CULTURA

Stefano D’Arrigo: Horcynus Orca

Si era posato nel tramonto, in quel momento di verità della sua vita, perché per nessuno, come per uno spiaggiatore, il tramonto sembra cadere ogni volta non solo sul giorno breve di ore, ma su quello lungo della vita. E per lo spiaggiatore dev’essere ogni volta come trovarsi in punto di morte e ricordarsi del tempo vissuto, a rivedere tutta la propria vita, come se il mare gliela rovesci, ondata su ondata, lì davanti, sulla riva, anni e anni, fra scoppi di spume che durano attimi. E non ha con chi parlarne e dev’essere questo il morire dello spiaggiatore: cancellato dal mondo come le sue impronte di piede su cui sbava il mare, sperso per l’eternità nel silenzio tonante del mare. E quando, per avventura, gli capita di abboccarsi, proprio a quell’ora, con qualcuno, un marinaio per esempio, lo spiaggiatore parla, parla della sua vita vissuta e di quella anche non vissuta, non solo del vistocogliocchi reale, ma anche di quello immaginato: per intrigliarsi con quella vita che non visse, arriva a fare carte false, inventa deisse e incantesimi, diventa menzognaro; è vecchio e sfantasìa di cose che non conobbe mai, come un muccuso di cose che non conobbe ancora, si fa insomma furfantello di una vita che non visse, come si fa furfantello di una morte che ancora non morì.

[Stefano D’Arrigo, Horcynus Orca (1975), Rizzoli, Milano 2003, pp. 113-114]

 

La nuda parola, la profonda e inquieta forma, il fluire turbinoso della più intensa bellezza e la permanenza del classico e del monumentale: Horcynus Orca è forse uno dei romanzi più rappresentativi del pensiero esistenziale del Novecento, un poema epico moderno affascinante e vorticoso.

Il corpus dell’intreccio si sviluppa complessissimo in un oceano di parole e sensazioni, accompagnate da un linguaggio innovativo e sperimentale.

È la lingua stessa, la parola, ad essere posta al centro dell’espressione poetica di D’Arrigo. Un nuovissimo tessuto linguistico ed espressivo, che prende forma e si addensa in tutta l’opera attraverso un’operazione meravigliosa di armonizzazione di più lingue. Il lettore, in un romanzo che racconta vicende di mare e di morte, si ritrova a navigare fra le parole vivedi una neo-lingua che ha radici filosofiche, composta dall’intonazione del dialetto siciliano con l’italiano comune e con quello letterario e colto.

Queste strutture linguistiche non collidono fra loro, il testo è una perfetta armonia delle parti, un tutt’unodenso e autosufficiente: le parole sono private della forma e divengono materia, realtà concreta e visibile, marasma sensoriale. Sull’estetica del linguaggio D’Arrigo stesso fornisce dettagli illuminanti in un’intervista rilasciata nel 1985:

«Ho costantemente cercato di fare coincidere i fatti narrati con lespressione, la scrittura con locchio e con lorecchio, rifiutando qualunque modulo che mi apparisse parziale, astratto o intuitivo, cioè non completo e assoluto. Non ho rinunciato a nessun materiale linguistico disponibile perché sono partito dallobiettiva sicurezza che i luoghi della mia narrazione – luoghi topografici ma soprattutto luoghi del testo – restino un fondamentale punto dincontro e filtraggio delle lingue del mondo. Naturalmente, ogni volta che ho adoperato neologismi o semantiche inedite mi sono preoccupato di fornire immediatamente il corrispettivo metaforico, di scrivere, riscrivere, rifondare il periodo e mirareil vocabolo finché non giudicavo davere raggiunto lespressione completa: fino al momento in cui guadagnavo la certezza che il risultato ottenuto fosse quello giusto e definitivo, che la totalità lessicale, sintattica e semantica fosse realizzata, che, sulla pagina finita, la scrittura parlasse».

La dilatazione del flusso narrativo può disorientare il lettore, che in questa piacevolissima navigazione, si ritrova improvvisamente immerso in un oceano oscuro, spesso insolcabile, anche a causa della particolare struttura topograficadell’opera.

Non vi è una scansione in capitoli, la narrazione è un unicum quasi indivisibile in tutte le sue 1080 pagine. Il racconto apre il sipario sulle condizioni universali dell’animo umano, il mare diviene scenario di vita, sostanza e forma al tempo stesso, un vorticare eterno e intensissimo di sensazioni, una seminale storia d’amore, di guerra, di morte, di catarsi e perdizione. Nei luoghi più bui e luminosi della materia umana il lettore non si ritrova a vivere una semplice lettura del testo, ma, nel momento in cui ha di fronte l’opera, partecipa attivamente agli eventi, annulla la propria identità fino a configurarsi egli stesso come materia raccontata. Dagli abissi cupi e sanguigni dei flussi di coscienza, alle descrizioni meravigliose e poetiche, Horcynus Orca si impone con insuperabile e quieta grandezza come un vero e proprio epos moderno; e come uno dei più straordinari romanzi mai scritti. La grandezza di Stefano D’Arrigo, che nel lavoro di una vita ha regalato al pensiero umano un’opera di tale valore, non può che sorprendere e lasciare senza fiato.

Francesco Andriano

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