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L’ALTRA FACCIA DELLA DIVERSITÀ. INTERVISTA A ROCCO MELISSA, PRESIDENTE DI #BASTAPOCO RARE DISEASES

“La saggezza è stare con la differenza senza voler eliminare la differenza”

(Gregory Bateson)

Se Horace Walpole abitasse ancora il nostro mondo non avrebbe dubbi su quale nome attribuire alla concatenazione di eventi che mi ha condotto a questa intervista; Serendipità, un termine che descrive la capacità – o forse semplicemente la fortuna – di fare, per caso, inattese e felici scoperte mentre si sta cercando altro, o magari anche nulla.

Potrei definirlo senza dubbio un incontro fortuito quello con Rocco Melissa, una persona che conosco sin da bambina, perché la nostra è una piccola comunità e perché le nostre vite e i nostri percorsi si sono incrociati qualche volta per svariati motivi; una persona con cui, però, prima di un mese fa non mi era mai capitato di bere un caffè e poter chiacchierare su progetti, idee, prospettive, valori che ho scoperto accomunarci.

Mi sono sentita un pò come Alice, la bambina di sette anni e un pò, la cui placida lettura nel giardino di casa è stata interrotta dall’improvvisa apparizione del Bianconiglio, seguendo il quale la piccola Alice si è ritrovata catapultata nel Paese delle Meraviglie.

Non c’erano Stregatti, né Cappellai Matti, né Regine di Cuori nel Paese in cui mi ha condotto il mio interlocutore, ma drammi esistenziali assai difficili (forse impossibili) da metabolizzare, problemi di integrazione, socializzazione, sessualità legati alla condizione di “diversità” con cui chi vive una disabilità si trova a dover fare i conti, ma dalla quale in molti casi è al contempo in grado di ricavare la forza e la determinazione di fungere da esempio per chi quella diversità non la conosce affatto, non ci si è mai cimentato o non vuole avervi a che fare.

Mi piace pensare che #BastaPoco realizzerà il suo sogno, spostando il grande masso che ostruisce la via, svuotando l’oceano goccia a goccia, portando la luce dove c’è il buio, creando le condizioni per una società – e per una comunità – in cui tutti possano esprimere concretamente le proprie potenzialità ed avere la giusta collocazione; quella che conferisce dignità alla persona, per il bagaglio dei valori che ha da trasmettere e delle naturali inclinazioni che ha da esprimere.

Penso che i veri limiti, il più delle volte, siano da ricercare negli occhi di chi guarda. Non ci sono limiti, invece, in un mondo in cui giochiamo alla pari e siamo uguali gli uni per gli altri.

La mia esortazione è, quindi, a guardare con attenzione, non solo con gli occhi, ma soprattutto con il cuore.

In fondo eliminare ostacoli, barriere e difficoltà alla piena realizzazione della personalità umana è diritto costituzionalmente garantito, ma soprattutto un dovere di tutti; e per farlo – vi assicuro – #BastaPoco!

Buongiorno Rocco, grazie per aver acconsentito a rilasciare un’intervista a MetisMagazine. Come nasce e di cosa si occupa #BastaPoco?

#BastaPoco nasce, come spesso accade, dall’incontro casuale di persone che vivono direttamente l’esperienza di una malattia rara e di persone che ogni giorno devono scontrarsi con barriere che mortificano la loro diversità. Uno sparuto numero di persone, intorno ad un tavolino di un bar, si sono interrogate su quale avrebbe potuto essere il loro contributo sui due aspetti focalizzati: sostenere la ricerca sulle malattie rare ed abbattere le barriere, soprattutto mentali, che rendono “diverse” le abilità delle persone.

V’è una metafora che sintetizza il nostro concetto di cooperazione associativa. E’ la metafora del masso. V’è un grande masso da spostare dalla strada perché impedisce il cammino. Un uomo solo prova a spostarlo, ma il masso è talmente grande che ogni sforzo è vano. Chiede aiuto al successivo viandante, ma il peso del masso è ancora troppo grande. Arrivano altri viandanti e, dopo un po’, si acquisisce una forza tale da spostare il masso senza nessuna fatica. E’ il miracolo della cooperazione, cioè di quella possibilità di dare, senza enormi sforzi, una risposta ai bisogni sia individuali che collettivi.

Perché #BastaPoco?

L’espressione #BastaPoco, presa a denominazione del nostro sodalizio, è una sintesi appunto della metafora del masso da spostare. E’ il focalizzare l’attenzione sul concetto di cooperazione: più si è in tanti, più quel poco dato da ognuno diventa una vera forza dirompente che spazza via tutti quegli ostacoli fisici e mentali che limitano la quotidianità della vita di tante persone.

