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LA CONGIURA DEL COINTELPRO – LA STORIA DI JEAN SEBERG

Il COINTELPRO ( “Counterintelligence Program”) fra gli anni sessanta e settanta è stata una creazione segreta di J. Edgar Hoover, la cui finalità era di mettere in ginocchio e screditare i pacifisti ed i membri dei movimenti militanti, da quelli antifascisti della sinistra radicale come l’anarchico “Weather Underground Organization” (WUO) ed il “Partito Comunista degli Stati Uniti d’America” (CPUSA) alle associazioni femministe ed organizzazioni che cercavano di difendere i diritti della propria etnia sistematicamente schiacciata dalla brutalità ed i soprusi della dominante (dalla lotta degli afroamericani contro la violenza della polizia con il “Black Panther Party” di Huey Newton e Bobby Seale a quella dei nativi americani con il “The American Indian Movement”,AIM, fra le tante)

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Per raggiungere i propri obiettivi, così, questo organismo ricorreva ad infiltrazioni, sabotaggio, all’intimidazione e all’omicidio (gli assassini dei leader erano eseguiti direttamente o commissionati a gruppi rivali), incastrava gli attivisti per crimini commessi dall’FBI, metteva in circolazione finta propaganda clandestina, fornendo ai giornalisti lettere false e volantini incendiari che diffamavano e screditavano la persona presa di mira. Per Frank Church si trattava cioè di “un sofisticato programma di vigilanza apertamente finalizzato a prevenire l’esercizio del diritto di parola e di associazione previsti dal Primo emendamento“. Il governo riteneva necessario distruggere la democrazia al fine di salvarla, evidentemente.

Numerosissimi furono i leader politici ed anche gli attori ritenuti conniventi dei primi che il COINTELPO, su modello della STASI, intrappolava fra le maglie di un vero e proprio terrorismo psicologico dove il resistente materiale della rete aveva la consistenza di intercettazioni telefoniche, pedinamenti e gogne mediatiche martellanti.

 

Martin Luther King, ad esempio, ritrovava nella buca delle posta lettere anonime che contenevano indiscrezioni documentate sulla sua vita sessuale e che lo istigavano al suicidio qualora non avesse voluto veder diffuse sui giornali quelle “sporche ad anormali” registrazioni, Jane Fonda venne ingiustamente arrestata per spaccio di droga (in realtà integratori dietetici), James Baldwin spinto, attraverso sistematiche intimidazioni, a lasciare il Paese per Saint-Paul-de-Vence in quanto nero ed omosessuale, Viola Liuzzo, paladina bianca dei diritti civili, assassinata dal  Ku Klux Klansmen che inseguito si scoprirà aver avuto fra i suoi membri anche Gary Thomas Rowe, un inflitrato dell’FBI.

Ma l’attrice che, senza dubbio, subirà maggiormente lo scotto di questa insensatissima crociata per, come sosteneva Hoover, “individuare i potenziali piantagrane e neutralizzarli prima che esercitino il loro potenziale di violenza”, sarà Jean Seberg.

Dopo uno strabiliante inizio di carriera con Otto Priminger, prima con Saint Joan nel 1957 poi con Bonjour tristesse  nel 1958, questo scricciolo dell’Iowa si era confermata con  Breathless , film a basso budget e tecniche sperimentali, non solamente il volto ufficiale della New Wave ma icona indiscussa di stile. 

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Negli anni sessanta non c’era ragazza francese che non avesse ritoccato i propri riccioli “à la Seberg”, taglio pixie corto e sbarazzino. Jean aveva sempre prediletto farsi dirigere da registi giovani considerandoli rispetto agli affermati, freschi, innovativi ed animati da  neofito ardore. 

Aveva scelto, così, Jean-Luc Godard, Claude Berri, Nicolas Gessner e Francois Moreui e poi anche Claude Chabrol, Yves Boisset, Jean Valere e Philippe de Broca, lanciando spesso vere e proprie carriere.

Jean non era solamente un’attrice appassionata e poliglotta ma una convinta attivista politica che con la sua viva sensibilità era costantemente pronta ad abbracciare qualsiasi causa che coinvolgesse minoranze diseredate ed oppresse. 

Già a 14 anni, infatti, si era unita alla NAACP e soprattutto sul finire degli anni sessanta aveva convogliato ingenti somme di denaro per le causa afroamericani ed era coinvolta in prima linea nel programma del “Free Breakfast della Black Panthers”, che offriva pasti caldi a bambini indigenti.

