Ci sono molteplici approcci per tentare di cogliere i significati dell’Esistenza ed uno dei più particolari è sicuramente germogliato dalla filosofia Orientale ed è quello dei Kōan.
I Kōan ( 公案 ),il cui significato letterale nella lingua cinese è “avviso pubblico” e, metaforicamente, “guida per la vita”, sono comparsi per la prima volta in Cina nel IX secolo, grazie al Maestro buddhista Huìyóng e la loro pratica si sarebbe diffusa poi a macchia d’olio in tutte le altre scuole Chan. I monasteri zen iniziarono a raccoglierli perciò, via via all’interno di opere più sistematiche, partendo dai “Boze Songgu” di Xuědòu Chóngxiǎn ( 980-1052), raccolta che un secolo dopo sarebbe stata ampliata col titolo di “ Bìyán lù” ( “Raccolta della Roccia blu”).
I Kōan sono tratti da dialoghi autentici tra Maestri zen e studenti oppure da Sutra o da antichi detti e fanno riferimento a storie, parabole, dichiarazioni di piccole dimensioni o addirittura alcune parole di una frase con lo scopo di aiutarci a superare gli schemi di pensiero di ogni giorno per arrivare, infine, ad una maggior comprensione delle cose.
La categoria più importante dei Kōan è sicuramente quella chiamata “Del Risveglio” e cerca di aprire la mente sulle Verità fondamentali dell’Universo (“Chi sono io?”, “Cos’è la mente?”, “Da dove vengo?”, “Cosa c’è dopo la morte?”).
I Kōan possono diventare un mezzo per focalizzare i propri interrogativi, per superare il falso senso dell’io-ego e riuscire consapevolmente, attraverso la meditazione, a navigare lungo il flusso della propria vita, superando i dolori e le divisioni che i dubbi esistenziali portano costantemente con sé.
Requisito fondamentale di questa pratica per riuscire a camminare lungo una strada verso l’Infinito è che lo studente debba costantemente recarsi per unadokusan ( Intervista ) dal Maestro che gli porrà poi davanti, come in uno specchio, le illusioni delle sue domande o delle possibili risposte.
L’intento è di arrivare al Satori, un’esperienza improvvisa e momentanea che conduce il discepolo a fare tabula rasa delle sue precedenti convinzioni fino ad approdare a nuove forme di consapevolezza dell’Essere.
A livello iconografico, sia il Maestro che il discepolo, spesso sono raffigurati seduti nell’atto dello Zazen (坐禅 ) ovvero “Meditazione da seduti”, di solito su un cuscino tondo, con schiena dritta, il naso in linea con l’ombelico e le gambe incrociate nella posizione del loto.
L’intento, anche corporeo, è quindi quello di dischiudersi ad una nuova dimensione di silenzio assoluto e pace.
Insomma grazie a questo strumento meditativo, si arriva a sorvolare la propria realtà situazionale, a viverla con maggiore distacco e a riformularla per quello che invece la realtà stessa alla fine è ovvero un magma multiforme e multilaterale.
Ma per arrivare alla soluzione di alcuni indovinelli, superare il relativo per l’assoluto e accedere all’Illuminazione, può capitare che ci si impieghi degli anni interi!
Per comprendere meglio i Kōan eccone di seguito tre che s’interrogano su alcune delle grandi domande esistenziali.
Primo Koan:
-Su cos’è la Verità-
Un monaco domandò un giorno al suo maestro:
“Qual è la verità suprema?”
“Com’è bella la montagna oggi!” disse il maestro.
“Non ti ho chiesto della montagna, ma della verità.” ribatté il monaco.
E il maestro rispose: “Finché non vedrai la montagna, non vedrai la verità”.
( Il significato è che Il monaco è così preso dalla ricerca della Verità che non vede la bellezza intorno a lui. Il maestro gli fa notare che hic et nunc è il momento per vivere e per Vedere ed è proprio in un eterno presente che bisogna esser-ci.)
Secondo Koan:
-Su cos’è la Realtà-
“Un sacerdote, incontrò un giorno, un maestro zen, e, volendo metterlo in imbarazzo, gli domandò ”Senza parole e senza silenzio, sai dirmi che cos’è la realtà?”.
Il maestro gli diede un pugno in faccia.”
Terzo Koan:
-Su cos’è la Morte-
Un giorno morì un uomo che viveva nella vicinanze del Tempio di Chang Chou.
Dogo, il Maestro del tempio, si recò, insieme al suo discepolo Zengen, a fare le condoglianze alla famiglia.
Duraten la visita, Zengen colpì la bara e chiese:
“E’ vivo o morto?”
Dogo rispose: “Non dico che è vivo, non dico che è morto.”
Zenge disse: “Perché non vuoi dirlo?”
Dogo ripetè: “Non lo dirò, non lo dirò”
Sulla via del ritorno, Zengen chiese ancora: “Vi prego, Maestro, ditemi chiaramente se era vivo o morto. Se non me lo direte io vi picchierò”.
Il Maestro rispose: “Picchiami se vuoi, ma io non lo dirò”.
Zengen lo colpì.
Passarono gli anni e un giorno Dogo morì; Zengen, ancora tormentato dal dilemma, andò a visitare Sekiso, un Maestro molto conosciuto; gli raccontò come molti anni prima avesse picchiato il suo vecchio Maestro perché non aveva risposto alla domanda sulla vita e sulla morte. Poi ripetè la stessa domanda a Sekiso. Sekiso disse: “Non dico che è vivo, non dico che è morto. Non lo dirò, non lo dirò”.
In quel momento Zengen raggiunse l’illuminazione; lasciò subito il Maestro e, con una vanga in spalla, andò nella sala principale del monastero mettendosi a camminare in su e in giù.
Sekiso lo vide e gli chiese: “Che cosa stai facendo?”.
Zengen rispose: “Sto cercando le reliquie del mio vecchio Maestro”.
Sekiso disse: “C’è un grande fiume con immense onde che riempiono l’intero universo. Le reliquie del tuo Maestro non saranno trovate in nessun posto.”
(La Morte che non è una cosa semplice e ordinaria, ma un’alta esperienza spirituale.
E’ alla fine di tutte quelle cose –materiali ed emozionali- alle quali siamo attaccati, anche al di là della paura di doverla un giorno affrontare)
Categorie:MetisMagazine