« I monachicchi sono esseri piccolissimi, allegri, aerei, corrono veloci qua e là, e il loro maggior piacere è di fare ai cristiani ogni sorta di dispetti. Fanno il solletico sotto i piedi agli uomini addormentati, tirano via le lenzuola dei letti, buttano sabbia negli occhi, rovesciano bicchieri pieni di vino, si nascondono nelle correnti d’aria e fanno volare le carte e cadere i panni stesi in modo che si insudicino, tolgono la sedia di sotto alla donne sedute, nascondono gli oggetti nei luoghi più impensati, fanno cagliare il latte, danno pizzicotti, tirano i capelli, pungono e fischiano come zanzare. Ma sono innocenti: i loro malanni non sono mai seri, hanno sempre l’aspetto di un gioco, e, per quanto fastidiosi, non ne nasce mai nulla di grave. Il loro carattere è una saltellante e giocosa bizzarria, e sono quasi inafferrabili. Portano in capo un cappuccio rosso più grande di loro: e guai se lo perdono. Tutta la loro allegria sparisce ed essi non cessano di piangere e di desolarsi finché non l’abbiano ritrovato. Il solo modo di difendersi dai loro scherzi è appunto di cercarli di afferrarli per il cappuccio: se tu riesci a prenderglielo, il povero monachicchio scappucciato ti si butterà ai piedi, in lacrime, scongiurando di restituirglielo. Ora i monachicchi, sotto i loro estri e la loro giocondità infantile, nascondono una grande sapienza: essi conoscono tutto quello che c’è sottoterra, sanno i luoghi nascosti dei tesori. Per riavere il suo cappuccio rosso, senza cui non può vivere, il monachicchio ti prometterà di svelarti il nascondiglio di un tesoro. Ma tu non devi accontentarlo fino a che non ti abbia accontentato; finché il cappuccio è nelle tue mani, il monachicchio ti servirà. Ma appena riavrà il suo prezioso copricapo, fuggirà con un gran balzo, facendo sberleffi e salti di gioia, e non manterrà la sua promessa. »
Carlo Levi – Cristo si è fermato a Eboli
La magistrale descrizione di Carlo Levi basterebbe a rappresentare il folletto protagonista delle tante narrazioni dei nostri nonni. Ma sul leggendario personaggio c’è ancora qualcosa da aggiungere.
Fa parte, prevalentemente, del folklore delle regioni meridionali e muta il proprio nome, e le intenzioni più o meno benevole, in base alla località di riferimento.
Nell’immaginario popolare lucano è rappresentato come un bambino di poco più di sei anni, sporco di terra e dispettoso, e indossa sempre un berretto rosso.
Sebbene le sue descrizioni variano da zona a zona della Basilicata, l’origine e l’aspetto del mito ha dei tratti comuni, perfino con quello di altre regioni.
U Munacidd o Monachicchio (nella forma italianizzata) è un esserino dispettoso che, tendenzialmente, si limita a fare degli scherzi agli adulti come fare il solletico, tirare i capelli o forti pizzicotti. Ma gli vengono attribuiti anche gesti di pura cattiveria, come posarsi sul petto di chi dorme causando uno stato di apnea o svuotare le cantine delle case. In ogni caso i suoi soprusi non sono rivolti ai bambini, con cui invece preferisce giocare rincorrendosi. E i suoi dispetti non causano mai danni seri o problemi di grave entità.
Per far cessare le sue angherie, è necessario sottrargli il cappello rosso. Pur di riaverlo indietro prometterà parte dei tesori di cui è custode, ma non sempre manterrà la parola data.
L’origine del mito che lo vede custode di tesori nascosti, nasce dai copiosi reperti archeologici rinvenuti in territorio lucano e per le ricchezze nascoste ed interrate dai briganti.
Nel Sud della Puglia e nell’area salentina è Lu Laurieddhu o Scazzamurrieddhru, e presenta caratteristiche sia comportamentali, che fisiche del monachicchio lucano.
Viene descritto come un infante o come un omino brutto e peloso, vestito con un sacco color tabacco e il cappello rosso. Anche Lu Laurieddhu si diverte a fare dispetti come intrecciare le code e le criniere dei cavalli, far chiasso con le pentole in cucina in piena notte o rompere i vetri. Nonostante le sue contenute fattezze fisiche, sarebbe molto forte tanto da svegliare il mal capitato su cui si sie. de disturbandone il sonno.
Con i bambini e le ragazze è sempre benevolo, tanto da portare dei piccoli doni ai primi e sostituirsi nelle pulizie domestiche delle seconde.
Per evitare i suoi dispetti ed entrare nelle sue grazie, si possono lasciare dei sassolini nelle proprie pantofole o regalargli un paio di scarpe. Queste gentilezze vengono ripagate con delle monete d’oro. Rubandogli il cappello, invece, lo si può ricattare nella speranza di giungere ai suoi tesori, ma non è detto che alla fine riveli la posizione esatta degli stessi.
Nel territorio salentino è uno dei principali soggetti raffigurati dall’artigianato locale, sia dai cartapestai che da chi realizza opere in terracotta, è spesso usato come soprammobile o portafortuna.
Il Munaciello, invece, pare sia un personaggio realmente esistito. Siamo in terra partenopea e l’origine della leggenda risale al ‘400.
Grazie a Matilde Serao, che ne parla in uno dei suoi scritti, ne abbiamo memoria. Il Munaciello pare infatti essere il frutto dell’amore, ostacolato dalla famiglia di lei, tra la figlia di un ricco mercante e un garzone.
Gli incontri tra i due avvenivano di notte e di nascosto, e il giovane per raggiungere la fanciulla percorreva le vie della città balzando da un tetto all’altro. Una notte fu assalito e morì, così la giovane ragazza, in stato interessante, decise di chiudersi in un convento, dove partorì un bambino malaticcio e deforme.
Le condizioni di salute del bambino non mutarono con il tempo, così la madre iniziò a vestirlo con un abito da monaco – da qui l’origine del nome Munaciello, ndr -, nella speranza di ricevere un miracolo.
Il bambino si aggirava per le vie della città e la sua figura, con il corpo troppo piccolo e la testa troppo grande, destava sgomento tra i passanti che lo incrociavano. Così presto il disgusto si trasformò in offese nei suoi confronti, tanto da iniziare a far circolare la voce che incontrarlo portasse sfortuna o meno. Se il colore del suo cappuccio era nero era un malaugurio, mentre se il cappuccio era di colore rosso le sue intenzioni erano benevole.
Anche dopo la sua morte, probabilmente avvenuta per mano della famiglia della madre, gli abitanti della città continuavano a vederlo nei luoghi più disparati. Ed è il motivo per cui la tradizione non indica un luogo preciso in cui il Munaciello abita.
Secondo il folklore napoletano non bisogna mai rivelare la presenza o la visita del Munaciello, poiché questo potrebbe portare sfortuna a chi lo rivela. Chi, invece, riesce ad ingraziarselo riceverà doni incondizionati.
Che si chiami Monachicchio, Scazzamurrieddhru o Munaciello, restiamo affascinati e incantati dalle leggende che circolano sul suo conto, e chissà se nella notte non si riveli a noi.
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