L’immagine della vita associativa che più ci rappresenta, è un cerchio che non si chiude. Mani che stringono altre mani e che aspettano insieme di stringerne ancora altre. Tante storie di tante vite, che si intrecciano in un unico grande cerchio.

Ci racconti qualcosa della tua squadra? Qual è l’anima dell’associazione?

#BastaPoco è fatta di persone che provengono da esperienze diverse e, per usare una espressione ormai desueta, da diverse classi sociali. Abbiamo iniziato in pochi e sprovveduti, muniti solo di buona volontà. Fin dall’inizio, però, concretizzando il concetto di cooperazione, abbiamo cercato di coinvolgere chi, meglio di noi, poteva aiutarci a sensibilizzare l’opinione pubblica, gli Enti, le Istituzioni e il mondo associativo sulle problematiche relative alle malattie rare e alla disabilità.

Oggi il sodalizio è formato da oltre cinquanta soci è può vantare diversi professionisti esperti nelle tematiche affrontate. Ma v’è di più. L’unicum della nostra associazione è costituito dalla partecipazione corale. Nelle varie iniziative fin qui implementate non v’è stata solo la presenza di tutti i soci, bensì anche la loro attiva partecipazione all’organizzazione vera e propria.

Quali sono i progetti che avete realizzato e quelli che vorreste ancora realizzare ed ai quali state lavorando?

#BastaPoco nasce per svolgere attività di utilità sociale a favore sia degli associati che dell’intera comunità territoriale: assistenza sociale e socio-sanitaria, beneficenza, formazione, sport e disabilità, promozione della cultura e dell’arte, tutela dei diritti civili, turismo accessibile.

In poco più di un anno di vita associativa abbiamo organizzato convegni per diffondere la conoscenza sul tema delle malattie rare e stimolare una raccolta di fondi per contribuire alla ricerca. Abbiamo allestito il progetto insuperabile nell’ambito del tema inerente il turismo accessibile; sedie da mare job sono state messe a disposizione gratuita di tutti i diversamente abili che hanno voluto trascorrere una giornata sulle splendide spiagge del mar Jonio che bagna il nostro territorio.

Abbiamo, inoltre, cercato di rompere quel doloroso silenzio che circonda tutte le coppie colpite da un lutto perinatale. L’iniziativa Baby loss Awareness Day, giornata della consapevolezza sulla morte perinatale, è stata realizzata con l’allestimento di un laboratorio formativo per bambini e con l’allestimento del luogo dei battiti nella piazza principale della nostra comunità. E’ il luogo della memoria di quel dolore, ma anche il segno della condivisione da parte di tutta la comunità. Infine v’è stato il simbolo dell’onda di luce che unisce idealmente tutti i paesi del mondo.

Il progetto su cui il sodalizio è impegnato in questo periodo l’abbiamo denominato #diversaMENTE.  E’ un progetto di educazione alle differenze ed al rispetto delle diversità. E’ una sorta di laboratorio multidisciplinare di studio e di ricerca sulla diversità a partire da una rivisitazione critica del nostro pensiero e delle categorie mentali con cui rappresentiamo l’alterità. E’ un’esperienza dell’alterità etnica, della disabilità, della diversità socio-economica e della limitazione all’affettività ed alla sessualità. Vogliamo ragionare insieme sul ruolo che può avere l’educazione nel dare la speranza in un futuro in cui la comunità faccia tesoro delle differenze, anziché espellerle. Occorre costruire una alleanza tra tutti coloro che si occupano di educazione, la scuola, la famiglia, le istituzioni, il mondo associativo, per affrontare insieme il problema ed educare sia le nuove generazioni, sia il mondo degli adulti, al rispetto delle differenze.

Cos’è per te la disabilità, oltre che uno status clinico?

La disabilità è, prima di tutto, uno stereotipo mentale. Abbiamo costruito e continuiamo a costruire un mondo a misura della maggioranza perché, evidentemente, sono i grandi numeri a sostenere uno sviluppo fondato esclusivamente sulla crescita. Un modello di sviluppo globale fondato sulla crescita continua dei consumi che, ovviamente, esclude le differenze non abili perché poco produttive. Non parlo solo di macroeconomia, bensì della vita quotidiana delle persone disabili. In quante città c’è un bar a misura di non vedenti? In quante città c’è un cinema per non udenti? Quanti pub o negozi o biblioteche non hanno barriere architettoniche che permettono ad un diversamente abile di muoversi liberamente? Continuiamo a costruire città esclusivamente a misura dei cosiddetti normodotati. Perché nei gruppi di progetto dei piani territoriali non includiamo anche una persona disabile? Forse la sua esperienza potrebbe essere illuminante nell’esperienza di progettare la città. So bene che ci sono delle esperienze in tal senso, ma proprio perché esperienze di nicchia, non cambiano la quotidianità di migliaia di persone che ogni mattina hanno il semplice problema di attraversare una strada con un marciapiede senza rampe.

