A Tristano e Isotta, per l’irrinunciabilità della nostra Amicizia.
L’ultima tappa. Tra felicità e tristezza; con il magone dovuto alla commozione, ma anche alla consapevolezza che non l’avrebbe più rivisto. Quella mattina Delia si preparò in fretta e partì verso la meta; felice, in fondo, che i suoi desideri si erano avverati; ansiosa di percorrere quegli ultimi venti chilometri. La fatica cominciò subito a farsi sentire, le ginocchia erano ormai provate dai troppi giorni di marcia senza sosta, né riposo.
Che sensazione strana provò mentre camminava da sola; veramente sola per la prima volta. Un senso di libertà assoluta, ma anche di vuoto. Emozioni contrapposte che però non stridevano affatto tra loro. È paradossale il senso di equilibrio tra il bianco e il nero, tra la luce ed il buio, tra il giorno e la notte, tra le ragioni della testa e quelle del cuore. È questo che si crea lungo il cammino. È la magia di Santiago.
La solitudine convive con la condivisione e le due condizioni si amalgamano e si sovrappongono con la massima naturalezza, in uno stato di equilibrio perfetto.
Assorta nei suoi pensieri, assuefatta ormai al dolore che le contraeva il volto, Delia era già arrivata a Monte do Gozo; decise di dare ascolto al brontolío che proveniva dal suo stomaco e che disturbava il raccoglimento e la conciliazione dei suoi pensieri; così si fermò per uno spuntino.
Guardò l’orologio e in effetti era proprio l’ora giusta per concedersi un gelato; sì, un gelato ci stava proprio, per colmare l’assenza di affetto che provava in quel momento, o forse semplicemente un peccato di gola.
Poi quella telefonata. Fu sopraffatta da un sussulto quando lesse il suo nome sul monitor dello smartphone; le sembrò di trovarsi in una stanza insonorizzata con dei cartoni di uova quando ascoltò il suono della sua voce.
Lui le raccontò che era arrivato a Santiago il giorno prima, che aveva preso un autobus per Oporto e che da lì sarebbe tornato con una corsa notturna a Murcia, la sua casa.
I due si scambiarono qualche convenevole che celava a malapena il desiderio inespresso di parlarsi ancora, per dirsi tutto quello che in quel frangente provavano l’uno per l’altra.
La voglia di stare assieme, la rabbia per essersi persi lungo la strada, il rammarico di non aver tentato di cercarsi quando, giunti a Melide, erano stati letteralmente travolti dalla fiumara di gente che festeggiava e brindava in onore del dio Bacco.
Poi il saluto; il bacio e l’abbraccio che si rivolgono platonicamente, con un nodo alla gola, a chi si sa già che non si rivedrà più; perché in fondo siamo dei piccoli, microscopici puntini sparsi per il mondo, le cui traiettorie si incrociano per pura casualità, che condividono attimi, percorsi, intenti, ma che prima o poi ritornano ciascuno al proprio punto di partenza.
La telefonata si interruppe e il vuoto la assalì; di nuovo.
Legàmi. Sono strani; o forse è strano che sia possibile trascorrere degli anni al fianco di qualcuno senza riuscire a condividere con questi le cose più semplici, e sia altrettanto facile, invece, beneficiare della magia di un solo istante con qualcun altro e poter parlare con lui per ore ed ore senza mai smettere; e non perché sia imbarazzante rimanere in silenzio, ma piuttosto perché si ha come la sensazione di dover recuperare il tempo perduto, nella amara convinzione che quello che si ha davanti è troppo poco.
Ma dov’era Luis fino al momento in cui i loro sguardi si erano involontariamente incrociati ed ancor più involontariamente ed inconsapevolmente le loro labbra si erano scambiate un sorriso, augurandosi semplicemente “Buen camino”?
Era immersa in tutti quei pensieri quando riprese a camminare per raggiungere la sua agognata destinazione; il telefono squillò di nuovo.
Quasi la disturbò sentire la vibrazione mentre cercava di raccogliere le idee e di concentrarsi per affrontare con il giusto sprint l’ultimo sforzo.
Prese lo smartphone dal marsupio; il sole era alto e la luce si rifletteva sullo schermo impedendole di visualizzare chi fosse a chiamarla.
Si fece ombra con le mani e trasalì, per un attimo un brivido le attraversò la schiena sudata ed ebbe quasi la sensazione che le stessero cedendo le ginocchia.
Esitò un momento; era come paralizzata dall’ansia e dall’emozione. Era ancora lui.
Quando finalmente riuscì a rispondere fu travolta dal calore della sua voce e le sembrò di trovarsi in un limbo, tra immaginazione e realtà. Luis le rivolse le uniche parole che avrebbe mai sperato di ascoltare in quel momento. E le sembrò di volare. “Te importa si voy para allà? No puedo volver a casa ahora. Quiero acabar contigo!” disse lui deciso.
Delia farfugliò qualcosa e poi chiuse il telefono.
Accelerò il passo, di colpo, all’improvviso, senza più avvertire alcuna sensazione fisica, consapevole e felice di avere un motivo in più per voler raggiungere la meta; in fretta.
L’arrivo alla cattedrale fu doloroso. Delia pianse in silenzio e condivise il momento al telefono con la persona più importante della sua vita, sua madre. Senza troppi fronzoli.
Non aveva ancora capito dove si trovava esattamente. Doveva realizzare.
La coronazione del suo cammino era compiuta, ma non piangeva quasi mai per gioia per cui cominciò subito a organizzare il da farsi; di lì a poche ore lo avrebbe rivisto.
Luis giunse dopo qualche ora a Santiago; arrivò lì per lei, mentre Delia era in uno spaccio di vestiti a provare qualcosa che la rendesse presentabile.
Lei uscì dal camerino nell’esatto istante in cui lui varcò la soglia del negozio, come se si fossero sincronizzati; si guardarono dritto negli occhi e cominciarono ad incedere l’uno verso l’altro, scavalcando pile di vestiti, stand di abiti appesi e avventori; c’erano solo loro due, tutto attorno il niente.
Si raggiunsero e si strinsero forte, più forte che potevano, più forte di quanto si possa immaginare; l’abbraccio diventò reale e la sensazione fu quella di essere stati sempre insieme, fu quella di essere amanti, innamorati, amici, anime gemelle abituate a gestire serenamente la distanza; come se fosse sempre stato così.
Quell’abbraccio permise a Delia di capire molte cose; i sentimenti non si decidono, né se ne decide la naturale evoluzione. Ci sono, ti assalgono, si trasformano, ti dominano. Sei soggiogato dalla loro forza.
Delia realizzò che la strada giusta è quella che detta il cuore, specie se non scende a patti con la ragione, e che quando arriva l’amore, quello vero, non c’è niente che si possa fare perché le cose vadano diversamente.
Quella notte fu bellissimo, intimo come mai nella vita di entrambi, entusiasmante come non era accaduto prima; in quella piccola stanza d’albergo dall’arredo semplice, ma pulita, profumata di fiori di lavanda; uno spazio tutto loro dopo così tanti giorni trascorsi in gigantesche camerate.
Fecero l’amore e si addormentarono abbracciati l’uno all’altro; i loro corpi nudi rimasero immobili in un contatto che non avrebbero mai voluto perdere.
Il risveglio non svilì la grandiosità dell’incontro; il senso di fame di chi è appagato, la colazione al tavolo dell’hotel, tra una parola dolce sussurrata ed uno sguardo complice, il burro e la marmellata; sale e zucchero, proprio come loro.
Nessuno sapeva cosa sarebbe accaduto poi; ma in quel momento ai due non importava affatto.
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