ATTUALITÀ

INTERVISTA A ROSARIA IARDINO

Rosaria Iardino è una donna che  fa la differenza. Sieropositiva dall’età di 17 anni, è stata capace, nonostante gli ostacoli, di fare della sua vita un qualcosa di speciale e costruttivo, impegnandosi come attivista nei diritti delle persone sieropositive (fondando Nps Italia Onlus ndr) e delle donne (con Donne in Rete ndr).

Iardino e Costanzo

Nel 1991, periodo in cui c’era il terrore della trasmissione del virus Hiv anche solo attraverso una stretta di mano, la Iardino diede un “bacio di protesta” al Prof. Ferdinando Aiuti (immunologo e docente di Medicina interna) ad un congresso sull’Aids.

Due anni dopo, fece lo stesso con Maurizio Costanzo, durante una famosa trasmissione televisiva diventando, così, il simbolo della lotta all’Aids. È impegnata come blogger sui diritti civili e politiche sociosanitarie presso Il Fatto Quotidiano, Anacleto e Marieclaire.

 

 

Lei è presidente di Donne in rete Onlus, qual è la missione di questa associazione tutta al femminile?

È nato tutto durante un pranzo tra amiche in cui si discuteva su cosa si potesse fare per migliorare le politiche femminili. Nel 2007, poi, mettendo insieme la nostra professionalità ed esperienza abbiamo dato vita ad una vera e propria Onlus. Ci siamo dette che ognuna di noi poteva mettere le proprie competenze a disposizione degli altri in modo da affrontare le cose.

Donne in rete ha deciso di collaborare con Jo Squillo alla realizzazione di Wall of Dolls ( Il muro di bambole) creato per dire no al femminicidio. In Italia, nei primi 5 mesi del 2016, le donne uccise da mariti o ex fidanzati sono state 55. Iniziative come Wall of Dolls, in che modo crede possano dare un contributo alla lotta contro la violenza sulle donne?

Quando Jo mi chiamò e mi disse che aveva questa idea e che la voleva realizzare e condividere con noi, io ho subito accettato perché da un punto di vista della comunicazione, ha una simbologia molto forte.

Milano e la Lombardia hanno la percentuale più alta di casi di femminicidio e quindi  l’ho trovata da subito un’iniziativa molto importante. Tanto è vero che oggi, Il muro delle bambole di via De Amicis è presente nei percorsi turistici ed è segnalato come luogo di pensiero per il contrasto alla violenza sulle donne.

Quindi pensate di ripetere l’evento ogni anno?

Noi lo replichiamo almeno un paio di volte l’anno. La cosa importante è che altri comuni ci hanno chiesto di riprodurre il muro delle bambole e quindi sta diventando anche un simbolo che è esportabile proprio perché è molto forte.

Infatti, quando si passa in macchina, vedere queste bambole appese al muro attira inevitabilmente l’attenzione.

Di contro molte bambole, soprattutto quelle poste più in basso, vengono distrutte da gruppi di ragazzi o da qualche sciocco che ironizza su di una tematica così importante.

Adesso, ad esempio, siamo stati costretti a posizionare delle telecamere, ma questo è anche un po’ lo specchio della relazione di amore e odio che si ha con questo muro.

Qual è il ruolo delle istituzioni nella lotta al femminicidio?

Il comune di Milano ha stanziato parecchi fondi e ha finanziato centri antiviolenza, ma ciò non è mai sufficiente.

Sicuramente, la parte dell’accoglienza è quella che a Milano funziona.

A livello nazionale non posso dire altrettanto, perché Maria Elena Boschi, che è il ministro delle pari opportunità, non ci ha ancora reso noto come intende implementare e sostenere l’enorme rete di case di accoglienze che sono, vorrei ricordarlo, sostenute economicamente dal privato. Per cui siamo in attesa che il ministro Boschi ci dica cosa intende fare.

Di contro, però, poco si fa sulla prevenzione. Il vero obiettivo di uno Stato e di un’istituzione dovrebbe essere quello di evitare che le donne ricorrano alle case di accoglienza.

Secondo Lei, su cosa dovrebbe basarsi una buona politica di prevenzione?

Uno dei primi indicatori è la donna. Uno dei motivi per cui non si ribellano alle violenze è la mancanza di autonomia economica.

Una vera politica di prevenzione la si fa, mettendo le donne in condizione di poter lasciare l’uomo prevaricatore per allontanarsi dal contesto di violenza.

