CULTURA

L’IRA AI TEMPI DEI SOCIAL

Reduci da una campagna elettorale che ha saputo mostrare il meglio ed il peggio della nostra capacità di dialogo, sembra inevitabile fare una riflessione su come l’avvento dei social abbia pesantemente influenzato il nostro modo di intendere il confronto con gli altri.

È ormai evidente che la libertà espressiva consentita dal mondo dei social abbia stuzzicato il nostro lato più polemico, spingendolo al punto di sfociare apertamente in esternazioni di ira immotivata. Difficilmente capita di non trovare post che vengano piagati da commenti che dall’ironia e sarcasmo passano rapidamente ad un atteggiamento aggressivo e, spesso, apertamente offensivo.

Da un punto di vista psicologico, l’ira viene identificata come “uno stato psichico alterato, in genere suscitato da elementi di provocazione capaci di rimuovere i freni inibitiori che normalmente stemperano le scelte del soggetto coinvolto“. Se un simile atteggiamento avvenisse nella vita reale sarebbe subito stigmatizzato ma, se l’ira viene riversata nella versione digitale del nostro mondo, allora improvvisamente non pare più così disdicevole, anzi diventa quasi un modo di affermarsi come una personalità forte, qualcuno che la sa lunga“.

E verrebbe da chiedersi come mai. In fin dei conti, i social dovrebbero esser un’estensione del nostro viver quotidiano, ma sempre più spesso diventano una sorta di piazza per dar sfogo alle repressioni accumulate nel mondo reale.

Eppure, andrebbe osservato come le realtà virtuali, come Facebook, stiano diventando terreno fertile per gli iracondi. Termini come leoni da tastiera nascono proprio per identificare quegli individui che, sicuri del distacco umano offerto dal digitale, si lasciano andare ad attacchi immotivati, anche quando si trattano argomenti che difficilmente potrebbero scatenare l’ira.

Commenti caustici su tragedie, attacchi contro persone che non convidono un’opinione particolare, sono ormai all’ordine del giorno. Si è perso il gusto del dialogo, il senso stesso del termine; dal confronto di opinione e dalla funzione aggregatrice dell’idea del social network, siamo passati ad un contesto in cui la violenza verbale sembra dilagare, senza un freno.

Nonostante si tenti di arginare questo fenomeno con nuove politiche di controllo da parte degli stessi social, questa piaga non accenna a fermarsi. Certi utenti prendono appositamente di mira determinati soggetti, rei a loro avviso di incarnare tutto ciò che va contro la loro opinione, e si lanciano in invettive, spesso prive di alcun senso.

La sensazione è che questo relativo anonimato digitale abbia tolto quei freni inibitori che solitamente contengono questi accessi di ira. Girovagando su Facebook non sembra esserci un argomento che dia il via a questi atteggiamenti, ma pare che queste esplosioni siano totalmente imprevediibili, come se certa gente attendesse il momento propizio per scatenare una propria repressione all’interno dell’agorà digitale.

E se pensiamo che sia un atteggiamento non così grave, conviene soffermarsi un attimo a valutare attentamente questa piaga. Quello che dovrebbe esser la base del vivere civile, ossia il dialogo, nella sua forma più libera e moderna sembra esser preda di una totale assenza di limiti, mostrando il fianco alla presenza di una compagine di commentatori che non esita far scaturire la propria ira, a loro avviso giustificata, contro chiunque non la pensi come loro.

Più si cerca di dialogare, più questa vis polemica dilaga. In diverse occasioni ho notato come la voce pacata di chi cerca di intavolare un discorso basato su confronto e ragionamento viene soffocata da offese e post da toni più accesi, che diventano delle calamite per like e reactions varie. Quello che ai tempi dei forum era un flame, ossia un argomento intavolato appositamente per generare un acceso dibattito, sui social è andato ben oltre.

Ed era anche comprensibile. L’ira dei sette vizi capitali si è evoluta, adeguandosi ai nuovi mezzi con cui può esser veicolata, arrivando anche nell’era digitale. E se una volta la piazza pubblica era quella del paese, dove una certa ritrosia nel lasciarsi andare a comportamenti poco consoni frenava certe teste calde, ora che questo ruolo spetta alla dimensione informatica, la distanza tra i soggetti è divenuto una comoda maschera dietro cui nascondersi.

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