«L’economia italiana è cresciuta poco negli ultimi vent’anni. Ha accelerato un po’ nel 2017, ma hanno accelerato anche tutti gli altri paesi. Se fosse una corsa ciclistica, sarebbe come rallegrarsi di andare più veloci senza accorgersi di avere iniziato un tratto in discesa. In realtà, anche in discesa il distacco dal gruppo sta aumentando».
L’ex direttore esecutivo del Fondo Monetario Internazionale, Carlo Cottarelli, nel suo ultimo saggio(edito da Feltrinelli) illustra i motivi per i quali l’economia italiana non riesce a recuperare, mantenendo il Paese in un limbo di bassa crescita e scarsa competitività.
Cottarelli queste dinamiche le conosce bene, è infatti noto per aver ricoperto l’incarico di Commissario straordinario per la revisione della spesa per il Governo italiano, per cui con dati alla mano, ma con un linguaggio accessibile anche ai non addetti ai lavori chiarisce le cause della perdurante crisi economica italiana.
Lo fa paragonando ogni scottante problematica del nostro Paese ai sette peccati capitali, che sono: l’evasione fiscale, la corruzione, l’eccesso di burocrazia, la lentezza della giustizia, il crollo demografico, il divario tra Nord e Sud e la difficoltà a convivere con l’euro.
Alcune di queste dinamiche, conseguenze dirette degli altri, creano un circolo vizioso da cui risulta difficile uscire; o guardando il bicchiere mezzo pieno, creerebbero il così detto effetto domino, ma in positivo, e quindi risolto un problema andrebbero man mano a risolversi anche gli altri.
Partendo quindi dalla lentezza della giustizia, causa di una burocrazia macchinosa, si giunge quasi in automatico a ravvisare una crescita esponenziale della corruzione, che trova terreno fertile lì dove c’è poco controllo.
L’evasione fiscale è lo specchio della logica dell’io speriamo che me la cavo, figlia della cultura della furbizia e degli escamotage. Questo ha favorito l’aumento del debito pubblico.
Ciò che invece ha fatto guadagnare all’Italia l’appellativo di Paese per vecchi è, indubbiamente, il calo demografico. Attualmente l’unica forza che contiene il crollo del tasso di natalità è l’immigrazione. «La crisi economica ha peggiorato un po’ la situazione, ma il crollo nel tasso di fertilità è di ben più lunga data e non c’è da sperare che la ripresa congiunturale possa segnare una differenza sostanziale».
L’annosa questione del divario tra Nord e Sud resta un dato allarmante, e risulta essere la conseguenza dell’accentramento territoriale, che dapprima, localmente, fino ad estendersi a livello globale, ha generato un gap che è aumentato negli anni.
È in questo momento storico che al latente individualismo nostrano, andrebbe contrapposta la controcultura del capitale sociale, ossia quell’insieme di regole non scritte a supporto della collaborazione fra gruppi.
«[…] capitale di cui ogni nazione ha bisogno per non decadere a livello economico e istituzionale. Noi italiani siamo sempre stati un po’ troppo individualisti: non ci è mai piaciuto rispettare le regole».
Ecco che il cerchio si chiude e giungiamo alla difficoltà a convivere con l’euro, l’Italia infatti fa ancora fatica a sentirsi parte integrante di un grande progetto comune, e lo dimostra l’assenza di riforme economiche adeguate per mettersi al pari con gli altri paesi membri della Comunità Europea.
La strada da percorrere per uscire dal limbo dei “peccatori” è ancora lunga, e il cambiamento potrebbe essere determinato da adeguate politiche a sostegno delle singole cause, oltre ad una profonda autocritica che permetterebbe di lavorare sul tanto agognato capitale sociale e, al contempo, di mettere in atto quelle best practice finalizzate alla crescita generale del Paese.
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