Molto spesso le storie rock sono quelle più acide. Questo è sicuramente il caso di una delle band più famose di tutti i tempi, i Pink Floyd.
Nel 1965, Syd Barrett, Nick Mason, Roger Waters, Richard Wright e Bob Klose decidono di mettere su una band, i Tea Set che in breve tempo diventa molto famosa nell’ambiente underground della capitale britannica, Londra. Gli anni ’60 del secolo scorso erano anni di sperimentazioni, musicali e acide.
Quella dei Pink Floyd delle origini, cioè quando (fino al 1968) Syd Barrett era parte integrante della band, è una storia di sregolatezze e di droghe assunte e suonate. Un racconto di cambiamenti epocali nel modo di fare musica e di approcciarsi alla materia sonora e visiva come mai nessuno aveva mai fatto prima.
Come dicevamo, Barrett è rimasto nel gruppo dalla sua fondazione nel 1965 fino al ’68. Questi sono stati gli anni delle prime sperimentazioni musicali, l’epoca di The Piper at the Gates of Dawn e di come il genere psichedelico si sia imposto in così poco tempo nella scena musicale. Un genere di cui tutti sentivano il bisogno e che non poteva che nascere in un’ Inghilterra che assisteva agli ultimi lavori dei Beatles e dei sempre più rock Rolling Stones.
Ma se la dicotomia tra i due grandi gruppi musicali inglesi degli anni ’60 stava per giungere al termine, i Pink Floyd si sono imposti in un panorama musicale che voleva qualcosa di più, che desiderava un’esperienza che non fosse solo musicale ma visiva e itinerante.
I Pink Floyd devono molto ai primi anni di collaborazione con il Diamante Pazzo Syd Barrett. Un personaggio controverso che partecipò a quella contro cultura sessantottina non solo con il suo contributo musicale ma anche cinematografico. Lo studente di Architettura, proprio in quegli anni sul finire dell’epoca d’oro del rock, partecipò a un cortometraggio sperimentale di Nigel Lesmoir-Gordon, intitolato Syd’s First Trip, il cui il musicista veniva filmato mentre assumeva una svariata quantità di sostanze psicotrope.
In una intervista rilasciata al magazine Rolling Stones nel 1971, dopo aver lasciato i Pink Floyd e intrapreso la carriera da solista, confessa: “Non penso di essere un facile argomento di conversazione, ho una mente davvero irregolare. E, soprattutto, non sono chi voi pensate che io sia“. Questa affermazione la dice lunga su Syd Barrett e su tutto ciò che ruotava nella sua mente e nella sua inclinazione alla creatività a 360°.
Dopo l’abbandono dei Pink Floyd per i reiterati problemi di droga, Barrett accusò un crollo psicologico che lo accompagnò fino alla morte avvenuta nel 2006. Già durante le ultime esibizioni con la band, Barrett assunse degli atteggiamenti che rasentavano il nonsenso e questo lo portò, in breve tempo, ad essere isolato e a rifiutare persino le cure mediche che gli venivano consigliate.
Una delle curiosità legate alla figura di Barrett riguarda il suo lascito ai Pink Floyd. L’ultima canzone da lui scritta per la band è letteralmente impossibile da suonare. Era il periodo in cui l’artista non riusciva più a sostenere un concerto e il più delle volte, durante le performance, si limitava a suonare un’unica corda e si rifiutava di cantare. La band decise comunque di condurre il front man in sala di incisione. Qui Barrett condivise con il resto del gruppo questa nuova composizione dal titolo “Have You Got It Yet?” che Gilmour, nel libro di Rob Chapman A Very Irregular Head, impossibile da imparare e da suonare.
Un altro episodio che ci fa comprendere quanto genio e follia vadano spesso a braccetto, risale all’anno in cui Barrett lasciò i Pink Floyd. Subito dopo la rottura il musicista viaggiò per cinquanta miglia… a piedi. E, per comprendere quanto eterogeneo e incomprensibile fosse il suo genio, Barrett scrisse (e non pubblicò) un libro d’arte.
Il genio musicale di Barrett si esaurì in poco tempo. Se questo da un lato ha contribuito a farlo diventare una leggenda del rock psichedelico, d’altro canto lo ha ridotto in miseria e pazzia e nel 2006 ci ha lasciato un grande vuoto che possiamo colmare solo tramite il ricordo della sua arte.
Ma, per comprendere la mente di un artista le parole non bastano e bisogna riflettere attraverso l’arte e la semiotica del linguaggio più consono alla sua creatività. Un artista come Barret non può essere relegato alla semplice definizione di musicista “incompreso” o “bruciatosi troppo in fretta”. Bisogna riflette su tutte le componenti che hanno permesso all’artista di diventare mito e a quel pizzico di pazzia che lo ha fatto diventare divino.
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Syd , un genio musicale incredibile , peccato , peccato veramente , io ho tutti i dischi dei Pink Floyd , ma amo soprattutto i primi due ? Chissà perché , nel triplo di Barret da Solista ci sono dei pezzi meravigliosi , come lovesong e baby lemonade
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