Scrivere una lettera, e soprattutto scriverla a mano, nell’era della digitalizzazione selvaggia, in cui tutto è a portata di click, è ormai un gesto liquidato come fuori moda, inutile ed anche un pelino vintage. Sembra ormai lontana mille secoli l’epoca in cui si rimaneva, anche da un mese all’altro, in trepida attesa dell’arrivo di quella busta rettangolare e decorata proveniente da tanto lontano, all’interno della quale la nostra amica Yoshimi Saida (mai nome fu più comune tra i pen friends con gli occhi a mandorla) raccontava se stessa, ci parlava di come trascorreva le sue giornate, esprimeva a noi e proprio a noi le sue più intime emozioni.
Poco importava che quanto raccontasse fosse vero oppure no; la sua grafia perfetta, così perfetta da far pensare che la sua lettera fosse uno scritto stampato (eppure non lo era affatto!), era un modo delizioso per volare, semplicemente chiudendo gli occhi, dall’altro capo del mondo e scoprire come vivesse e quali fossero le abitudini di vita di una adolescente di cultura così diversa da quella propria.
E se negli anni Novanta avere un pen-pal era decisamente un must (guai a chi non vantasse tra le proprie amicizie, la sua Yoshimi Saida!), oggi scrivere una lettera a mano ad un amico lontano o avere la fortuna e la gioia di riceverne una, è cosa parecchio difficile; talmente difficile da rendere il gesto sotteso alla collazione di una lettera, un vero e proprio gesto d’amore.
Instant messaging ed iperconnessione ci permettono di arrivare dappertutto in un attimo, ma ci impediscono di cogliere il tempo che si allunga e si moltiplica, per chi scrive e per chi legge; ci impediscono di essere introspettivi, di fare autoanalisi e di riflettere su noi stessi, cosa che invece accade con naturalezza quando si scrive una lettera a mano e si pensa costantemente al suo destinatario, dal momento in cui si fa cernita tra i propri pensieri al momento in cui questi trovano la loro formulazione.
Sebbene scrivere a mano ad una persona lontana sia ormai un’abitudine piuttosto in disuso, c’è ancora chi ci crede e lavora assiduamente per favorire il contatto tra persone di ogni parte del mondo.
Si tratta di IPF (International Pen Friends), un’associazione che spegne quest’anno la sua cinquantaduesima candelina e che vanta all’attivo tra i suoi iscritti più di trecentomila persone accomunate dal desiderio di coltivare amicizie cartolari, scambiare francobolli usati, offrirsi reciproca ospitalità, praticare una lingua straniera e molto altro ancora.
Conservare l’arte della scrittura delle lettere ed utilizzare questa forma di comunicazione per incoraggiare l’amicizia mondiale; questo è il principale obiettivo del club. Un obiettivo di certo encomiabile rispetto al particolare momento storico in cui viviamo, nel quale impazzano e sono all’ordine del giorno episodi di razzismo e violenza inaudita e manifestazioni di pensiero xenofobe che tutto lascerebbero presagire tranne che sia possibile coltivare l’amicizia tra gli abitanti del pianeta.
Eppure gli esiti sono sorprendenti e sapere che l’hobby della scrittura può appartenere ad un bambino così come ad un anziano, ad una donna così come ad un uomo, ad un europeo come ad un asiatico o ad un africano, ad un ricco come ad un povero, ci fa sentire in un mondo più giusto ed uguale, nel quale è possibile spogliarci dei cliché e prendere atto che in fondo, tra tutte queste persone apparentemente così diverse, non intercorrono poi così grandi differenze, se non quelle legate alla condizione anagrafica o alla posizione geografica in cui si trova la loro casa.
Si tratta, a pensarci bene, di persone accomunate dall’emozione, quella che provano tutte le volte che aprendo la buchetta della posta, vi trovano dentro una lettera scritta apposta per loro; una lettera che li fa sorridere; una lettera che li fa sentire speciali.
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