Ma che ce frega ma che ce ‘mporta , se l’oste ar vino c’ha messo l’acqua…
Duemila anni fa, proprio come oggi, eravamo una società di magnaccioni.
I banchetti romani sono passati alla storia come occasione proverbiale di volgarità, di comportamenti disdicevoli, se non addirittura disgustosi e di eccessi di ogni tipo. Nell’ età repubblicana, però, i banchetti erano legati alla pratica religiosa del sacrificio, occasione pressoché unica di consumare carne per i romani delle origini. Solo a seguito della diffusione degli usi ellenistici e orientali e della disponibilità di una maggiore varietà di cibi, che i banchetti dispendiosi conquistarono i romani. In realtà i romani che contavano, ovvero il 2 % della popolazione. Senatori, politici, oratori, i quali approfittavano della giovialità dei banchetti proprio per stabilire alleanze politiche o accaparrarsi simpatie di vario genere. Il 98% della popolazione, ahimè, si accontentava di un pasto frugale.
Il banchetto, dunque, aveva un’indubbia funzione sociale. I romani di ceto medio-alto erano ogni sera a cena da qualcuno. Generalmente l’invitato poteva portare con sé un accompagnatore, anche di ceto inferiore. Questi erano chiamati ombre ( umbrae ) e venivano fatti sedere su bassi sgabelli di letto tricliniare. Era inconcepibile qualsiasi mescolanza sociale sui triclini. A questo proposito Giulio Cesare faceva preparare due triclini separati, dove disponeva i suoi invitati secondo il rango. Ma mentre Cesare faceva servire le stesse pietanze a tutti indistintamente, più tardi, con la piena età imperiale, si diffuse il malcostume di trattare diversamente i commensali a seconda della loro importanza.

Metropolitan Museum -Triclinio Romano e Poggiapiedi originali.
Periodo Imperiale, I / II Sec. d.C.
La sorte peggiore che molti temevano era mangiare da soli. A tal proposito, Marziale scrive all’ amico Toranio:
«Se ti affligge una triste cena solitaria, puoi sempre venire a morire di fame da me!».
La cena era il pasto principale della giornata e alcune, come le cene di Trimalchione, si protraevano addirittura fino all’ alba. I convitati si recavano prima alle terme, poi raggiungevano la sala da pranzo (il triclinio) dove ci si dava ai bagordi. Una moltitudine di vini e cibi, dall’antipasto al dolce, si arrivava persino a consumare sei portate.
Seneca scriveva:
«Vomitavano per mangiare, mangiavano per vomitare».
Più ci si inoltra nell’ età imperiale, più ci si accorge di come l’ostentazione della ricchezza passa attraverso due strade, i palazzi sempre più grandi e i banchetti strabordanti di leccornie. Quanto più piene erano le pance, tanto la moralità raggiungeva il fondo. Il vino circolava liberamente e il comportamento ne risentiva. Di rado le mogli venivano portate ai banchetti e mai le figlie adolescenti.
Varrone aggiunge nelle Satire Menippee:
«Si tenga lontana la vergine dal banchetto, perché i nostri avi non vollero che le orecchie delle ragazze non ancora mature per il matrimonio si imbevessero del frasario di Venere».
Oggi, invece, si può dire che ci sia stato un rovescio di classe. L’aristocratico moderno mangia come se non avesse fame e il povero sembra più simile ad un vecchio senatore dell’età imperiale.
Pe falla corta, pe’ falla breve, mio caro oste, portace da beve!
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