ATTUALITÀ

ECCELLENZA LUCANA NELLA DIAGNOSI PRENATALE, INTERVISTA AL GENETISTA DOTT. DOMENICO DELL’EDERA

Ci sono incontri nella vita che si rivelano illuminanti.

Sono davvero rare le occasioni in cui capita di rimanere folgorati dalla passione con cui le persone, alcune persone, si battono per un’idea; perché ci credono davvero, perché quell’idea diventi realtà, e perché sia concretamente fruibile dal maggior numero possibile di altre persone.

Quando ho conosciuto il Dott. Domenico Dell’Edera ho compreso che è davvero possibile una medicina diagnostica democratica, per tutte quelle donne che in un qualunque momento della loro vita decidono di intraprendere la scelta in assoluto più bella e più difficile dell’esistenza; quella di diventare madri.

Il Dott. Dell’Edera ha inteso farsi promotore di un progetto di sensibilizzazione presso la Regione Basilicata e gli altri Enti competenti al fine di consentire l’accesso diffuso, garantito e gratuito, ad un sistema di controllo e diagnosi prenatale che non lascia spazio all’errore, pur nella consapevole accettazione di quell’incalcolabile margine di imponderabilità che è connaturato e fisiologico alla partita a scacchi che quotidianamente giochiamo con la vita.

Ma dell’interessante chiacchierata con il mio interlocutore, la cosa da cui sono rimasta in assoluto più colpita, è stato un pensiero personale che il Dott. Dell’Edera si è sentito di esprimere ad alta voce, come un’intima confidenza a cuore aperto della quale non posso che sentirmi onorata e che mi permetto di riportare perché meglio di qualunque mia parola lascia comprendere l’umiltà e l’umanità di quest’uomo; doti che senza dubbio ne hanno determinato l’eccellenza in un campo nel quale la capacità professionale è essenziale (e nel caso specifico comprovata ed indubbia!), ma nel quale, altresì, la sensibilità e la passione possono fare la differenza: “Un bravo professionista non è chi non sbaglia mai, ma chi sbaglia il meno possibile nell’ambito di situazioni oggettivamente molto difficili”.

E a questo pensiero non posso che rispondere con altrettanta coscienziosità, riportando le parole di uno dei più grandi uomini di scienza, che dell’errore comprendeva l’estrema importanza ai fini del progresso scientifico.

“Chi non ha mai commesso un errore non ha mai sperimentato nulla di nuovo”.
(Albert Einstein)

Diagnosi prenatale; cos’è, come funziona, quali sono le tecniche utilizzate per capire se il nascituro è affetto da anomalie cromosomiche o da malattie monogeniche legate al territorio specifico di appartenenza, quali strumenti si rivelano davvero utili e quali invece non lo sono o lo sono solo a determinate condizioni, e come prepararsi ad un momento così delicato, che – giocoforza – determinerà la scelta irreversibile di portare a termine o meno la gravidanza; di tutto questo parliamo con il Dott. Domenico Dell’Edera, laureato in Scienze Biologiche e specialista in Genetica Applicata e Biologia Molecolare, Dirigente Biologo presso l’Azienda Sanitaria di Matera, Responsabile dell’Unità Operativa Semplice Dipartimentale “Laboratorio di Genetica” dell’Ospedale Madonna delle Grazie di Matera.

Buongiorno Dott. Dell’Edera e grazie per aver accettato di rilasciare un’intervista a MetisMagazine. Innanzitutto Le chiedo cosa si intende per patrimonio genetico, come si trasmette e come incide tale trasmissione sull’insorgere delle cosiddette malattie cromosomiche?

Buongiorno a Voi!

Nel nucleo delle nostre cellule incontriamo 46 strutture filiformi chiamate cromosomi. Questi comprendono 44 cromosomi “non sessuali” o “autosomi” e 2 cromosomi sessuali, che sono identici nella femmina (XX) e diversi nel maschio (XY). Ai cromosomi è affidato il compito di custodire e trasmettere l’informazione genetica.

