L’agricoltura è considerata da tutti tra le più grandi conquiste umane che hanno contribuito al miglioramento del nostro stile di vita, rispetto a quello dei nostri antenati, le scimmie antropomorfe.
Tuttavia, spetta spesso alla scienza il compito dignitoso di ridimensionare, in modo drastico, l’immagine grandiosa che l’uomo ha di se stesso.
Secondo alcune scoperte, la nascita dell’agricoltura è stata sì una pietra miliare, ma nel male oltre che nel bene, portando a profondi e significativi cambiamenti della vita umana.
All’agricoltura si accompagnarono, infatti, non solo la produzione di scorte di cibo molto superiori al fabbisogno della popolazione mondiale, ma contribuisce alla nascita di malattie e, finanche, le grandi disuguaglianze sociali e sessuali che travagliano tuttora la nostra società ed esistenza.
Per capire come ciò sia stato possibile è bene effettuare un piccolo balzo indietro nel tempo, per capire come, quando e perché nacque quest’arma a doppio taglio che tutt’oggi regola in modo importante la nostra alimentazione, e non solo.
COME È NATA L’AGRICOLTURA E I CAMBIAMENTI IN ATTO
Lungo gran parte della storia, gli esseri umani praticarono uno stile di vita primitivo e semplice: cacciavano animali selvatici e raccoglievano vegetali edibili. Secondo un punto di vista tradizionale, alcuni antropologi definiscono tale stile di vita degli uomini cacciatori-raccoglitori come disgustoso, brutale e breve.
Questo punto di vista tradizionale fonda le sue convinzioni sul fatto che, poiché questi uomini non conoscevano l’agricoltura e non erano in grado di fare scorte di cibo, avessero una vita davvero molto travagliata dovuta alla dura lotta giornaliera alla ricerca cibi selvatici commestibili, onde evitare di morire di fame.
Dopo l’ultimo periodo glaciale, in diverse parti del mondo, vari popoli cominciarono indipendentemente a domesticare piante e animali. La rivoluzione agricola si diffuse in modo molto graduale, ed oggi in tutto il mondo sopravvivono solo poche tribù di cacciatori-raccoglitori.
Tuttavia i primi passi verso l’agricoltura non furono una sperimentazione cosciente e verso un fine voluto. Infatti la domesticazione di piante e animali si sviluppò a partire dalla combinazione tra comportamenti umani, reazioni e mutamenti negli animali e nelle piante che arrivarono in modo imprevisto.
Per esempio, per quanto riguarda la domesticazione degli animali, concorsero due fattori: l’uomo iniziò a tenere in cattività dei piccoli animali selvatici da adibire ad animali da compagnia, di contro, certi animali svilupparono l’abitudine ad approfittare della vicinanza all’uomo.
Come nel caso dei lupi, che seguivano i cacciatori umani per catturare le loro prede ferite. Similmente, i primi stadi dell’agricoltura videro la nascita spontanea di nuovi esemplari di semi, ricavati dalle piante raccolte dall’uomo, che venivano successivamente gettati perché non commestibili. Il risultato inevitabile di tutto ciò fu la selezione, seppur inconscia, delle specie vegetali e animali più utili, cui seguirono infine la selezione e la domesticazione pianificate e ragionate.
L’ottica progressista, sostenuta da alcuni studiosi, invece attribuisce all’agricoltura il merito di aver dato origine all’arte, la più nobile fioritura dello spirito umano.
Poiché il compito di procurarsi il cibo tramite l’agricoltura richiedeva meno tempo, l’uomo agricoltore ebbe quindi quella libertà che gli consentì di affinare l’arte, elevandola dai disegni rupestri, libertà che il cacciatore-raccoglitore non ebbe quasi mai.
Il tempo è sicuramente essenziale per creare e godere delle opere d’arte, in questa ultima analisi, quindi, fu proprio l’agricoltura che, come suo massimo dono, ci mise in grado di costruire il Partenone e di comporre la Messa in si minore.
L’AGRICOLTURA E LO SVILUPPO DI MALATTIE SCONOSCIUTE
La documentazione paletnologica dimostra che l’agricoltura si diffuse in Europa a passo di lumaca, appena un chilometro all’anno!
Dalle sue origini nel Vicino Oriente attorno all’8000 a.C., si propagò lentamente verso nordovest, raggiungendo la Grecia attorno al 6000 a.C., e la Gran Bretagna e la Scandinavia solo 2500 anni dopo, insomma non quella che si potrebbe definire un’ondata di entusiasmo.
E pensare che ancora nell’Ottocento, tutti gli indiani della California erano cacciatori-raccoglitori, pur essendo a conoscenza dell’agricoltura attraverso il commercio con gli indiani contadini dell’Arizona.
Sorge quasi spontaneo chiedersi: gli indiani della California erano davvero ciechi di fronte ai vantaggi dell’agricoltura, o erano invece così lungimiranti da scorgere, dietro la sua facciata scintillante, quegli inconvenienti che la nostra miopia ci impediva di vedere?
