ATTUALITÀ

IL SOTTILE CONFINE TRA PERCEZIONE E VERITÀ

Per diverso tempo si è trasmessa la nozione che la nostra fosse diventata la società dell’immagine. La realtà, quindi, non era più un dato oggettivo ma solamente ciò che si potesse vedere. Dato che l’evoluzione, o involuzione, è un processo continuo, il passaggio successivo è stato l’ingresso nella società della percezione. Non conta più il dato oggettivo, ma il modo in cui la realtà può esser veicolata per venire compresa dalla massa, andando in un certo qual modo a pilotarne le reazioni. Oggi Karl Marx, probabilmente, riformulerebbe il suo celebre pensiero in Percezione oppio dei popoli. 

Parlare di bufale e fake news è fin troppo facile in questo contesto, l’insidia si nasconde principalmente in quella manipolazione sottile che si sviluppa da una base di verità, venendo strumentalizzata, a seconda delle fazioni, per privilegiare un aspetto a scapito della realtà del fatto. 

Ormai, ogni evento può diventare un’accusa o una difesa di una certa politica, la notizia di un’aggressione può essere percepita come un reato di razzismo o venire ridotta alla semplice lotta politica. Dove sta la verità? Sepolta tra le mille parole di tweet e post, annaspando in cerca di un po’ di ossigeno che le consenta di far sentire la sua voce. Ammesso interessi ancora a qualcuno, sia ben chiaro. 

Vorrei precisare che noi non dobbiamo dire la verità per convincere quelli che non la conoscono, ma per difendere quelli che la conoscono
(William Blake) 

Parlare di verità non è utile, attualmente. La verità non ha colore politico, è nuda e netta, non si piega a questa o quell’esigenza, si presenta brutalmente senza possibilità di interpretazione. Ma non si presta al gioco della manipolazione, una verità semplice, senza fronzoli o che non sia appetibile al popolo della rissa verbale, ha un grosso difetto: l’inutilità. 

Non si vende. Non genera traffico online. È un fatto piatto e bidimensionale, manca della profondità del dialogo sociale dietro cui si nasconde, sorniona, la voglia di violenza da tastiera, in cui si fa a gara a convincere l’altro di aver la verità assoluta, sfoggiando una ricca serie di slogan, trincerandosi dietro una serie di mantra che sono il simbolo di una perdita di voglia sincera di un confronto costruttivo. 

Nel commentare una notizia particolarmente sentita, parte subito la gara al link di supporto, preso sempre da testate apprezzate dal nostro pensiero, perché il conforto di un qualcuno che dice ciò che pensiamo vale più del confronto razionale con chi la pensa diversamente da noi. Quello che dovrebbe esser uno dei punti forti di una società sempre più aperta come la nostra è diventato quasi un difetto, lo scambiarsi opinioni in modo paritario diventa una perdita di tempo, la ragione non sta più nel mezzo, appartiene solo ad una fazione: la nostra. Gli altri sono grillini o piddioti, sono “k”asta o incompetenti. 

Manca l’umiltà di informarsi, di ammettere che certe volte non conoscere un argomento può portare ad una mancata visione oggettiva di ciò di cui si parla. La grande bugia della libertà di parola è che non è necessario usarla sempre, quando mancano le basi su cui ragionare il silenzio diventa la più alta forma di intelligenza. Oggi, invece, alcune frasi sono diventate una sorta di presenza costante nella vita sociale, specialmente digitale, di tutti noi. 

È impossibile portare la fiaccola della verità in mezzo alla folla senza bruciare qua e là una barba o una parrucca.
(Georg Lichtenberg) 

Dal ‘Non so se è vero, ma condivido nel caso lo sia’ al ‘Non devo per forza conoscere questo argomento, per dire la mia’, stiamo assistendo ad un lento imbarbarimento del confronto, basato su un’apparente legittimazione dell’ignoranza spicciola, che ci illude che solo perché una notizia mi spiega il fatto X ora ho le basi per commentarlo. Il trionfo dell’effetto Dunning- Kruger. 

Ecco che improvvisamente sono tutti giuristi affermati, immunologi luminari, capaci di vanificare anni di studi e dati scientifici appellandosi a misconosciuti enti e ricercatori di dubbia fama che hanno un valore incredibilmente vincente: supportano ciò che pensiamo! Siamo improvvisamente tuttologi, un giro su Wikipedia o la lettura di un articolo e siamo esperti in materia, crogiolandoci nell’illusione di aver piena competenza di un argomento e poterne parlare con chi, magari, ha studiato anni la questione e ne ha fatto una professione. E se veniamo contraddetti, non si abbassa la testa, basta accusare di nascondere la verità o di far parte di ‘poteri forti’. Abbiamo così idolatrato la libertà di espressione oggi così facilmente esercitabile, che paradossalmente sarebbe necessario ridimensionarla, per darle nuovamente quel valore imprenscidibile per cui nei secoli si è tanto lottato. 

Questa degenerazione è una colpa che va condivisa tra tutti, sarebbe troppo facile attribuire a una fazione la responsabilità di avere trascinato così in basso il confronto. Quello che viviamo è il frutto di una lenta ma costante guerra fatta di slogan, antipatia trasformata in odio per essere ancora più radicata, in cui tutto viene ridotto non al fare il meglio che possiamo, bensì al valorizzare le mancaze degli altri. Non siamo più spinti ad essere la migliore versione possibile di noi stessi, ci basta dimostrare come gli altri siano peggio di noi. 

Sfortunatamente questo clima di bassezza è una manna per chi prende le decisioni, conscio che basta accendere qualche miccia ogni tanto per lasciare che l’esplosione seguente animi le discussioni con toni sempre più violenti, perpetrando un sistema che allontana sempre più le posizioni anziché trovare un punto d’incontro. 

A volte l’uomo inciampa nella verità, ma nella maggior parte dei casi si rialza e continua per la sua strada
(Winston Churchill) 

A farne le spese, amaramente, è la società stessa. In quest’ottica ipercinetica di post e tweet, di hashtag acidi e slogan urticanti, si perde il contatto con l’altro, che diventa il nemico, l’inferiore che non comprende la nostra superiorità, morale, etica, totale. E ci si allontana ulteriormente, creando fratture ideologiche che investono la vita comune su così tanti aspetti che nemmeno ce ne rendiamo conto, troppo occupati a scovare l’ennesimo tweet da cacciare in gola allo scemo che non la pensa come noi. 

Fare un passo indietro, non è consigliabile ma necessario. Non si deve rinunciare al confronto, perché è il motore essenziale del progresso e della crescita di una società sana, bisogna ricondurre il tutto ad un ambito più sereno e, soprattutto, rispettoso. Quel valore illuminista di rispetto e protezione dell’opinione altrui è stato ormai abolito implicitamente, creando un percorso di distruzione che ha infine colpito la Verità, rendendola né più né meno che uno strumento da usare a nostro vantaggio, dandole la forma che più ci aggrada. 

Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente.
(Bertolt Brecht)

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