Da che se ne ha memoria, qual è il tema più decantato della storia? Sicuramente l’amore.
Miliardi di parole sono state spese sull’argomento dai più cinici fino ai più romantici degli uomini. Ma non si può scindere il più nobile dei sentimenti, a meno che non sia platonico, dal desiderio carnale. Gli antichi romani, ad esempio, prendevano seriamente in considerazione la questione amore.
Fare l’amore per loro era tra le più preziose delle arti, tanto da dedicare ad esso, templi di venerazione. Persino le prostitute avevano una Dea protettrice; questa era chiamata Venere Porne (la meretrice). Nell’urbe condita e nelle province, sorgevamo dei luoghi dediti proprio al piacere fisico : i lupanari.

Foro romano, antica osteria – lupanare
Vere e proprie case d’appuntamento , i lupanari ( dal latino lupa = prostituta), erano dei luoghi dedicati al piacere sessuale mercenario ed erano costituiti da una piccola camera da letto sul retro di una locanda. A Roma, questi luoghi di piacere si trovavano nella Suburra, li dove viveva la plebe e presso il Circo Massimo. Caratteristica di questi luoghi era la sporcizia e il fumo delle lanterne. Gli aristocratici non erano soliti frequentarli, piuttosto facevano condurre presso le loro case le meretrici. Ma esistevano anche dei lupanari per gli uomini più ricchi: uno di questi sorgeva sul Palatino, di proprietà dell’imperatore Caligola, proprio per ‘’evitare il volgare e sudicio bordello’’ ( Apuleio, le Metamorfosi, VII,10).

Pittura erotica, Pompei
Ancora oggi sono visibili resti di antichi lupanari presso Pompei. La provincia era una delle più floride di tutto l’Impero. Si pensa fossero almeno 25 i bordelli presenti in una città che contava di 8000-10000 abitanti, a confronto della capitale che ne aveva 45 su milioni e milioni di persone. Si può ancora ammirare la pittura erotica nelle celle dei lupanari di Pompei e anche i segni delle scarpe degli uomini che sbrigativamente si concedevano al piacere mercenario.
Sulle porte dei lupanari, invece, c’erano delle vere e proprie insegne:
Hic ego puellas multas futui. «Qui ho fottuto molte fanciulle»
Hic ego, cum veni, futui, deinde redei domum.«Qui io, dopo il mio arrivo, ho fottuto; dopo me ne sono ritornato a casa»
Fututa sum hic. «Qui sono stata fottuta»
Myrtis, bene felas. «Myrtis, tu succhi bene»
Hinc ego nun futui formosam puellam laudatam a multis, sed lutus intus erat. «Qui ho appena fottuto una formosa fanciulla lodata da molti, ma dentro era fangosa».
C’è un personaggio , la cui fama è passata alla storia, come regina dei lupanari e ‘’’Augusta puttana’’. Questa è Messalina, moglie dell’imperatore Claudio, che quando salì al trono era poco più che una dodicenne ma era già una delle donne più desiderate di Roma per la sua bellezza. Oggi il suo nome è utilizzato in senso dispregiativo per indicare una donna all’ apice del malcostume, come, ad esempio, possiamo constatare in una celebre scena del film di Nanni Loy ‘’ Amici miei atto III ‘’ dove un favoloso Gastone Moschin nel ruolo di Rambaldo Menandri, urla in un ristorante contro la sua donna accusandola di esser peggio di ‘’Messalina’’.
Ma colui che ha tramandato ai posteri la figura della regina dei bordelli è stato senza ombra di dubbio Giovenale. Il poeta e retore romano scrive nella satira sesta Contro le donne, il suo più grande capolavoro. Egli dà sfogo con la maggiore virulenza, con un’impressionante sequenza di esempi tutti in negativo, quelli che sono i costumi del suo tempo. Tramite la poetica dell’indignatio, attacca la corruzione della società imperiale, decadente e corrotta. Il suo ritratto più riuscito, crudo e spietato dell’opera, è sicuramente quello di Messalina:
Guarda la casa imperiale e coloro
che rivaleggiano coi numi; senti
Claudio cosa dovette sopportare!
Non appena sua moglie lo vedeva
addormentato, l’augusta puttana
indossava un mantello col cappuccio
e usciva, accompagnata da una sola
fantesca, preferendo un pagliericcio
da bordello al suo letto in Palatino.
Coi capelli nerissimi nascosti
da una parrucca bionda scompariva
nel lupanare tiepido, dai vecchi
cortinaggi, sino alla cameretta
tutta sua, vuota. Sotto il falso nome
di Licisca si distendeva nuda,
le mammelle velate da una rete
d’oro, e scopriva il ventre da cui tu,
generoso Britannico, sei nato.
Accoglieva i clienti con carezze
e moine, intascava il suo salario.
Poi, quando il tenutario congedava
le prostitute, se ne andava triste
e non potendo far altro era l’ultima
a chiudere la stanza. Ancora ardente
del prurito del sesso, stanca eppure
ancora insoddisfatta, rincasava
con gli occhi pesti, sudicia del fumo
della lucerna, e portava nel letto
imperiale il fetore del bordello.
Copyright Foto copertina : http://www.ivid.it/foto/cinema/Storico-Mitologico/1960/Messalina-venere-imperatrice/373111/Manifesto/Manifesto-Belinda-Lee-Spiros-Focas-Giancarlo
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