Autore di romanzi e saggi di successo( tutti editi in Francia da Gallimard e Grasset ndr), vincitore del prestigioso Prix Francois Muriac nel 2006, intellettuale e sceneggiatore: Philippe Vilain è uno di quegli scrittori, in via d’estinzione, che riesce a plasmare le parole in modo magistrale, assegnando ad ogni singolo lemma sfumature di significato uniche e autentiche.
Un talento, questo, che si percepisce soprattutto quando Vilain scrive e medita sull’amore, argomento, nei secoli, tra i più sviscerati, ma su cui lo scrittore francese riesce ancora a riflettere e farci riflettere.
Ne scaturisce che, i suoi romanzi, oltre ad essere di una lucidità disarmante si trasformano in veri e propri decaloghi dei sentimenti in grado di traghettare il lettore negli intricati meandri di colui che ama.
Ciò viene fatto magistralmente in Pas son genre( tradotto in Italia con il titolo: Non il suo tipo ndr), edito nel 2012 in Italia da Gremese e dal quale il regista Lucas Belvaux ha tratto la pellicola: Sarà il mio tipo? E altri discorsi sull’amore.
In questo romanzo Philippe Vilain, oltre a narrare dell’improbabile relazione tra il professore di filosofia Clément e la parrucchiera Jennifer e di come, nonostante il loro forte legame, il disagio provato da entrambi nel relazionarsi con il contesto sociale dell’altro, sgretoli la relazione, si interroga anche su quello, che forse, è uno dei più tragici quesiti che si possono porre gli innamorati: in una coppia c’è sempre chi ama di più?
Scrittore, sceneggiatore, uomo di lettere, intellettuale: chi è Philippe Vilain?
Senza dubbio sono un po’ tutto questo, anche se, infondo, non mi sento sceneggiatore e non so esattamente cosa significhi uomo di lettere — identificazione vaga di un’altra epoca, che il redattore di Wikipedia ha scelto di inserire nella mia biografia. In realtà, mi sento profondamente scrittore e intellettuale, nel senso che non saprei vivere senza pensare, senza fare della mia esperienza sensibile una materia intellettualizzatile, nel senso che non posso accontentarmi di scrivere dei romanzi senza partecipare a una riflessione più generale sulla letteratura e sulle sue scommesse.
Qual è il tuo modello letterario di riferimento?
I modelli letterari che mi hanno formato sono certamente opere che intellettualizzano il sensibile e in cui la ragione tenta di guidare le passioni, come À la recherche du temps perdu di Marcel Proust, l’Adolphe di Benjamin Contant o La noia di Moravia. E tuttavia, benché in modo diverso, fra i miei modelli di riferimento è presente anche l’opera di Marguerite Duras.
Hai sempre pensato di voler fare lo scrittore?
Ho immaginato di diventare scrittore intorno ai 18 anni, dopo avere rinunciato al mio sogno di diventare giocatore di football. Ho studiato Lettere moderne per questo.
Quali sono gli elementi della scrittura che hai ritrovato nel cinema?
La scrittura per il cinema è una scrittura diversa rispetto alla letteratura, benché quest’ultima tenda comunque a ricalcare il cinema. Il cinema opera attraverso l’espressione dell’immagine, ma può passare anche attraverso le parole: la letteratura, invece, deve esprimere immagini attraverso parole. Sì tratta di un’operazione di scrittura totalmente differente.
Nei tuoi romanzi ti sei proposto di esplorare in modo “intimo” l’amore parlando di gelosia, senso di colpa per un sentimento non vissuto pienamente, la paternità e le differenze culturali, alla luce di quest’analisi cos’è per te l’amore?