La disabilità è espulsa ed ignorata dalla cultura edonistica, tipica di gran parte della nostra società. La sostenibilità della disabilità è l’effetto di un cambiamento del paradigma culturale dominante e questo è possibile solo con una forza che nasce dal basso, dal sodalizio di liberi cittadini che costituiscono una sorta di controvalore fondato su un modello inclusivo che tenga conto delle minoranze, soprattutto economiche e contrasti la crescita a tutti i costi.

Cosa si intende per cohousing e come si arriva a realizzare un contesto ed una società sostenibili?

Il nostro impegno attuale può essere inscritto nell’alveo di due grandi tematiche. Da una parte c’è l’impegno informativo e formativo sulla diagnostica preconcezionale, prenatale e neonatale. Vorremmo che il maggior numero di coppie avesse una piena conoscenza diagnostica perché solo questo garantirebbe un cammino consapevole verso la maternità e la paternità.

Evidentemente la diagnostica medica e genetica non bastano se vi è ancora tanta disabilità e diversità. Noi crediamo che su questo tema possa svolgere un ruolo fondamentale una comunità solidale. Pensiamo ad una sorta di cohousing nel quale il concetto di abitare (habere: avere, possedere) non sia solo in riferimento alla casa, bensì alle regole sociali. Una sorta di riscrittura delle regole sociali al fine di trasformarle in “possesso” di tutti gli abitanti di quella comunità. Una riscrittura che riveda i criteri di definizioni della diversità e preveda criteri maggiormente inclusivi in cui, appunto, la diversità possa essere considerata un punto di forza e non un elemento da espellere. L’dea di cohousing esprime il senso dell’abitare insieme, del possedere insieme la città e le sue regole di vita. Esprime il senso di una comunità vivente, quasi avvolgente nei confronti di tutti i suoi abitanti, nessun escluso.

Una comunità solidale si realizza necessariamente attraverso piccoli gruppi con la forza della perseveranza che spesso sorregge anche le grandi utopie. Ritorna la metafora del masso da spostare. Il piccolo gruppo cresce fino al punto di diventare una comunità ed allora #BastaPoco a spostare quel grande masso.

Qual è il tuo pensiero e quello di #BastaPoco sulla diagnosi prenatale? 

La cultura della diagnosi preconcezionale, prenatale e neonatale è uno dei grandi impegni del nostro sodalizio. Ovviamente cerchiamo di farlo con l’aiuto imprescindibile di tanti professionisti del settore che costituiscono delle vere eccellenze di questa nostra terra lucana. Il loro contributo è tanto più prezioso perché è dato nell’assoluta gratuità ed in ogni ambito, senza nessun clamore mediatico e senza alcun ritorno di immagine. A questi professionisti va davvero un nostro immenso ringraziamento per tutto il loro impegno.

Questo tipo di diagnosi è alla base di un percorso di maternità e paternità consapevole. Offre la libertà di scelta consapevole perché fondata su una maggiore conoscenza. Ma offre anche gli strumenti sia per portare a temine consapevolmente quel meraviglioso viaggio di nove mesi fino alla nascita di un bambino, sia per iniziarne, subito dopo, un altro con un bambino diverso. Un viaggio che prevede una completa riscrittura di tante regole non adatte alla diversità.

Disabilità e sessualità, un binomio che ai cosiddetti “normodotati” sembra una sorta di stranezza. È davvero così? Cosa ci dici in proposito?

Il binomio disabilità e sessualità è il tema su cui l’associazione si sta interrogando in questo periodo. Se da una parte si assiste ad una certa spinta ad ampliare le opportunità e le possibilità nella vita quotidiana di un disabile (per la verità ancora troppo blanda), dall’altra il tema della sessualità è semplicemente ignorato, come se ogni persona disabile fosse una sorta di angelo asessuato.

Il tema è espulso dal dibattito pubblico ma, evidentemente, esiste in tutta la sua cogenza per ognuno che condivide l’esperienza della disabilità. Spesso è risolto mediante la prostituzione o la prestazione familiare, ma il tutto deve rimanere nascosto ed è difficile anche il solo parlarne.

