Il linguaggio televisivo odierno è divenuto al giorno d’oggi un aspetto (anti) culturale e sociale, tanto da determinarne anche usi e costumi, seppur di basso e scadente contenuto.
I programmi televisivi, di qualsiasi genere si tratti, riescono a proporre indecenze sia a livello argomentativo, sia dal punto di vista dell’immagine.
In questo clima di decadenza socioculturale, lo scorso 19 Dicembre ricorreva il 25° anniversario della scomparsa del giornalista sportivo, nonché scrittore e intellettuale, Gianni Brera.
Nato a San Zenone al Po, in provincia di Pavia, l’8 Settembre del 1919.
Diede una profonda impronta al giornalismo italiano grazie alla sua padronanza della lingua e introdusse uno stile inedito, quanto innovativo, basato sul racconto grazie a una vasta cultura classica di cui era in possesso.
Fu inventore di numerosissimi termini che oggi sono di uso comune come per esempio “centrocampista”, “goleador” o “libero”; oppure coniatore di nomignoli che hanno fatto storia nel mondo del calcio, come “Bonimba” dato appunto al centravanti dell’Inter Roberto Boninsegna, o “Rombo di tuono” con cui identificava l’ attaccante del Cagliari e della nazionale Gigi Riva.
Il suo linguaggio, seppur molto colto, riusciva ad arrivare in maniera diretta alla gente e a rimanerci in pianta stabile, tanto da essere citato da Umberto Eco che nel 1964, in Apocalittici e integrati (libro cardine sullo studio delle comunicazioni di massa) se la prende con Brera definendo il suo stile «gaddismo spiegato al popolo», basato sull’«impiego gratuito di stilemi ex-colti».
È lo stesso tipo di prosa contro cui si scaglia Roland Barthes quando ne “Il grado zero della scrittura” mette a nudo la radice piccolo borghese, pretenziosa e mistificante, del realismo socialista di un Garaudy: metafore come «strimpellare la linotype» o «la gioia cantava nei suoi muscoli» sono esempi perfetti di midcult.
A tal proposito Brera, che non prese affatto bene l’ interpretazione datagli , su sollecitazione del professor Giovanni Pischedda (1963) , che era uno studioso della prosa italiana, disse: «Io vengo definito barocco da tutti i pirletta che storcono il naso quando non fiutano Gide o Joyce». E Gadda? «Gadda è un dannunziano salvato dal vernacolo […] Il misogino Gadda non ha molto da raccontare e intarsia anche le cacatielle delle galline […] Carletto Emilio ha imposto un trucco splendido: quando si incomincia a sentire puzza di ore rotundo, lui ci sgnacca la fotta dialettale». E poi «Carletto Emilio è uscito col Pasticciaccio quando el Gioânn scriveva cronacazze muscolari da venti anni».
Un uomo dotato di grande personalità ed estro che non vedeva nella forma, ma nel pensiero il fulcro del proprio mestiere e non aveva affatto paura delle polemiche, tanto da dichiarare che “In Italia si scrive di tutto con disinvoltura unica: nel calcio abbiamo perso quindici anni per colpa degli scriventi bene e non pensanti affatto”.
Le sue apparizioni in TV all’epoca erano degli incontri – scontri con personaggi che, nel bene o nel male, non trattava mai banalmente e spesso e volentieri sembrava di assistere a un’opera teatrale magistralmente discussa e interpretata in maniera “viva” dai protagonisti in scena (e non come le tante “inscenate” a cui oggi siamo abituati).
A 25 anni dalla morte, avvenuta il 19 Dicembre del 1992 a causa di un incidente stradale sul tratto che collega Codogno e Casalpusterlengo, la nostalgia diviene quasi d’obbligo se si pensa che lo squallido teatrino televisivo al quale assistiamo quotidianamente produce, nel migliore dei casi, scontri tra titaniche veline dove l’argomento di turno è lo scippo del fidanzato o la scollatura indossata nell’ultima apparizione pubblica, quindi allora non ci resta che prendere atto della terribile condizione di decadenza sociale nella quale siamo immersi, nonché dello status di zombie con il quale viviamo passivamente tutto ciò.
Danilo Sandalo
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