È un tema che mi interessa enormemente e che, in effetti, può essere considerato il soggetto della mia vita, ciò che mi interroga maggiormente e ciò che mi piace più interrogare, poiché esso è ricco e complesso, superficiale e profondo, ed è ciò in cui tutte le grandi sfide umane, individuali e collettive, politiche e morali, culturali e sociali si incontrano. Potrei riprendere, nel mio caso, la formula di Stendhal, il più italiano fra gli scrittori francesi, per il quale l’amore è la grande questione della vita. Ciò che mi affascina in particolare nell’amore è l’incontro amoroso, la scelta amorosa, e cioè osservare chi incontra chi, perché scegliamo una certa persona piuttosto che un’altra. Non è corretto pensare, peraltro, a un’unica forma di amore, quanto piuttosto a diverse forme. L’amore in sé non significa nulla, è relativo, soggettivo e può essere illustrato solo attraverso realtà estremamente differenti, a volte contraddittorie. Diciamo che le due forme d’amore che parlano di più ai miei occhi di idealista romantico sono l’amore-passione — privo di calcolo e che ci trasforma — e la benevolenza. Queste sono le due forme gratuite e disinteressate dell’amore, l’amore come abnegazione, rivolto al bene dell’altro, l’amore che tende a null’altro che al piacere con l’altro.
In Sarà il mio tipo? E altri discorsi sull’amore, romanzo dal quale, nel 2014, è stato tratto l’omonimo film che vede la regia di Lucas Delvaux, si interroga su di un quesito che pare essere atavico: in una coppia c’è sempre chi ama più e chi meno? Tu cosa ne pensa?
Penso che il problema si ponga in un modo diverso e che non si debba pensare all’amore coniugale come a un risultato, piuttosto è necessario considerare una differenza: il punto non è tanto che una persona ami più dell’altra, quanto che in una coppia ci si ama in modo diverso — e questo provoca squilibri, insoddisfazioni e frustrazioni. I nostri sentimenti hanno una natura differente e non possono ascrivere né alle stesse motivazioni, né alla stessa storia, né alle stesse ferite. Noi amiamo, durante un tempo determinato, qualcuno con cui condividere degli interessi, ma amiamo anche per una ragione differente dal fatto che una persona ci ami. Proprio per questo, l’amore può diventare un malinteso.
Chi ama di più: Clément o Jennifer?
Una delle ragioni del successo di Pas son genre è il suo portare alla luce questioni legate a tabù e impertinenze, che ci interrogano ma che ci deviano: come è perché si ama l’altro? Chi amiamo quando amiamo? Ho letto e analizzato molte opinioni sulla relazione fra Clément e Jennifer e ho capito che molti lettori sono caduti nella trappola che avevo teso loro, stigmatizzando Clément e preferendogli Jennifer. La fallacia, in effetti, consiste nel pensare che all’interno della coppia Jennifer ami per prima, perché Jennifer ci fa tenerezza e che Clément sia è antipatico, ma la verità è differente; in primo luogo, perché è proprio Clément che, raccontando la sua storia e in quanto elemento focale della narrazione, valorizza Jennifer attribuendosi, per abnegazione, un ruolo negativo; dall’altra parte perché Jennifer ama in modo diverso che Clément non l’ami; infine, perché se Jennifer ama Clément, e cioè se lo ritenesse arrogante e detestabile anziché degno d’amore (dopo tutto, non è obbligata a fare nulla ed è libera di negarsi a lui: se lui fosse così antipatico), perché lo amerebbe? A meno che Jennifer non sia essa stessa come lui, ugualmente antipatica, questo non sarebbe del tutto un caso; inoltre, e questa è un’evidenza, se Jennifer non avesse provato un sentimento, non sarebbe rimasta con Clément, né avrebbe provato interesse nei suoi confronti, al di là delle barriere socio-culturali fra i due.
Per rispondere alla tua domanda, si potrebbe dire anche che, se l’amore fosse una costruzione sociale e se, come ha ben definito Schopenhauer, si amano delle rappresentazioni e dei generi al di là degli individui, l’amore di Jennifer, allora, sarebbe più interessato rispetto all’amore di Clément, perché ciò che Jennifer, la parrucchiera provinciale, ama di Clément è anche il professore parigino, autore di saggi di successo, che la estrae dalla sua categoria sociale, la valorizza culturalmente, la lusinga socialmente per distinguerla, finalmente, dal suo contesto di appartenenza; in un certo modo, il suo amore è meno disinteressato rispetto all’amore di Clément nei suoi confronti, poiché egli, da un punto di vista sociologico, si declassa in amante di una parrucchiera, tradendo il proprio contesto borghese.
