Disney licenzia James Gunn, regista di cinecomic osannato dagli appassionati del genere, per una serie di tweet, di circa dieci anni fa, considerati a dir poco scandalosi. Conseguenza inevitabile è l’insorgere di un polverone mediatico, con fazioni pro-Disney ed altre che difendono a spada tratta il regista americano, che ammette di aver varcato il segno con quei tweet.
Certo, la cosa sembra risolta, ma si tratta di un episodio che, se analizzato più a fondo, offre lo spunto per fare qualche considerazione. La prima, inevitabilmente, è che l’uso di social quali Twitter o Facebook è ormai diventata una potenziale minaccia per noi stessi, una mina vagante prova di un nostro momento di stupidità che potrà esser usato contro di noi nel peggior tribunale: quello digitale.
All’epoca, i tweet di Gunn passarono inosservati, e lo sarebbero rimasti ancora per chissà quanto, magari per sempre, non fosse che il regista ha scelto di contrastare a suon di cinguetii niente meno che Trump, attirandosi l’ira dei sostenitori del Presidente americano. Ed ecco quindi che quanto detto in precedenza diventa un’arma da usare, andando a rinfacciare al bersaglio di turno esternazioni di un decennio prima. Che in dieci anni una persona può cambiare e non sentirsi più rappresentato da certe sue precedenti idee, ma poco importa, scripta manent e ne paghi le consequenze in eterno. Roba che vien voglia di cancellare account social almeno una volta all’anno per sicurezza.
L’aspetto più ironico è che Gunn fosse stato assunto da Disney proprio per la sua particolare ironia, che avrebbe dovuto iniziare un percorso di rinnovamente nella produzione cinematografica del colosso americano sfociati nei due I Guardiani della Galassia (incassi milionari, per la cronaca). Insomma, si parla di un regista che realizzato Tromeo e Juliet che di casto e politcamente corretto ha davvero poco.
Quindi, perché all’improvviso licenziare Gunn per cose dette dieci anni fa? Per l’immagine,ovviamente.
Nei contratti viene spesso inserita una clausola relativa a condotte poco consone anche in periodi precendeti all’assunzione, una sorta di via fuga per evitare di farsi coinvolgere in scandali potenzialmente dannosi. L’immagine è tutto, oggigiorno più che mai. Si può disquisire sulla latente ipocrisia di un sistema che punisce Gunn e mette una battuta sulle dotazioni intime di Hulk in Ragnarok, possiamo notare una certa iniquità in un paese in cui la libertà è portata al limite estremo ma se tocchi il Presidente sei mediaticamente morto, ma rimane invariata la verità: Gunn ha detto quelle cretinate e Gunn ha firmato un contratto. Il resto, è al massimo pura accademia.
Forse sarebbe il caso di chiederci, a fronte di quanto accaduto, quanto sia più necessario un suo più corretto e ragionato dei social. Non è una novità che molti recruiter sondino i candidati anche attraverso il loro mondo social, ma ancora oggi ci troviamo a dover affrontare una serie di post, tweet e commenti che segnano uno sforzo di esser sarcastici ed ironici che sfocia, al meglio, nella demenza digitale più infame.
Si potrebbe parlare di netiquette, di maggiori controlli e di una forma di necessaria censura su certe modalità di espressione, ma all’origine c’è sempre la mancata percezione di come la nostra realtà sia sempre più social, aumentando anche la nostra esposizione. Questa maggior visibilità richiede un controllo più accorto delle nostre parole, in un certo senso ci responsabilizza maggiormente.
Se prima la cretinata detta era recepita dagli amici del bar, oggi arriva migliaia di persone. Se i suddetti amici del bar se la dimenticavano in qualche giorno, su internet tutto rimane, pronto ad essere utilizzato contro di noi alla prima occasione.
Gunn è, principalmente, una vittima del suo uso della sfera social. Personalmene non ho gradito i suoi tweet, ma il licenziamento è eccessivo, bastavano delle scuse per mostrare il pentimento sincero del proprio errore. Ma siamo nel mondo digitale, che è giudice e boia delle nostre vite, dove la visibilità di un presidente batte quella di un regista, dove una major pavida privilegia l’onorabilità della propria aura di politicamente corretto (su cui si potrebbe discutere a lungo) e sceglie di prendere le distanze dal casus belli il più rapidamente possibile.
È parte del gioco, accettiamolo. Forse, dopo esserci divertiti e scateanti con questo giocattolo a suon di post e tweet sarebbe ora di imparare le regole del gioco.
E fare un controllo sul nostro passato social, prima che lo faccia qualcun altro.
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