La sessualità dei disabili fisici riesce ad essere a malapena socialmente accettata, ma quella dei disabili mentali è assolutamente un tabù, pregiudizievolmente proibita perché a rischio e dannosa. Fatto salvo, poi, l’esprimerla, di nascosto, solo nella forma più arida di puro rapporto sessuale.

Noi vorremmo riportare il dibattito in pubblico per creare un nuovo paradigma culturale che parli di sessualità prima ancora che di sesso, che aiuti il disabile a vivere un’esperienza di sessualità pari a quella di tutti gli altri uomini e di tutte le altre donne. Abbiamo notato che spesso v’è carenza di operatori qualificati in tema di sessualità e disabilità. Vorremmo impegnarci anche per qualificare adeguatamente chi presta la propria attività professionale nella vita di un disabile. Vorremmo impegnarci affinché la sessualità venga iscritta a pieno titolo nell’alveo delle opportunità e possibilità di vita di un disabile.

Ci sono disabili che raggiungono traguardi inimmaginabili ai più; nel lavoro, nello sport, nell’arte ed in molti altri contesti. Pensi che in alcuni casi la disabilità possa fare da sprone?

Credo di sì. Probabilmente v’è una sorta di rivincita sociale che sprona un maggiore impegno in diversi campi e contesti.

Tuttavia la nostra cultura associativa continua a prediligere la cooperazione ed a concepire l’impegno profuso da ognuno nello studio, nel lavoro, nello sport, nell’arte, ecc., come il proprio contributo alla costruzione di una comunità solidale da abitare. Viviamo in una società in cui tutti i media sbandierano la competizione come uno sgomitare continuo per farsi largo e per affermarsi a discapito di altri. Anche in questo caso vorremmo proporre una cultura della sostenibilità dal basso. Un modello nel quale l’accento è posto sul contributo che ognuno può dare in cooperazione e non in alternativa a quello di tutti gli altri membri della comunità.

Qual è la risonanza mediatica del tema della disabilità? Nel racconto televisivo si tratta sempre di veri e propri casi strappalacrime; è emozionalità o bigottismo?

Il media televisivo, sia quello istituzionale che quello commerciale, è sempre più incentrato su format di new television. Lo scopo dei reality, dei talk show  ed anche quello dei programmi di approfondimento politico, è sovrapporre sempre di più la figura del personaggio con quella dello spettatore. In questo contesto la disabilità diventa uno strumento strappalacrime a servizio della ricerca spasmodica di audience. I programmi che provano a promuove una riflessione dello spettatore su tematiche sociali, qual è quella della disabilità, sono davvero pochi e trasmessi in orari improbabili.

Credo che l’obiettivo malcelato del media televisivo sia quello di emozionare anche la razionalità al punto da proporre sempre soluzioni dicotomiche del tipo: per contrastare il nero c’è bisogno di più bianco, per contrastare la delinquenza c’è bisogno di armi, per lenire la disabilità c’è bisogno di esaltare l’esperienza di quel disabile che, per una serie di fatti ed occasioni contingenti ed irripetibili, ha raggiunto traguardi proibitivi anche per i normodotati.

I social network inevitabilmente finiscono per imitare il più pervasivo media televisivo, con l’aggravante della condivisione esclusivamente emotiva indotta dal modo assolutamente emozionale e, a volte, anche bigotto con cui vengono proposte le immagini.

Purtroppo credo che i media diano un notevole contributo alla costruzione di una cultura che espelle tutto ciò che si allontani dalla media, che addita come problema la varianza delle diversità.

#BastaPoco non è solo uno slogan. E’ una forma mentis ed un modus operandi. Cooperare e agire insieme intersecando il collettivo con l’individuale. Allora quel poco da parte di ognuno diventa considerevole per costruire una comunità solidale in un nuovo modello di città, con le sue strade, le sue piazze, i suoi uffici ed i suoli locali pubblici, a giusta misura per tutte le diverse abilità.

Grazie infinite, Rocco, per gli importantissimi spunti di riflessione regalati alla redazione e ai nostri lettori; grazie davvero per lo spessore di ogni singolo pensiero espresso nel corso di questa intervista, per la cognizione e l’analiticità al di sopra di ogni cosa, per l’inequiparabile competenza, ma soprattutto per il Tuo grande cuore e per l’innegabile dedizione che traspare da ogni singola parola! Il nostro più sentito in bocca al lupo a #BastaPoco!

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