Il protagonista maschile, Clément, filosofo francese con alle spalle un libro in cui parla d’amore ma annulla la profondità di questo sentimento a causa della sua eccessiva razionalità, s’innamora della parrucchiera Jennifer. Nasce un sentimento tra opposti, una relazione tra due mondi agli antipodi ma che pare, almeno inizialmente, poter funzionare. Tu pensi che il segreto di una relazione duratura sia proprio l’attrazione tra gli opposti?
Un amore duraturo non ha ricette, se non il fatto d’essere una comunione di gusti e interessi, sui quali costruire e progettare un avvenire. Statisticamente, l’attrazione fra contrari è condannata a terminare prima rispetto all’attrazione fra simili, ma il problema non è fare della durata di un amore il solo strumento di misura di questo amore. Ai miei occhi, la durata non può definire l’amore che, quando liberamente consentito e non una scelta predefinita, genera vantaggi in termini di piacere ma anche di frustrazione, dato che si può rimanere con una persona per delle ragioni che non sono prettamente amorose, né moralmente accettabili (per interessi materiali, per la solitudine, per la codardia di pensare di non essere liberi di scegliere un’altra vita, ecc…). Al tempo stesso, le prove sociali come il matrimonio o altre forme contrattuali non sono prove d’amore, ma solamente prove d’interesse comune. Ciò che per me è lo strumento di misura assoluto dell’amore è la libertà di scegliere, l’intensità e l’onestà fra due persone, la volontà e il desiderio comune di volere il bene dell’altro. Questo può durare qualche mese come molti anni, ma la durata, in nessun caso, può definire l’amore. D’altronde, come ha scritto Marguerite Duras in Les petits chevaux de Tarquinia, «Nessun amore al mondo può fungere da amore». Tutte le forme d’amore possono incarnare l’amore, nessuna può accaparrarsene l’esclusività del senso.
Un titolo che fa riflettere: come mai “Sarà il mio tipo?”
Ho giustamente scelto un titolo che fa pensare. Questo titolo è stato preso in prestito dalla frase di Proust, nel Du côté de chez Swann: «Dire che ho rovinato degli anni della mia vita, che ho desiderato morire, che ho vissuto il mio più grande amore, per una donna che non mi è piaciuta, che non è stata il mio genere ». Attraverso Proust, come attraverso Marivaux o Rousseau, l’amore trova piuttosto la sua verità e la sua profondità nella relazione fra contrari e nell’esercizio di una prova sociale da superare, e cioè in una situazione di alterità è possibile trovare la maggiore esaltazione: abbiamo tutti la tendenza ad amare narcisisticamente la similitudine, cioè ciò che ci somiglia, ma l’amore può essere più vero, più forte, può essere assolto da ogni somiglianza e da ogni comunanza d’intenti. Pas son genre, il mio romanzo, interroga e al tempo stesso domanda, attraverso il suo titolo, chi parla di chi. Il professore pensa di non essere il genere della parrucchiera o è la parrucchiera che non pensa di essere il genere del professore? Invertibile, l’equazione desidera anche mostrare che l’amore può avvenire al di fuori dei generi, non tanto per l’attrazione fra contrari quanto per l’astrazione dei contrari, la dissoluzione assoluta delle differenze, l’accordo dei disaccordi, che si ritrova nei rari casi di ibridazione sociale.
Secondo Philippe Vilain, perché ci si innamora?
Non saprei rispondere a una simile domanda. Se fossi un neuroscenziato, direi che noi esseri umani siamo organicamente programmati per innamorarci e spiegherei che si tratta di un processo di stimolazione cerebrale — prima di raggiungere il cuore, finalmente — che fa parte del nostro funzionamento; e se non fossi uno scrittore, direi che ci si innamora per scrivere dei bei romanzi e raccontare delle belle storie. La verità, però, è che non se ne sa nulla. So solo che innamorarsi è la più bella cosa che ci possa capitare.
Traduzione dal francese a cura di Marika Nesi
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Valentina Nesi
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