Sui cromosomi sono allineati i geni. I geni sono tratti di materiale ereditario (DNA) che svolgono specifiche funzioni ed a loro è affidata l’informazione ereditaria. Ogni individuo possiede alcune decine di migliaia di geni. Le alterazioni di questa complessa rete di strutture determina “errori” spesso irreparabili.

Le modificazioni del numero o della struttura dei cromosomi, possono determinare malformazioni, ritardo mentale, aborti o alti tipi di patologie. Queste modificazioni causano dunque le “malattie cromosomiche” dette anche cromosomopatie.

Un gran numero di concepimenti (zigoti) presenta un difetto nel corredo cromosomico. In questi casi l’aborto spontaneo può rappresentare la “selezione naturale” per quell’embrione che non avrebbe una buona qualità di vita; spesso, infatti, alcune malattie sono talmente gravi da essere incompatibili con la vita. Quanto detto è stato dimostrato in uno studio condotto su 8.841 aborti spontanei nel primo trimestre di gravidanza; si è osservato che ben 3.613 (il 40,87%) presentavano anomalie cromosomiche (Milunsky, “Genetics disorders and the fetus” – 2004).

Anche le modificazioni dei singoli geni (mutazioni) determinano patologie denominate “malattie monogeniche” le quali si possono trasmettere con modalità autosomica dominante, autosomica recessiva, X-linked, Y linked (chiamata anche oloandrica) e mitocondriale. Nell’uomo sono note più di due mila malattie monogeniche.

Se il carattere è determinato soltanto da un insieme di fattori genetici viene definito poligenico. Se il carattere è dovuto all’interazione dei geni con l’ambiente viene definito multifattoriale.

Cos’è la Diagnosi Prenatale, in cosa consiste e quali sono le tecniche principalmente utilizzate per capire – sempre che ciò sia possibile – se il feto è affetto da cromosomopatie o malattie monogeniche?

Fino a qualche anno fa era opinione comune che le malattie ereditarie si manifestassero solo in quelle famiglie in cui vi erano precedenti esperienze di patologie genetiche. Ciò non è vero!

Questo rischio è sempre presente, a prescindere dalla familiarità; ma grazie alla corretta informazione e alla diagnosi prenatale, ossia all’insieme di tutte quelle indagini strumentali e di laboratorio attraverso cui essa viene eseguita, è possibile, oggi, monitorare lo stato di salute e di benessere del concepito durante la gravidanza.

L’impiego delle tecniche di diagnosi prenatale è volto ad identificare patologie che interessano il concepito su base genetica, infettiva, farmacologica o ambientale.

Attualmente, con il progredire delle biotecnologie, i laboratori di genetica medica posseggono mezzi diagnostici sempre più precisi che in molte situazioni considerate fino a qualche anno fa idiopatiche, sconosciute, hanno permesso di chiarire molti meccanismi di trasmissione del messaggio genetico e quindi anche della eventuale anomalia cromosomica.

Sono sostanzialmente due i modi in cui è possibile prevedere la presenza di ipotetiche patologie genetiche nel feto, e per questo le tecniche si dividono in due gruppi: da un lato i test di screening non invasivi, cui appartengono ad esempio la Translucenza Nucale, il Bi-Test Allargato o il NIP-Testing, e dall’altro lato i test diagnostici invasivi, cui sono riconducibili pratiche quali la villocentesi, l’amniocentesi e la funicolocentesi.

Non essendovi, allo stato attuale, una cura efficace per la maggior parte delle patologie genetiche, si deve attribuire necessariamente molta importanza al momento preventivo.

Per entrambe le tipologie diagnostiche va effettuata una ponderazione adeguata in termini di costi-benefici, poiché se è vero che le tecniche invasive presentano il vantaggio di una attendibilità assoluta in merito alla rilevazione di possibili anomalie cromosomiche, è altresì vero che esse presentano il rischio di aborto per la donna che decide di sottoporvisi; d’altro canto, i test non invasivi di screening prenatale eliminano evidentemente tale rischio, pur presentando un grado di incertezza maggiore; ma proprio grazie alla continua ricerca ed all’affinamento delle metodiche non invasive, questi test sono in ogni caso, al giorno d’oggi, un validissimo strumento poiché il margine di errore è ridotto ai minimi termini e può dirsi davvero limitato a casi isolati.

