Se pensiamo al Giappone ci vengono in mente molte cose, dai manga alle ragazzine vestite da scolarette sulle vie del centro di Tokyo. Pensiamo al sushi e alla zuppa di miso, alla giornata lavorativa di diciotto ore e ai metrò iper tecnologici. Ma, il Giappone è anche la moderna patria delle perversioni sessuali più strane e complesse, forse frutto di una cultura estremamente chiusa e autarchica. Se pensiamo che, da recenti indagini statistiche, un giapponese su quattro, di età compresa tra i 30 e i 40 anni, non ha mai avuto rapporti sessuali, si può forse comprendere il difficile rapporto che gli abitanti di questa nazione hanno con il sesso. Possiamo, inoltre, definire la vita coniugale giapponese, sexless (cioè priva di sesso n.d.r.), poiché molte coppie, sposate e non, ammettono di avere rapporti sessuali meno di una volta al mese.
Probabilmente la parola perfetta per descrivere le motivazioni alla base di questa quasi inesistente attività sessuale è Mendokusai, che, tradotta dalla lingua nipponica significa proprio, “non ho voglia”, concetto imprescindibile se vogliamo parlare del sesso in Giappone.
Ma il Sol levante è proprio il paese delle contraddizioni. Se da un lato le persone hanno pochi istinti sessuali, dall’altro sono bombardati quotidianamente dal sesso. L’industria sessuale nipponica è la più fiorente del globo, muovendo capitali di 20 mila milioni di euro l’anno. Il sesso in Giappone è ovunque: si annuncia, si esibisce e soprattutto si paga.
Sì, perché, anche se i giapponesi sono restii ad avere rapporti sessuali, non lo sono in materia di pornografia o masturbazione. Numerosi sono i luoghi in cui, una volta usciti da lavoro, gli uomini nipponici si recano per guardare film porno. Una sorta di ipermercati del sesso, dove il cliente entra, sceglie la sua piccola camerata buia con uno schermo, fa ciò che ritiene opportuno, paga e torna a casa con l’ultimo metrò.
Ma in Giappone, e soprattutto a Tokyo, questi non sono gli unici locali a sfondo sessuale. Ce ne sono diversi e di varie categorie.
I Soapland, ad esempio, sono locali dove i clienti possono essere lavati e insaponati da giovani ragazze, spesso studentesse. Ci sono anche Hostess e Host club dove giovani donne e uomini intrattengono i clienti chiacchierando e bevendo un drink. Ma ci sono anche locali un po’ più estremi, come quelli dalle famigerate mura bucherellate, dove i clienti possono ricevere “servizi” dal personale che si trova dall’altra parte della parete. Non ultimi sono i Neko-Café, caffetterie dove le cameriere sono vestite da gattine e chiamano i clienti con epiteti come “mio signore” e “padrone”. Di questi Neko-Café c’è anche la versione per donne, i Butler-Café, dove al posto delle cameriere vestite da gattine ci sono avvenenti maggiordomi. Questi caffè sono plasmati sui manga, dove Neko-Girl e Butler sono quasi onnipresenti.
La distribuzione e la veicolazione del sesso in Gappone non viene solamente in questi locali, che spesso sono frequentati anche da turisti e che quindi possono essere una forma di attrazione. Molto delicata è anche la questione della pedo-pornografia, distribuita attraverso hentai-manga e anime. Sappiamo bene che il Giappone è la patria dei fumetti e dei cartoni animati che, fin da piccoli, siamo abituati a vedere, e proprio attraverso queste forme di distribuzione editoriale, possono essere veicolati messaggi ambigui. Non solo la pedo-pornografia è protagonista di questa diffusione di massa, ma altre sono le perversioni che si possono leggere e guardare in TV. L’esempio lampante è quella dei tentacle rape, cioè manga e anime dove le donne o le ragazzine vengono violentate da giganteschi mostri tentacolari. Altra perversione tipicamente giapponesi sono i distributori automatici di mutandine usate. Proprio come di fronte a un distributore di merendine, il cliente può scegliere anche in base alla foto, messa su ogni confezione, della ragazza che ha usato la biancheria che si sta acquistando.
Tanti sono, inoltre gli occidentali che scelgono il Giappone come meta turistica attratti proprio dalla fiorente vita notturna dai caratteri sempre più scabrosi. Uno dei tanti libri scritti in merito alla questione è Tokyo Soup, titolo originale In za miso sūpu (イン ザ ミソスープ). Questo romanzo, di Ryu Murakami è un’attenta analisi sulla vita notturna del quartiere di Kabukichō, Red Light District della capitale nipponica. Il protagonista è Kenji, un ragazzo di vent’anni che per guadagnarsi da vivere accompagna i turisti occidentali in diversi sex-tour a Tokyo: “Dall’ AIDS in poi, l’industria del sesso giapponese è tutt’altro che ben disposta nei confronti degli stranieri, che vengono anzi respinti esplicitamente dalla maggior parte dei locali. Però molti turisti continuano a volersi divertire e sono loro che mi pagano perché li accompagni in cabaret relativamente scuri, fashion health, saloni di massaggio, bar sadomaso, soapland e tutto il resto”. Queste le parole del giovane Kenji nell’incipit del romanzo, che ci descrive magistralmente e brutalmente un sanguinoso viaggio attraverso le notti di una Tokyo trasfigurata, una città allo sbando, come noi occidentali non potremmo mai immaginare.
Disarmanti sono i dati statistici che vedono il Giappone protagonista di un forte calo demografico, proprio perché negli ultimi venti anni il numero dei single si è duplicato. La maggior parte giapponesi decidono di rimanere soli, di non sposarsi e non avere relazioni sentimentali, proprio perché hanno poco tempo. La giornata lavorativa di quasi diciotto ore non lascia il tempo per altro, non permette neanche alle persone di coltivare gli affetti e spinge loro a pagare anche solo per un abbraccio o una pacca sulla spalla. 3000 Yen (all’incirca 26 Euro), in fondo, è un prezzo ragionevole per ricevere un po’ di affetto dopo l’alienazione data dal lavoro, dopo una giornata vissuta tra panchinco e luci al neon, in una città affollata da mille solitudini.
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