Mentre gli agricoltori tendono a concentrare il loro interesse su piante in grado di fornire un alto contenuto di carboidrati, come il riso e le patate, i cacciatori-raccoglitori conducono una dieta molto più varia. Infatti la varietà di piante e animali, che figurano nell’alimentazione delle ultime popolazioni superstiti che conducono tale stile di vita, fornisce più proteine e un migliore equilibrio di sostanze nutritive.
A confermare tale affermazione ci vengono incontro i tanto amati e affidabili (?) numeri; uno studio ha infatti desunto che l’assunzione media giornaliera di cibo da parte dei boscimani del deserto del Kalahari (tribù di cacciatori-raccoglitori) fornisce circa 2140 calorie e 93 grammi di proteine che è molto più di quanto preveda la Razione Giornaliera Raccomandata americana per persone di piccola statura ma di attività vigorosa (proprio come i boscimani).
Inoltre, i cacciatori-raccoglitori, incredibile ma vero, sono più sani, soggetti a poche malattie, e non subiscono le carestie periodiche che colpiscono i coltivatori dipendenti da pochi tipi di piante.
Ai boscimani, che utilizzano all’incirca 85 piante diverse, non potrebbe mai accadere ciò che successe in Irlanda nel 1845. È ben noto il caso della peronospora della patata, che, introdotta dal Nord America, provocò una terribile carestia per la popolazione irlandese in quanto la solanacea rappresentava la principale fonte di nutrimento per le persone.
Il risultato fu la morte di circa un milione di persone e l’emigrazione di almeno altrettanti negli USA, dove la comunità irlandese è fortemente presente ancor oggi. Insomma, a causa della malattia fungina di una pianta, nel 1845, un popolo si ritrovò fortemente ridotto e la storia fu segnata per sempre.
Allo stesso parassita fungino è stato attribuito un ruolo anche nella sconfitta delle truppe tedesche nella Prima Guerra Mondiale. È difficile da credere, ma questa fitopatia dopo ben 170 anni, continua a costituire un gravissimo problema per i coltivatori in tutto il mondo!
Ci sono state altre fitopatie all’origine di importanti episodi nella storia: nel 1722 le truppe dello Zar Pietro il Grande fallirono l’assalto a Costantinopoli (perdendo l’opportunità di invadere, con tutta probabilità, l’intera Europa!), a causa di una moria dei militari provocata dall’ingestione di cereali infetti da segale cornuta (parassita fungino delle graminacee).
Ma questi sono solo due dei tantissimi esempi che possono essere citati. Gran parte delle malattie infettive e dei parassiti che affliggono oggi l’umanità non poterono diffondersi fin dopo il passaggio all’agricoltura.
LA DIVISIONE IN CLASSI SOCIALI
Oltre alla malnutrizione, alla morte per fame e alle malattie epidemiche, l’agricoltura portò all’umanità un’altra maledizione: la divisione in classi.
Nelle popolazioni di cacciatori-raccoglitori, non esistono distinzioni in classi sociali. Questo è dovuto al fatto che, ad esclusione di bambini molto piccoli, vecchi e malati, tutti gli altri partecipano alla caccia e alla raccolta. Queste popolazioni non possono quindi avere re, professionisti vari, né classi di parassiti sociali che si ingrassino sul lavoro altrui.
Solo in una popolazione agricola potevano svilupparsi contrasti tra le masse, devastate dalle malattie, e un’ élite sana ma non produttiva.
Dando origine alle prime divisioni in classi sociali, l’agricoltura potrebbe anche aver esacerbato la già esistente disuguaglianza tra i sessi. Le donne divennero bestie da soma, atte principalmente a procreare.
A questo punto, uno scettico potrebbe chiedersi perché abbiamo adottato l’agricoltura nonostante questa unisse svantaggi non meno evidenti ai vantaggi.
Possiamo affermare che l’agricoltura poteva sostenere un numero molto maggiore di individui rispetto alla caccia e alla raccolta, a prescindere dal fatto che fornisse o no una quantità di cibo pro capite. (La densità di popolazione dei cacciatori-raccoglitori è normalmente di una persona ogni 2,5 chilometri quadrati, mentre per gli agricoltori è di almeno 10 volte tanto).
Ciò si deve in parte al fatto che un ettaro coltivato fornisce una quantità di cibo molto maggiore e di conseguenza può sfamare un numero molto maggiore di bocche, rispetto a un ettaro di foresta in cui crescono piante selvatiche disseminate qua e là o confinate in un determinato territorio.
Forse, la ragione principale per la quale l’agricoltura è sempre stata considerata un bene per l’umanità è proprio questa: le maggiori tonnellate di cibo per ogni ettaro di terreno. Ma tendiamo a dimenticare che questo implica anche più bocche da sfamare, e che la salute e la qualità della vita dipendono dalla quantità di cibo disponibile per ogni umano.
Debora Soldato
Foto Copertina by Imma Marzovilli
Categorie:CULTURA, MetisMagazine