L’organizzazione della società indiana è particolarmente influenzata dai precetti e dalle credenze della religione induista, che proclama l’esistenza di un’anima individuale ed eterna (ataman) capace di trasmigrare, dopo la morte, in altri corpi.
C’è però una componente rimessa all’arbitrio dell’uomo in questo meccanismo di reincarnazione, poiché è l’uomo a determinare – almeno in parte – la propria condizione futura, accumulando meriti e demeriti nella propria vita presente che incideranno profondamente su quella che sarà la vita futura nel nuovo corpo materiale.
Da qui la stratificazione sociale indiana in caste (termine che letteralmente significa “razza pura”) ed un’organizzazione gerarchicamente strutturata a più gradini in base alla maggiore o minore purezza (ed ai maggiori o minori meriti) degli appartenenti a ciascun livello.
Quando a metà del secolo scorso le caste furono ufficialmente abolite, la società indiana subì un duro colpo, poiché furono intaccate quelle dinamiche millenarie di passaggio della ricchezza e di gestione politica e sociale del Paese ormai radicate e formalmente delegittimate con l’abolizione delle caste.
Di fatto, però, il sistema di stratificazione sociale non venne meno e le caste, sia pure in via ufficiosa, hanno continuato a dominare e dominano tutt’ora ed in buona parte l’assetto della società indiana.
Ma come funzionano questi gradini sociali?
Ogni casta ha naturalmente regole ben precise, tradizioni, regimi alimentari predeterminati, professioni e mestieri riservati.
Trattandosi di gruppi endogamicamente chiusi si può contrarre matrimonio rigorosamente solo tra membri della stessa casta, e ciò evidentemente per poter agevolare e garantire la conservazione della ricchezza e l’accentramento del potere politico ed economico nelle mani di pochi a discapito di molti.
Le caste furono volute dal dio Brahma, creatore dell’universo, e sono in tutto quattro; esse si generarono dallo smembramento di un gigante primordiale, l’uomo cosmico noto con il nome di Purusha, dal cui sacrificio nacque il cosmo e la stessa umanità.
Dallo smembramento della testa di Purusha nacquero i sacerdoti o Brahmani, coloro che hanno la posizione superiore nella gerarchia e godono di particolari privilegi. Il loro colore identificativo è il bianco e sono sostenitori e fautori dei principi della non violenza. I sacerdoti sono i più vicini al nirvana e possono ambire a raggiungerlo, interrompendo così il ciclo continuo di vita e di morte che si innesca con la reincarnazione, vivendo con rettitudine la propria vita terrena.
Le braccia di Purusha diedero origine ai detentori del potere, ai guerrieri definiti Kshatriya, coloro che sono destinati a governare ed il cui colore identificativo è il rosso.
Dalle gambe del gigante nacque il popolo, i comuni cittadini, i Vaisya, identificati con il colore giallo e costituenti il “popolo”, di cui fanno parte i mercanti e gli artigiani.
Ed infine dallo smembramento dei piedi del gigante si originarono gli Shudra, ossia gli umili servitori, coloro che usano la forza fisica per lo svolgimento delle loro occupazioni, la categoria più infima della società indiana, il cui colore è il nero.
Al di fuori delle quattro caste di cui si è fatta menzione vi sono, poi, gli intoccabili, i paria, coloro che sono preposti a compiti necessari ma assolutamente impuri. Chi appartiene ad una delle quattro caste, quand’anche la più bassa, non deve assolutamente avere contatti con un intoccabile, pena la contaminazione per la vita e la retrocessione nella scala sociale e nelle vite future alla condizione di fuoricasta per chi trasgredisca a tale divieto.
Nonostante la costituzione indiana abbia abolito ufficialmente qualunque forma di discriminazione, vietando addirittura l’utilizzo del termine “intoccabile” o “impuro”, nonostante la strenua lotta di Ghandi al sistema discriminante delle caste a tutela dei paria e nonostante le politiche governative volte ad agevolare l’ingresso in politica, nelle università e nella pubblica amministrazione agli appartenenti alla classe subalterna degli intoccabili, nelle zone rurali e meno urbanizzate dell’India ancora vigono regole ferree che impongono di sottomettersi al sistema castale e puniscono la minima trasgressione con la perdita dei diritti civili e sociali.
Detto ciò, viene naturale chiedersi se sia il caso di leggere il sistema castale secondo un approccio idealista, individuando nella casta il prodotto di ideali religiosi superiori cui sottomettersi anche al fine di darsi una ragione rispetto a specifiche problematiche sociali; o se non sia il caso di preferire, invece, una interpretazione più terrena e materialista della casta, che diviene allora l’escamotage per giustificare e (mal)celare una grande e grossolana forma di disuguaglianza sociale.
È questo un dilemma antropologico che conduce ad un altro interrogativo: ci si appartiene e soprattutto si arriva ad appartenere alla casta più alta, quella dei sacerdoti, per via di un animo realmente puro e frutto di un lavoro di espiazione portato a compimento nel corso di diverse e molteplici vite o semplicemente per puro caso?!
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