Negli annali dei casi irrisolti negli Stati Uniti, c’è sicuramente l’omicidio di Black Dahlia. Il brutale assassinio, avvenuto il 15 Gennaio del 1947 vede come vittima Elizabeth Short una giovane aspirante attrice di Los Angeles. Il suo corpo, brutalmente mutilato, fu ritrovato in un campo, poco fuori dalla Città degli Angeli. I primi titoli dei giornali dell’epoca furono “LA Girl Slain; Body Slashed in Two” (Ragazza di Los Angeles uccisa; Corpo diviso a metà); “Body Dismembered, Left in Field” (Corpo smembrato lasciato nei campi). Il corpo di Elizabeth Short fu ritrovato diviso a metà, tagliato all’altezza delle costole e il suo bel viso tagliato da un orecchio all’altro come una sorta di macabro clown.
Le analisi post-mortem dichiararono che la Short fu torturata prima di essere uccisa. Fu costretta a mangiare feci e i suoi organi, inclusi utero e intestino, furono asportati. Il suo corpo fu completamente dissanguato ma il suo killer fu molto accorto nel lavare bene il corpo, inclusi i suoi capelli. Black Dahlia fu identificata grazie alle impronte digitali, prese dalla polizia nel 1943 quando, ancora minorenne, fu trovata ubriaca in compagnia di un soldato.
Questo omicidio efferato e osceno scandalizzò sia l’opinione pubblica che le forze dell’ordine che indagarono sul caso. Elizabeth Short passò così alla storia come la Black Dahlia, per i suoi capelli corvini, per i suoi abiti e per il fitto mistero che, ancora oggi, aleggia attorno alla sua morte. La sorte di Elizabeth, durante gli anni ’50 dello scorso secolo fu, addirittura, presa come esempio di dubbia moralità per le donne e le ragazze che arrivavano ad Hollywood in cerca di fama e successo nello show business.
IL KILLER MEGALOMANE
Era chiaro, fin da quando il corpo di Elizabeth Short è stato ritrovato, che il killer volesse mettersi in mostra o, quantomeno, che il suo meticoloso lavoro fosse apprezzato, fotografato e discusso. Questo gli investigatori lo sapevano bene ma, forse, a saperlo con più coscienza erano proprio i giornalisti. A questi ultimi, infatti, fu inviata una lettera proprio dal “Black Dahlia Avenger” e un pacco contenente i vestiti della vittima.
La Polizia di Los Angeles fu portata a sospettare di un fattorino di ventisette anni, Leslie Dillon, dopo aver ricevuto istruzioni da Mark Hansen, un uomo d’affari hollywoodiano. Dillon, negli anni precedenti, aveva spesso cambiato lavoro e uno di questi fu proprio l’assistente di obitorio. Nell’Ottobre del 1948, Dillon scrisse una lettera alla polizia di Los Angeles indirizzata allo psichiatra Dottor J. Paul De River, parlando del caso della Black Dahlia. Dillon, che scriveva dalla Florida, disse a De River che aveva sentito del caso di Elizabeth Short dalla bocca di una rivista specializzata in investigazioni, dove De River aveva lasciato un’intervista proprio sul caso. Dillon si diceva interessato a conoscere i dettagli dell’omicidio poiché sadici e sessualmente deviati, dal momento che egli stava scrivendo un romanzo che aveva come temi centrali proprio questi due aspetti comuni all’omicidio della Black Dahlia. Dillon non confessò mail l’omicidio anzi, accusò il suo amico Jeff Connors di essere il killer della Short.
De River e Dillon ebbero una corrispondenza frequente, tanto che lo psichiatra iniziò ad avere delle teorie su Dillon. Per De River la figura di Connors era immaginaria, Dillon l’avrebbe creata per cercare di sopperire al crimine efferato da lui compiuto, una sorta di personificazione dell’atto criminale. I due si incontrarono nel Dicembre del 1948 e De River, accompagnato da un agente sotto copertura, riuscì a registrare la conversazione con Dillon.

Leslie Dillon
Dopo questo primo incontro, Dillon continuò a collaborare con la polizia, fornendo loro dei dettagli che ancora non riuscivano a spiegare. Ribadì la colpevolezza del suo conoscente Jeff Connors e con la polizia si recò a Los Angeles per cercare di contattarlo. Quando ormai le speranze erano perse e i sospetti su Dillon sempre più concreti, la polizia riuscì a trovare Connors, nome falso di Artie Lane. Quest’ultimo viveva a Los Angeles al tempo dell’omicidio della Short e lavorava come tuttofare agli studi della Columbia a Hollywood, luogo molto frequentato da Elizabeth. Sta di fatto però che questo Lane non fu mai trovato concretamente, probabilmente era consueto cambiare spesso identità.
I sospetti e le accuse su Dillon, però, non potevano placarsi, anche quando la polizia riuscì a confermare che il sospettato non si trovava a Los Angeles durante i giorni del rapimento e dell’omicidio della Short. Egli si trovava a San Francisco. Questa scoperta e conferma, spinse Dillon a far causa alla polizia di Los Angeles e a ottenere u ragguardevole risarcimento di mille dollari.
La polizia iniziò quindi a indagare su strade parallele. Le indagini ritornarono su Mark Hensen, l’ultima persona ad aver visto la Short viva. Hansen, però, non fu mai realmente accusato, e su questa storia molte sono state le ipotesi. Corruzione? Depistaggio? Fatto sta che l’imprenditore hollywoodiano morì negli anni ’60 e nessuna accusa fu mossa contro di lui, l’uomo che si sa aver passato insieme alla Short le ultime ore della sua vita.
Numerosi sono stati gli indagati per l’omicidio, ma nessuno mai veramente accusato, e nessuno ha mai pagato per quello che ha fatto alla povera Black Dahlia. Tanti artisti hanno subito la fascinazione di questo cold case mai risolto. James Ellroy, nel 1987, le dedica un romanzo, Black Dahlia che nel 2006 diviene un film diretto da Brian De Palma.
Molto probabilmente non sapremo mai chi ha realmente assassinato Elizabeth Short, la giovane donna aspirante attrice che ha incontrato la morte proprio nel fiore della sua giovinezza, quando inseguiva un sogno. Quando aveva ancora gli occhi aperti sul mondo e forse ancora una speranza.
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