Italia, luogo di tradizioni popolari, dal Nord al Sud. Una tipologia davvero particolare è arrivata, negli anni, a costituire una vera e propria rete: le cosiddette macchine a spalla, che attraversano l’intera penisola con le loro suggestive rievocazioni.
Cosa sono queste macchina a spalla? Sono strumenti, trasportati da un folto numero di persone, utilizzati durante le processioni, con grandi effetti e una decisa componente artigianale nella loro costruzione, allo scopo di onorare e glorificare i santi protettori delle varie diocesi.
Tra queste, spicca sicuramente la Macchina di Santa Rosa, a Viterbo, nell’entroterra laziale. Il trasporto di questa macchina è realizzato per rievocare simbolicamente la traslazione della salma di Santa Rosa, avvenuta a Viterbo nel 1258 per disposizione di Papa Alessandro IV, dalla Chiesa di Santa Maria in Poggio (detta della Crocetta) alla chiesa di Santa Maria delle Rose (oggi Santuario di Santa Rosa). La nascita della tradizione è davvero antica, fin dagli anni successivi all’evento, attraverso immagini che negli anni hanno raggiunto dimensioni sempre più imponenti. Fino al 1952, costruzione della prima vera e propria macchina, nell’accezione del termine che abbiamo oggi.
La macchina compie, nella processione, circa un chilometro, attraverso le strette vie del centro storico. Parliamo di un’altezza di circa 30 metri, con un peso che supera i 5000 chili. Uno sforzo davvero imponente, che costringe un centinaio di persone a concorrere per la riuscita, formando una forza chiamata i Facchini di Santa Rosa. La difficoltà dell’operazione è palpabile, anche a causa delle dimensioni della macchina, ostiche per le strette dimensioni del centro storico.
Il trasporto inizia all’interno di Porta Romana, dove accanto alla Chiesa di San Sisto la Macchina è stata assemblata durante i mesi di luglio e agosto e celata fino all’ultimo momento da un’imponente impalcatura coperta con teli. Le ore che precedono il trasporto prevedono una serie di verifiche e infine l’accensione delle luci che fanno parte della costruzione, alcune elettriche e moltissime a fiamma viva. Il percorso, lungo circa 1.200 metri, si svolge nelle vie rese buie e si conclude nella piazza antistante il Santuario di Santa Rosa, dedicata ai Facchini. Durante il trasporto si effettuano cinque fermate, durante le quali la Macchina viene appoggiata su speciali “cavalletti” pesanti 100 chili ciascuno.
L’ultimo tratto consiste in una ripida via in salita, effettuata quasi a passo di corsa, con l’aiuto di corde anteriori in aggiunta e di travi dette “leve” che spingono la Macchina posteriormente. La Macchina viene posata infine davanti al Santuario, dove rimane esposta ai visitatori per alcuni giorni successivi al trasporto.
Importante la forte componente artigianale della costruzione, in grado di fondere moderne tecnologie e materiali insieme ad un tipo di produzione ancora locale. Gli appalti sono infatti limitati alle ditte del viterbese, che vivono la costruzione della macchina come un vero e proprio onore, frutto di una tradizione in grado di emozionare ancora oggi. Se vi trovate a passare da Viterbo, non potete assolutamente mancare questa occasione, per un viaggio nella riscoperta dell’Italia che fu.
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