a diversi enti della città così che questo possa essere riutilizzato per sfamare chi non ha alcun pasto. Ad oggi, non sappiamo se l’impegno affermato all’interno della Carta possa davvero raggiungersi nel termine indicato o se invece ci vorrà qualche tempo in più affinché questo secolare problema possa dirsi risolto. Ma si può essere certi che, al netto di ciò che poteva essere e non è stato, per vincere una battaglia è necessario quantomeno partire da piccoli gesti concreti e da idee e valori molti chiari, proprio come chiari sono gli obiettivi lasciati in eredità da Expo. In una sfida globale che deve coinvolgere tutta l’umanità tanto nei piccoli gesti quanto nelle iniziative di portata più ampia e vasta.

Il Refettorio Ambrosiano. L’eredità tangibile lasciata da Expo 2015.
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