Come si è evoluta nel corso del tempo la diagnostica prenatale?

Si è cominciato a parlare di diagnosi prenatale a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80, quando si è iniziato ad osservare che l’aumento dell’età materna era direttamente proporzionale ai casi di cromosomopatie nel feto; la maggiore età della madre comportava un maggiore indice di rischio in merito alla presenza di anomalie genetiche nel nascituro.

Da lì a pochi anni furono eseguiti test in ambito biologico su ormoni e proteine che la donna normalmente produce durante la gravidanza, quali l’Alfa-feto proteina, il 17 beta estradiolo e l’HCG.

Sempre in questi anni cominciò ad eseguirsi un test di screening chiamato Tri-Test, metodica praticata tra la 15esima e la 16esima settimana di gravidanza e consistente in un prelievo di sangue materno che permette di ricercare la presenza di Alfa-feto proteina, estriolo non coniugato e Gonadotropina corionica.

Fu poi negli anni ’90 che Kypros Nicolaides, uno specialista in medicina fetale materna, osservò una certa corrispondenza tra un maggiore inspessimento della plica nucale rispetto a valori considerati normali, rilevato nel corso di un’ecografia effettuata nel primo trimestre di gravidanza, e l’anomalia cromosomica che determina la Sindrome di Down ovvero la trisomia 21, la trisomia 18 e la trisomia 13.

Si rilevò peraltro anche una correlazione tra la plica nucale aumentata e altre patologie diverse da quelle cromosomiche, quali la spina bifida o malattie cardiache o ancora l’ernia diaframmatica.

Per ottenere una maggiore attendibilità delle previsioni, si combinò attraverso l’applicazione di un algoritmo, la misurazione risultante da questo esame strumentale consistente nell’ecografia anche detta Translucenza Nucale, con i risultati di un prelievo di sangue volto a stabilire la presenza e la quantità nel sangue materno di due ormoni quali la proteina plasmatica placentare e le Beta HCG (Bi-Test), nonchè con i valori di misurazione del CRL del feto (misura della lunghezza cranio-caudale), arrivando così ad una attendibilità di valutazione di nascituri affetti dalle principali alterazioni cromosomiche che si attestava sulla soglia del 90-95%, con un range del 5% di falsi positivi (ossia feti che sembrava avessero un difetto genetico ed invece erano perfettamente sani) e del 2% di falsi negativi (feti apparentemente sani ed invece affetti da anomalia cromosomica).

Oggi tutte queste tecniche si sono evolute e perfezionate, ma anche arricchite con una nuova tecnica di screening prenatale non invasiva, che consiste nell’analisi del DNA fetale da sangue periferico, anche detta NIP Testing.

Cos’è il NIP Testing o NIP Screening e quali sono i vantaggi di tale metodica, se ve ne sono?

Per quanto concerne i test di screening prenatale sulle principali anomalie cromosomiche, accanto al valido “Bi-Test allargato”, nei rischi intermedi, grazie allo sviluppo di nuove tecnologie (Massive Parallel Sequencing) e la scoperta nel plasma materno di frammenti di DNA libero circolante proveniente dal trofoblasto placentare, è possibile oggi attuare un metodo di screening prenatale di secondo livello non invasivo per le aneuploidie cromosomiche più frequenti denominato NIPT (Non Invasive Prenatal Testing) o NIPS (Non Invasive Prenatal Screening) che ha lo scopo di aumentare il potere predittivo degli screening prenatali convenzionali.

Attualmente questo test è validato per lo screening della trisomia 21, della trisomia 13, della trisomia 18 e delle aneuploidie dei cromosomi sessuali.

Sostanzialmente consiste, come dicevo poc’anzi, nel prelievo di un campione di sangue materno da cui viene separato ed analizzato il DNA del feto proprio per le finalità su indicate.

Perché ci parla di NIPT nei soli casi di rischio intermedio?

