Negli ultimi tempi si parla spesso di revenge porn, la nuova frontiera della vendetta digitale che, con la sua denominazione inglese, sembra volersi discostare da una più italica, ma azzeccata, definizione di carognata. Viene difficile trovare un termine più educato per identificare la pratica di mettere in circolo, a mezzo social, immagini private scattate durante momenti di intimità.
Anche nella dinamica della società dell’immagine, ci sono frangenti della propria vita che si vorrebbero mantenere privati, o quantomeno riservati ad una ristretta cerchia di persone. Scattarsi foto o filmini durante momenti intimi non è un qualcosa di peccaminoso o illegale, sempre che i presenti siano consenzienti. Ognuno, nella propria sfera privata, è libero di comportarsi come meglio crede.
Il problema sorge quando quello che si pensava esser un attimo di sregolata intimità diventa di dominio pubblico, liberando sulla piazza digitale la propria vita. Non capita solo alle celebrità che, essendo spesso sotto i riflettori, potrebbero anche tollerare meglio questa sovraesposizione, ma il più delle volte colpisce persone normali, spesso per punirle di qualche presunto torto (revenge in inglese significa proprio vendetta n.d.r.).
Questa sostanzialmente la vera differenza tra i leaked (foto intime rubate, quasi sempre a VIP n.d.r.) e il revenge porn. Quest’ultimo nasce come un momento di condivisione, una pratica che si basa su un rapporto di passione e fiducia che dovrebbe comunque permanere anche dopo un’eventuale lite, un tacito accordo che quello che succede nelle foto o video sia una questione personale ed inviolabile.
Invece, sempre più spesso diventa un’arma, spesso con effetti devastanti. Utilizzare contenuti intimi come ripicca, infatti, ha già avuto esiti nefasti, con casi di gravi reazione da parte delle vittime, giunte anche a suicidarsi per la vergogna.
Il revenge porn priva di questo diritto le vittime. Se da un lato si può sollevare l’obiezione legittima che, forse, prima di lasciarsi andare bisogna valutare con chi ci si apre a tal punto, dall’altro è doveroso riconoscere che un simile comportamento è da punire con asprezza, come sembra voglia fare anche la nostra legislazione.
E non ultimo, chi sono le vittime privilegiate del revenge porn? Le donne. Sarà un caso, ma la gran parte dei casi di revenge porn riguarda proprio il gentil sesso, che viene villipeso con una violazione imperdonabile della femmilinità e della seduzione del corpo femminile. Complice una società in cui ancora oggi la donna viene vista in un’ottica miope e stereotipata, il revenge porn funziona perché il poter additare nuovamente una donna come la puttana di turno fa presa su un mai eradicato concetto per cui il corpo femminile non è capace di cercare lecitamente il piacere nella stessa dignitosa necessità di quello maschile, ma deve sempre apparire in una qualche misura sminuito nel paragone.
Difficilmente ci sono casi di revenge porn con vittime mascili perché in quei casi si scenderebbe nell’esaltazione della prodezza dello stallone o al massimo nell’ironia pungente ma comunque mitigata da un senso di fraterna compresione. Tutte scusanti precluse alle donne, che saranno sempre tacciate con i peggiori termini, valvole di sfogo di repressi e vigliacchi che identificano in quelle foto suadenti una possibilità di rivalersi di torti subiti o di crearsi un’aria da moralizzatore imbevuto di sani principi e ipocrisia.
Il revenge porn non è una vendetta, è un atto di estrema debolezza che cerca di apparire meno patetica e squallida cercando di screditare l’altra parte facendo leva sui bassi istinti e i pregiudizi della massa. È l’emblema del non sapere andare oltre, del non capire come gestire i rapporti e scegliere di condividere questa debolezza con altri disperati illudendosi che questa tristezza condivisa sia forza.
L’unica forza che ottengono è quella di distruggere delle vite, le stesse che spesso si allontano da questi pozzi di negatività per non venirne avvelenati.
Categorie:ATTUALITÀ