L’altra grande tematica riguarda la tratta degli esseri umani e la prostituzione.

Abbiamo due tipi di violenza, quella domestica-familiare o affettiva e quella che riguarda la tratta di esseri umani ridotti in schiavitù. Questo, purtroppo, nel nostro Paese è un tema scottante e che poco si conosce ma che purtroppo è ben radicato. Poi, adesso, con l’esodo dei migranti, di molte delle donne che arrivano nel nostro confine se ne perde traccia e le si ritrova poi sulla strada o, peggio ancora,  in quello che è un nuovo modello di prostituzione definito “indoor”, cioè dentro le porte.

La donna, in quanto tale, non è solo vittima di violenze fisiche ma anche psicologiche, che troppo spesso sono silenziose e mascherate dalla consuetudine, come quelle messe in atto nel mondo del lavoro, con retribuzioni più basse rispetto a quelle dei colleghi uomini, che equivalgono a circa ottomila euro l’anno di differenza. Come mai parlarne è ancora un tabù, secondo lei?

A me fa molto sorridere perchè da una parte il Governo fa degli spot di promozione sociale, delle pubblicità progresso in cui denuncia questa condizione e il fatto che le donne prendano in media il 30% in meno rispetto ad un uomo. Quello che io mi chiedo è cosa sta facendo il Governo, per modificare questo tipo di atteggiamento che, tendenzialmente, avviene nelle multinazionali, ma anche negli enti locali.

Se noi facessimo un’analisi di quante donne sono dirigenti  ci verrebbe da pensare che, o sono tutte sciocche quelle che lavorano negli enti locali o sicuramente ci sono delle barriere di cristallo. Da una parte il governo denuncia questa cosa, dall’altra parte mi farebbe piacere capire cosa si sta facendo dall’interno per rompere queste barriere di cristallo.

Cosa pensa della campagna sul fertility day, quando ancora oggi in Italia, una possibile maternità sembra incidere moltissimo sui criteri di assunzione?

Diamo adito a questo governo di aver tolto definitivamente le dimissioni in bianco che erano un qualcosa che gridava vendetta, da Medioevo. Detto questo, sarebbe troppo facile sparare sulla croce rossa, che in questo caso è la Lorenzin. È evidente che è un ministro che non sa di cosa sta parlando e soprattutto, che confonde l’enorme problema della fertilità, che è un problema di salute pubblica.

Ad esempio, dovrebbe intervenire in quelle regioni, come la Lombardia, dove la procreazione medicalmente assistita viene ostacolata al massimo, per ragioni ideologiche.

Addirittura abbiamo gli obiettori di coscienza che non fanno la PMA ( procreazione mediamente assistita).

La prima domanda da porsi è: c’è un problema di fertilità a causa di una patologia, nel nostro Paese? Come posso agevolare le coppie per poter accedere alla procreazione medicalmente assistita? Vado, prima di tutto, a capire quali ostacoli esistono a livello regionale. Altro punto riguarda la possibilità di un progetto genitoriale. Se non si ha un lavoro, un asilo e tutta una serie di sicurezze, perché mettere al mondo un figlio è una cosa molto seria, se io faccio un figlio ma non so dove lasciarlo perché la fila agli asili nido è lunghissima  o perché un asilo nido costa 600 euro al mese e io ne guadagno 1200, come posso affrontare tutto questo, con il rischio che in un momento di crisi economica si può perdere il posto di lavoro e non ritrovarlo più? Quindi diciamo che la Lorenzin dovrebbe studiare un po’ di più.

Lei a 17 anni ha scoperto di essere sieropositiva e questo non le ha impedito di avere una vita impegnata dal punto di vista sia sociale che personale, visto che è diventata mamma. Cosa si sente di dire a tutte quelle donne vittime di discriminazioni e violenze?

Le violenze hanno nomi diversi ma la cicatrice è la stessa e io a tutte le donne con le quali parlo dico che la vita è troppo bella e che non sono da sole. Donne,  non siete sole, il fatto di cominciare a credere che non lo si è  rappresenta il primo passo per dire no alla violenza.

L’amore non è prevaricazione, per cui dovete abbandonare al primo schiaffone o alla prima violenza verbale. Annientare la donna, non con un ceffone ma dicendole di non valere niente è ancora peggio. Chiamate donne in rete, chiamate il telefono rosa, ormai tutti hanno un telefono, allora fate quel numero.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Copyright foto:

https://comune.milano.it

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