CULTURA

GARÇONNIERE E BOUDOIR. TRA LE VIE DI UNA PARIGI DI FINE ‘800

Immaginate di vivere nella Parigi del 1890. E immaginate di  passeggiare nel quartiere di Pigalle tra il Moulin Rouge e il teatro del Grand Guignol. Quali e quante sarebbero le tentazioni che potrebbero rapire la vostra anima? In un turbinio di colori, luci rosse, profumi da quattro soldi e grottesche prostitute, potreste essere alla ricerca di nuovi e sconosciuti piaceri.

Henry de toulouse Lautrec

Locandina di Henry de Toulouse-Lautrec

Potreste conoscere Henry de Toulouse-Lautrec, assiduo frequentatore di Pigalle, oppure qualche ballerina del Moulin Rouge come Louise Weber.  Probabilmente questo era lo scenario che si apriva davanti agli occhi di giovani uomini spostati, borghesi, ricchi, aristocratici, che quotidianamente, incuriositi dal gusto del proibito, camminavano per questo inconsueto quartiere parigino. Molto spesso erano gli stessi uomini che proprio nel quartiere di Pigalle affittavano dei comodi ed economici Garçonniere. Questi non erano altro che appartamenti da scapolo, destinati ad incontri amorosi. La maggior parte delle volte gli affittuari o i proprietari, scapoli non erano, e utilizzavano questi locali per incontri amorosi extraconiugali o che, comunque, dovevano rimanere taciuti. Gli esponenti dell’alta borghesia parigina erano soliti innamorarsi per lo più delle attrici o delle ballerine dei cabaret, che da sotto le loro ampie gonne da can-can, mostravano tutte le loro grazie e virtù. Quanti i pied en l’air che hanno fatto perdere la testa a molti uomini d’onesta famiglia? Quante le storie che le mura delle garçonniere potrebbero raccontare? La garçonniere identificava dunque un luogo segreto in cui nessuno abitava, semplicemente destinato a passare del tempo in piacevole compagnia delle amanti. Le garçonniere sono passate alla storia come il risultato di tutti i miti libertini che possiamo immaginare. Film, romanzi, telefilm rinnovano in noi il ricordo di una belle époque ormai passata, tra amori segreti e sconvolgenti nudità dell’anima.

Ma se da un lato abbiamo queste garçonniere, dall’altro abbiamo anche la controparte femminile, i boudoir, le camere da letto agghindate e grondanti di sensualità delle femme fatale.

Tra la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento, si diffonde il mito della Femme Fatale, ossia della donna quale oggetto del desiderio, di un desiderio quasi malefico, che reca con sé, sotto parvenze ammalianti, distruzione e sconvolgimento. Le pagine dei romanzi, le immagini della pittura e della scultura abbondano di questa tematica: un ossessivo e ricorrente richiamo ad demone che si cerca di esorcizzare. O almeno questo è ciò che gli uomini credono di fare. Molti sono i nomi e le femme fatale: esotica, bruna e beffarda come le incarnazioni di Von Stuck, oppure fiammata nei capelli ed esangue come le nordiche sfingi di Khnoppf. Fatto sta che la loro parola d’ordine era il piacere, un piacere ricercato e quasi aristocratico. Un piacere che raggiungeva l’apice proprio in camera da letto, arredata con gusto fine e ricercatezza, quasi ossessiva, dei particolari. Dobbiamo però considerare il boudoir come un naturale riflesso della sensualità femminile e della cura del proprio corpo, della propria bellezza. Possiamo quasi definirlo come un eccesso di civetteria femminile, dove la donna si circondava di tutte le cose che riuscivano a darle piacere, non ultimi gli uomini. Come diceva Simone de Beauvoir ne Il secondo sesso, “tutto ciò che è femminile è frivolo, infantile e irresponsabile”. Questo rende l’idea di quanto il boudoir fosse un capriccio tutto femminile. Bene si comprende, quindi, quanto fosse importante per una donna invitare un uomo nei propri spazi più intimi, nelle proprie camere da letto. E proprio il boudoir era un’arma di seduzione oltre al corpo e all’avvenenza femminile. La donna diveniva vera e propria componente dello spazio del boudoir, e questo si completava in lei, in una simbiosi erotica senza precedenti. Immaginate quanto un uomo, invitato in una camera così accattivante e ospitale, potesse sentire il desiderio di possedere completamente tutto ciò che vedeva. Importantissimi nel boudoir erano sicuramente gli specchi. Un feticcio quasi voyeristico ma imprescindibile per un amplesso ben confezionato, in una riproduzione senza fine delle immagini proiettate, quasi come se lo spazio del boudoir si potesse espandere in spazi infiniti e senza tempo.

"Sogni" di Corcos

“Sogni” di Vittorio Matteo Corcos

Sicuramente, la ricerca del piacere nella Francia di fine ‘800 non era di certo un tabù. E non era nemmeno inconsueto trovare donne molto libertine e dedite ai piaceri della carne quasi quanto gli uomini. Ma queste, precisando, non erano prostitute. La gerarchia dei bordelli nella Francia della belle époque era molto delineata e, per esempio rispetto alla prostituta di bordello, la demi-mondaine o cocotte conduceva una vita migliore, ma non per questo socialmente apprezzata. Dalla parte opposta, invece, avevamo le donne segregate, se così possiamo chiamarle, senza alcuna indipendenza e completamente sottomesse agli uomini che poi affittavano le garçonniere. Quindi da una parte si aveva una società che puntava a fare della donna un essere docile e sottomesso, e dall’altra un mondo sommerso di perversioni e piaceri sessuali dove gli uomini potevano sfogare i loro istinti trattando le donne come oggetti e le donne però potevano fare lo stesso stando ben attente a non farsi scoprire, o quanto meno a fare in modo che la gente non parlasse troppo. In una situazione di questo tipo, le uniche in grado di sopravvivere erano quelle donne dotate di un carattere sufficientemente forte da andare contro le convenzioni sociali, e disposte a correre il rischio di non essere mai accettate.

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