Sul piano sentimentale la vita di Jean appariva meno decisa. 

Dopo un primo matrimonio violento ( una forma di sadismo che reitererà, poi, nel rapporto col suo ultimo compagno, l’agerino Ahmed Hasni) a soli 23 anni, nel 1962 aveva sposato in Corsica lo scrittore francese Romain Gary, dal quale aveva avuto subitamente un figlio, Alexandre Diego Gary.

Nonostante  dell’America a Jean mancassero “quella casualità e cordialità tipiche degli americani e poi i blue jeans, i frullati, le bistecche spesse ed i supermercati”, dopo la nascita di Alexandre era sempre più riluttante a lasciare l’Europa preferendo peregrinare fra Maiorca, Grecia ed il Sud della Francia.

Per Hoover,perciò, Jean Seberg – radicale, esterofila e moderna- andava annientata, decisamente.

 

Nel suo libro del 2001, “The Last Editor”, Jim Bellows racconta che nella primavera del 1970, quando era redattore del Los Angeles Times, Richard Held, con il permesso di Hoover, aveva utilizzato la cronista mondana del quotidiano, Joyce Haber, per montare una storia nella quale si diceva che un’attrice apparsa di recente in un grosso film musicale era ora incinta di una Pantera Nera. Nel mese di agosto, sulle pagine di “Newsweek” apparve un articolo che specificava che l’attrice in questione era Jean Seberg. Jean aveva appena interpretato il musical “Paint Your Wagon” ed era effettivamente incinta del secondo figlio, ma di suo marito, il romanziere Gary.  

Il calvario di Jean Seberg inizia proprio così, nel 1970, sull’onda anomala di un pettegolezzo che porterà i produttori ad evitarla per qualsiasi altra parte, la USIA ad ostacolare ovunque, anche in Italia, la riprogrammazione dei film di questa “pietra dello scandalo”.

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Nessuno dei colleghi di ieri (Lancaster, Marvin, Peppard, Connery, Sellers) le offrirà sostegno, foss’anche solo morale,  persino Clint Eastwood che secondo il suo biografo ufficiale,  Patrick McGilligan, aveva avuto con lei una infuocata storia d’amore proprio sul set di “Paint your Wagon”, decise di allontanarsi dal ciclone mediatico troncando brutalmente ogni forma di comunicazione. Al settimo mese di gravidanza, Jean, disperata ed in fase psicotica, tenta il suicidio e perde il bambino. 

Per sua volontà, al funerale svoltosi a Parigi, la bara viene tenuta aperta, in modo che gli amici e la famiglia vedessero che la bambina (alla quale era stato dato il nome Nina) era in realtà bianca.                                

Nonostante l’evidenza, le dicerie non diventano però fruscio, ed inizia a diffondersi anche l’ipotesi che la paternità della bambina se non ad un  afroamericano, era di certo attribuibile ad un messicano, Carlos Ornelas Navarra, uno studente rivoluzionario con il quale Jean aveva avuto l’anno precedente una liaison sul set di Macho Callahan.

Ogni anno, il giorno dell’anniversario della morte di Nina, Jean prova a farla finita ingerendo interi bottiglioni di barbiturici, bevendo fino a svenire, nel salotto dalle finestre sbarrate in lutto, nel centro di Parigi. 

L’8 settembre del 1979 alla fine ci riesce e viene ritrovata morta nella sua automobile, la pelle ancora macchiata da bruciature di sigaretta, che probabilmente s’era inflitta da sola. 

Vari mesi dopo anche l’ex marito di Jean, Romain Gary, si ucciderà con un colpo di pistola in testa. 

Per Gary, è proprio nella negazione della sua nota di suicidio (“Nessun rapporto con Jean Seberg. I patiti dei cuori infranti sono pregati di rivolgersi altrove”) che invece afferma prepotentemente l’opposto, che anche lui cioè era stato sfiancato dalle maldicenze, dai risolini di scherno, dalle proprie manie di persecuzione dopo quel metodico spionaggio, da quella che,  nella sua autobiografia “La notte sarà calma”, chiamerà una solitudine brulla.

Nel settembre 1979, l’FBI ammetterà pubblicamente ciò che aveva fatto a Jean, a Romain, ad Alexandre.

I documenti dell’intera operazione del COINTELPRO ad oggi sono resi parzialmente pubblici, poche righe dattiloscritte sull’ “operazione”, su questa calunnia portata in scena fino alla tragedia più grande.

Mariagrazia Veccaro

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