Perché ritengo che sia utile eseguire questo test di screening esclusivamente ove sussista un determinato parametro di rischio.

Il rischio di dare alla luce un feto affetto da patologie o anomalie cromosomiche dipende da diversi fattori e convenzionalmente, proprio in base alla valutazione di questi fattori ed all’applicazione di un algoritmo, è possibile comprendere quale sia l’indice di rischio, se basso, intermedio o alto, nonchè individuare la strategia diagnostica migliore in termini di utilità complessiva, anche e soprattutto per consentire alla donna di decidere coscientemente se portare a termine la gravidanza o meno; questa è una decisione libera di ogni donna e da uomo di scienza ritengo che debba essere presa avendo a disposizione tutti gli elementi per una giusta e corretta valutazione dei benefici e delle conseguenze; in altre parole con consapevolezza.

Nei casi di basso rischio di partorire un figlio affetto da anomalie cromosomiche (rischio maggiore di 1/1000), il NIP Testing nulla aggiunge alle previsioni che sono già state formulate sulla scorta del Bi-Test allargato, per cui non c’è alcun bisogno di effettuare un altro test di screening non invasivo, peraltro anche particolarmente costoso se eseguito presso centri privati; va senz’altro eseguita, invece, in tali situazioni una buona ecografia morfostrutturale, da effettuarsi in tempi utili, ossia alla ventesima settimana, che potrà fornire maggiori informazioni in merito alla crescita ed al benessere del feto ed in base alle cui risultanze poi si effettueranno più opportune valutazioni, anche in ragione della eventuale presenza di Soft Marker ecografici.

Nei casi di alto rischio di dare alla luce un bambino con Sindrome di Down o altre patologie genetiche invalidanti, invece, ossia nei casi in cui le possibilità che ciò si verifichi vanno esemplificativamente da 1/1 fino a 1/299, il NIPT può rivelarsi del tutto inutile, o addirittura nocivo se consideriamo le tempistiche con cui viene effettuato, poiché da questo risulterebbe verosimilmente in ogni caso un indice di rischio alto, se non addirittura più alto di quello del Bi-Test allargato; in tali ipotesi, ovvero in caso di rischio alto, decisamente consigliabili si rivelano, piuttosto, tecniche diagnostiche invasive, quali la villocentesi o l’amniocentesi; l’una o l’altra a seconda del periodo gestazionale ed anche in funzione di un eventuale successivo intervento finalizzato all’interruzione della gravidanza, ove la donna decidesse in tal senso.

Le tecniche invasive sicuramente comportano un certo margine di rischio di aborto spontaneo, a dire il vero piuttosto marginale se si considera che si tratta di esami che possono definirsi sicuri se eseguiti con la dovuta perizia ed in ogni caso assolutamente di routine; ma al contempo scongiurano in via assoluta il rischio di partorire un feto affetto da quelle cromosomopatie che vengono indagate attraverso i test di screening non invasivi.

È nei casi di rischio intermedio che si pone il vero problema; per intenderci, si tratta dei casi che si attestano su un range di rischio che va da 1/300 a 1/999.

In tali ipotesi il NIPT può essere un valido ausilio, un test di secondo livello utile a vagliare l’opportunità di eseguire o meno un esame diagnostico invasivo. In tali casi, dunque, ove il NIPT denoti un rischio alto (o semplicemente più alto di quello del Bi-Test allargato) si procederà con diagnosi invasiva; ove invece denoti un rischio basso (o più basso di quello del Bi-Test allargato) si andrà avanti con la morfostrutturale in ventesima settimana per fare, poi, ogni ulteriore valutazione all’esito di questa ed in ragione della eventuale presenza di Soft Marker ecografici.

Più esemplificativamente potrei proporre uno schema algoritmico per spiegare meglio quanto ho appena detto.

Si tratta di quanto stabilito dalle Linee Guida dettate dalla Società Italiana di Genetica Umana (SIGU), della quale faccio parte, in tema di screening prenatale e utilizzo del NIP Testing, i cui criteri di accesso sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale n. 65 del marzo 2017.

