Il terrorismo psicologico perpetrato dagli studenti universitari a danno dei propri compagni di corso in sede d’esame, al puro scopo di complicare gratuitamente la vita altrui senza ricavarne un concreto guadagno per la propria esistenza, va collocato nel novero delle pratiche “politicamente scorrette”.
E’ una sorta di malattia, contro la quale non esistono ancora vaccini da poter somministrare al momento dell’iscrizione presso l’ateneo di riferimento, che colpisce sempre più individui e miete vittime in tutto il mondo.
Un’epidemia endemica le cui origini, probabilmente, risalgono alle scuole corporative degli artigiani medievali, primo abbozzo di una formazione accademica.
I terroristi universitari entrano in azione al momento dell’appello presame, che per loro equivale ad un richiamo di guerra.
Il professore nell’elencare i nomi, scorrendo il dito sul foglio delle prenotazioni, si trasforma in un generale nell’intento di indicare alle sue cellule segrete i punti da attaccare.
Gli studenti che risponderanno “Presente!” con tono più mite e voce tremula saranno i primi a dover essere attaccati.
Seguiranno i : “Professore, posso sostenere subito l’esame? Sono un lavoratore!”.
Contro questa categoria ci si scaglia con più veemenza, perché generalmente racconta fandonie per scavalcare la fila e domare la propria ansia.
La distruzione psicologica di tale avversario si configura pertanto come un dovere nei confronti dei propri colleghi e il Terrorista si sente spinto verso l’attentato da un Dio Giustiziere sconosciuto ai più.
Infine, c’è la specie degli ”spavaldi”, quelli che all’appello rispondono con un “eccomi” convinti di aver già l’esame in tasca. Contro questi ultimi la sfida si fa ardua.
Sono loro, infatti, i Peshmerga universitari, quelli che riescono a respingere gli attacchi terroristici dei compagni di corso restando ben protetti dietro le roccaforti di un Io ben definito. Dispongono di munizioni d’avanguardia per difendersi: “Ho studiato tutto, più di questo non potevo fare, sono tranquilla!”, “Finché arriva il mio turno mi fumo una sigaretta, tanto non serve a nulla agitarsi!”, “ L’ho preparato in tre giorni, se lo passo sono un mito!” (con risata in chiusura).
Lo studente terrorista deve darsi un bel da fare per seminare quanto più panico possibile. Inizia con il gironzolare per l’aula/corridoio nei pressi della stanza in cui si tiene l’esame, buttando un po’ di bombe a mano al suon di “No, io me ne vado! Che resto a fare? Mi boccia!”oppure dimostrando di aver fatto un’inchiesta sul modus operandi dei docenti “L’assistente è più puntiglioso del prof, boccia sulle note bibliografiche dell’autore del manuale che c’era da studiare!”, persino fingendo doti di chiaroveggenza “Si vede che è nervosa la professoressa. Oggi fa una strage come allo scorso appello, me lo sento!”.
La mossa standard è quella di interloquire con più gente possibile, insinuando nel prossimo dubbi sulla propria preparazione: “Ma tu questo lo hai ripetuto? Io non mi ricordo più niente! Secondo te lo chiede? Beato te che sei così tranquillo, come fai?” ed è garantito che, sull’ultima domanda, anche il più temerario vacilla!
Per i veri duri ci sono le ultime due armi in serbo al Terrorista Universitario, quelle che sgancia solo nei casi estremi: “Io, questo esame, l’ho fatto otto volte! C’è gente che per la pazzia di questo professore non si laurea!” e dove invece la situazione è troppo tranquilla per simili affermazioni l’irriducibile guerrigliero risolve il problema con la strategia più antica del mondo, sminuendo il problema con un:
“Sotto il ventotto, io, rifiuto!”.
Antonella Fortunato
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Categorie:CULTURA