Il contatto tra le religioni africane tradizionali e il cristianesimo ha dato origine ai cosiddetti culti sincretici. Il Vudù (o Voodoo) è proprio uno di questi; una religione che nasce a partire dal XVII secolo in Africa occidentale e in Sud America dalla fusione di teorie filosofiche e dottrine religiose panteistiche ed esoteriche (si pensi ad esempio che in Benin la quasi totalità della popolazione aderisce alla Chiesa vuduista, ma comunità molto sviluppate di questa religione esoterica sono presenti in molti altri Paesi, quali il Ghana, le Antille, il Brasile, Haiti persino Cuba).
Il popolo Yoruba (detto anche Akú o Lucumi) fu la radice della religione Voodoo. Gli schiavi Yoruba furono tradotti nel luogo che oggi ospita l’isola di Haiti e lì si mescolarono con gli abitanti francesi, di credo cattolico, dando luogo a questa religione spiritica.
Il culto si basa sulla venerazione dei Loa, spiriti del cosmo spesso associati alle figure dei Santi e di altre icone del cattolicesimo, che vengono considerati come la personificazione e l’incarnazione della divinità. Questi vanno venerati, ma anche serviti e riveriti in ragione delle loro esigenze e desideri, e in loro onore si realizzano riti tribali e sacrifici di ogni tipo.
I riti Voodoo non sono di appannaggio di chiunque. Si può assistere alla prima parte dei cerimoniali, mentre per l’invocazione vera e propria degli spiriti Loa è necessario sottoporsi a una iniziazione che dura sette giorni e permette agli adepti di apprendere i segreti di questa misteriosa religione.
Durante i riti vuduisti il sacerdote evoca gli spiriti Loa, affinché si impossessino dei presenti, che balleranno, canteranno inni sacri e immoleranno in loro onore bestie sacrificali.
Tipico oggetto utilizzato nei cerimoniali magico-religiosi africani è lo nkisi, il feticcio, che conferisce poteri magici a chi lo possiede (anche se secondo una lettura in negativo al feticcio si attribuisce anche la capacità di portare malattie e pestilenze).
Il feticcio altro non è che un “contenitore”, un involucro all’interno del quale viene trattenuta la forza spirituale degli stregoni (spesso i feticci contengono proprio lo spirito dello stregone defunto).
Nella ritualità magica africana, il feticcio si utilizza prevalentemente per catturare gli spiriti malvagi e imprigionarli, al fine di impedire loro che possano colpire le tribù.
C’è tutta una tecnica di preparazione. È lo stregone a comporre il feticcio con del fango di fiume, radici, erbe di vario genere, parti animali, veleni rinvenibili in natura; tutti questi elementi naturali vengono mescolati e inseriti in un involucro di stoffa che sarà inserito nel feticcio perché possa acquistare la sua forza vitale. Questo sacchetto magico servirà da amuleto e potrà essere indossato per sconfiggere un incantesimo malefico.
Altro oggetto ricorrente nei riti e nei cerimoniali vuduisti è la maschera, che solitamente viene portata sul capo e dalla quale si diparte un mantello fissato alla stessa con delle cordicelle.
È un oggetto particolarmente interessante perché evoca in generale un pò anche l’origine dell’uomo.
Essa è la raffigurazione della divinità ed è strettamente collegata alla danza e alla musica. Questi tre elementi sono imprescindibili per ogni cerimonia religiosa vuduista, perché è proprio la danza sfrenata che conferisce alla maschera la sua componente di divinità.
Quando si indossa la maschera si perde la propria identità e ci si trasforma in un tramite, un punto di collegamento tra la terra e il cielo, tra l’uomo e dio. Chi indossa la maschera genera un sentimento di prostrazione nei presenti, perché simboleggia proprio la divinità, ma anche di paura, in quanto alcune maschere sono portatrici di morte (si pensi ad esempio alle maschere Egùn).
Anche se non ci sono prescrizioni né codici religiosi in merito a chi debba indossare la maschera (può trattarsi di uomini, ma anche di donne), è chiaro che essa non possa essere indossata da chiunque. Sarà pur sempre una persona di un certo livello sociale all’interno della tribù a incarnare la divinità e per una notte intera (è tanto che normalmente dura la cerimonia magica) non potrà parlare, ma solo fischiare o cantare nenie e melodie tribali, diventando un intoccabile, un dio sceso in terra; i presenti lo tratteranno con il rispetto e il timore che si riserva solo alla divinità.
Sarà solo quando si sfilerà la maschera dal capo e la danza sarà finita che perderà la sua connotazione divina e tornerà a essere uno del gruppo. Un privilegiato sì, ma che avrà riconquistato la sua umanità e la sua vulnerabilità.
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