Copia di Presentazione1

Come risponde la Basilicata a queste indicazioni guida nella diagnostica prenatale e quali sono i risultati nel nostro territorio?

Devo dire che la Basilicata è una regione particolarmente virtuosa da questo punto di vista.

Proprio a Matera pochi giorni fa, il 4 aprile scorso per la precisione, è stato installato presso la struttura pubblica ospedaliera Madonna delle Grazie, il primo macchinario attraverso cui sarà possibile eseguire il NIP Testing; l’auspicio (e la previsione) è che il test di screening possa eseguirsi quale test di secondo livello in forma convenzionata con il SSN e che sia, dunque, completamente gratuito per tutte quelle donne che presentano un indice di rischio intermedio a seguito di Bi-Test allargato.

Ho buone speranze che ciò possa accadere e questa sarebbe davvero una conquista per la medicina locale, per la ricerca e per tutte quelle donne per le quali, ad oggi, lo strumento risulta poco accessibile per via dei suoi costi non proprio contenuti.

Collauderò personalmente il macchinario ed i risultati che darà, con l’ausilio delle Colleghe che lavorano nel Laboratorio di Genetica del quale sono Responsabile e che formano la “mia” affiatatissima squadra, la Dott.ssa Arianna Allegretti, Biotecnologa, e la Dott.ssa Francesca Simone, Tecnico di Laboratorio Biomedico.

Ma in Basilicata si fa anche molto di più! Di questo mi fregio di parlare perché la struttura materana svolge attività di ricerca in maniera indipendente sulle patologie genomiche mediante CGH-array oltre che su alcune patologie monogeniche presenti sul territorio lucano in maniera capillare, quali la talassemia o la fibrosi cistica; ed il nosocomio materano è ad oggi l’unico Centro Regionale di riferimento nella diagnosi prenatale.

Il Laboratorio di Genetica dell’Azienda Sanitaria di Matera, peraltro, in collaborazione con l’Unità Operativa Complessa di Ginecologia e Ostetricia dell’Ospedale San Carlo di Potenza, il cui Direttore Responsabile è il Dott. Schettini, lavorano strenuamente – e devo dire con ottimi risultati – al fine di perorare la causa di una sempre più efficace diagnosi prenatale precoce, attraverso l’utilizzo – prevalentemente – di una metodica invasiva quale la villocentesi, che viene eseguita presso la struttura potentina tra la 11esima e la 13esima settimana di gestazione ed i cui risultati consentono di capire se c’è qualche particolare problematica cromosomica/genica, lasciando così un margine di tempo adeguato alle dirette interessate per decidere se e come agire in tale malaugurata ipotesi.

Grazie Dott. Dell’Edera per il Suo prezioso tempo e per l’eloquente esposizione sullo stato dell’arte in tema di diagnosi prenatale.

Grazie a Voi per l’attenzione!

4 risposte »

  1. Sono il dr tamburrino dell’unità di ostetricia e ginecologia dell’ ospedale di Matera. Tutto ciò che è riportato nel suo articolo è assolutamente vero . Una dimenticanza però c’è stata ed quella che la villocentesi e eseguita anche qui da noi in ginecologia e precisamente da me. Quando vuole sono a sua disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti

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    • Egregio Dottore, innanzitutto grazie per aver dedicato il suo prezioso tempo al mio articolo e per aver apportato il suo contributo, commentandolo. Sono lieta di apprendere che l’ospedale di Matera vanta professionalità come la sua, che eseguono anche presso tale struttura tecniche invasive quali la villocentesi ed immagino anche le altre comunemente praticate.
      L’articolo, pur senza la pretesa di essere esaustivo, ha la finalità di indirizzare le donne in gravidanza verso una corretta informazione sulle diverse opzioni diagnostiche e di screening alle quali è possibile sottoporsi; sono felice di apprendere, proprio grazie al suo commento, che tali opzioni sono praticabili anche presso l’ospedale di Matera. Sarebbe bello in futuro avere occasione di approfondimento! Un cordiale saluto.

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    Grazie per l’attenzione!

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