Sono un esercito di braccianti, pizzaioli, muratori, operai di vario tipo e genere e ricoprono le mansioni più varie, spesso sotto pagati e mal tutelati ma in molti casi rivestendo ruoli chiavi in settori delicati. Dando così luogo ad una tra le constatazioni che maggiormente ritornano quando, trovandoci a fare i conti con gli effetti della globalizazione e dei fenomeni migratori, consideriamo il contributo in termini di mano d’opera della forza lavoro straniera: “gli stranieri fanno i lavori che noi italiani non vogliamo piu fare”.
Indipendentemente dalle ragioni che stanno alla base di questo stato di cose, la constatazione appena riportata è ormai un dato di fatto: secondo dati ISTAT infatti, sebbene la disoccupazione in Italia non accenni a calare, dopo aver scisso il dato degli occupati tra italiani e stranieri le cose variano notevolmente.
L’occupazione dei lavoratori italiani, meglio qualificati ma meno disposti a degradare la propria mansione, stenta a crescere; al contrario, il dato degli stranieri occupati è in continuo aumento negli ultimi anni. Un vero e proprio fenomeno di monopolizzazione del mercato del lavoro, in particolare delle sue fasce più umili e peggio pagate, che ha peraltro originato astio negli stessi lavoratori italiani, agli occhi dei quali, si forma facilmente la convinzione che in qualche modo lo straniero rubi il lavoro all’italiano.
In realtà, se i numeri parlano di un aumento fortissimo dell’occupazione straniera e del rischio di un facile razzismo a danno di questi lavoratori, molta parte del problema risiede nei datori di lavoro ai quali evidenentemente fa spesso comodo assumere manodopera straniera sia per ragioni di costo sia per ragioni di poca belligeranza di quei lavoratori i quali, pur di lavorare, sono disposti a lasciare sul terreno molte garanzie “classiche” del mercato del lavoro, lasciandosi così preferire ai colleghi italiani.
Ma il discorso sull’efficacia della forza lavoro straniera in Italia e della sua importanza in termini assoluti in un mercato che, senza di loro, vedrebbe ancora più alto il dato della disoccupazione, non coinvolge soltanto il profilo dei lavoratori subordinati. Sono infatti sempre di più anche le imprese straniere che, a causa delle difficoltà della piccola e media impresa italiana, sono ormai divenute traino dell’economia interna ed in alcuni casi dando luogo a veri e propri monopoli di settori: dal settore delle telecomunicazioni (dove le imprese straniere sono il 34,9%), fino alla confezione e commercio di articoli di abbigliamento dove in particolare a dominare sono le imprese cinesi (il 24%) ed infine giungendo alle imprese attive nel settore dei lavori di costruzione, sostanzialmente a trazione nord-africana e balcanica (il 18,9%).
Ed è proprio questa fetta strutturale del tessuto imprenditoriale italiano, cresciuta ad un ritmo del 5,8% (pari a 24.329 imprese in più rispetto al quinquennio precedente) ad avere apportato un contributo determinante a mantenere in campo positivo il bilancio anagrafico di tutto il sistema imprenditoriale italiano.
Se dunque eravamo partiti dall’amara constatazione, quasi rabbiosa, che gli stranieri fanno lavori che noi italiani non vogliamo più fare, considerando il fenomeno del lavoro straniero nella sua interezza ci rendiamo conto che senza di esso, quella crisi economica che tanto ci attanaglia ormai da anni, avrebbe effetti ancora più gravi e pesanti. Senza giungere a considerare poi che, anche gli investimenti ed i redditi prodotti dagli stranieri (imprese o lavoratori che siano) concorrono esattamente come quelli degli italiani a rimpinguare non solo il bilancio dello stato, ma anche il monte economico da cui quello stesso Stato attinge risorse utili a tenere in piedi il sistema pensionistico.
Pare dunque giunto il momento di abbandonare quella contrapposizione che anche in ambito lavorativo ha creato una guerra tra italiani e stranieri, con buona pace dei vari istinti nazionalisti e populisti, affermando con forza l’importanza di una forza lavoro che concorre, tanto quanto quella italiana, a tenere vivo il sistema. Diversamente dovremo rassegnarci ad un sistema economico che, rifiutando l’apporto costruttivo del lavoro straniero, verrebbe ad essere condannato alla chiusura e probabilmente ad attorcigliarsi su se stesso.
Copyright Immagine di Copertina: http://www.marsicalive.it/wp-content/uploads/2014/06/agricoltura-lavoro-campi-immigrazione-straniero-2.jpg
Categorie:ATTUALITÀ