Attore, regista, commediografo. Uno dei massimi esponenti del teatro napoletano ma soprattutto della cultura italiana del Novecento. Stiamo parlando di Eduardo De Filippo.
Nato a Napoli il 24 maggio 1900, figlio illegittimo dell’attore e commediografo Eduardo Scarpetta (1853 – 1925) e di Luisa De Filippo, a quattro anni è già sul palcoscenico.
«Il mio primo ricordo, la mia prima emozione diciamo così teatrale risale a quando avevo 4 anni: una sera mi ritrovai al centro d’un gruppo d’attori, sul palcoscenico del Teatro Valle; indossavo un minuscolo kimono a fiori dai colori vivaci che avevo visto cucire da mia madre qualche giorno prima. Improvvisamente mi sentii afferrare e sollevare in alto, di faccia al pubblico, con la luce dei riflettori che mi abbagliava e mi isolava dalla folla».
(Eduardo De Filippo, Ringraziamento in Allocuzioni pronunciate durante la cerimonia di consegna di lauree Honoris causa, Università di Roma, 18 novembre 1980, Roma, Tipografia D’Amato, s.d. – http://www.fondazionedefilippo.it)
Con i fratelli Peppino e Titina crea la compagnia del teatro umoristico “I De Filippo” con la quale scrive e mette in scena farse e commedie legate alla più tipica tradizione regionale.
Tra i suoi primi testi si ricorda “Natale in casa Cupiello”, il cui debutto avvenne al Teatro Kursaal di Napoli, il 25 dicembre 1931. Al centro della tragicommedia, il ritratto di una famiglia dove al dramma della gelosia si contrappone l’ingenuità fanciullesca del suo protagonista, Luca Cupiello. Come ogni anno, l’anziano Luca prepara il suo presepe – nonostante il disinteresse di sua moglie Concetta e di suo figlio Tommasino – non curandosi quindi di quello che gli succede attorno.
Con i De Filippo recitano attori già famosi o giovani alle prime armi che lo diventeranno (Agostino Salvietti, Pietro Carloni, Tina Pica, Dolores Palumbo, Luigi De Martino, Alfredo Crispo, Gennaro Pisano).
Un successo clamoroso: da quel momento la compagnia verrà richiesta dai più prestigiosi teatri d’Italia.
Nel 1932 il periodico Comoedia dedica alla compagnia De Filippo un intero articolo:
«Sono tre, due maschi e una femmina, fratelli e sorella: Eduardo, Peppino e Titina. E recitano assieme, nella stessa compagnia senza litigare. […]. Attori comici di quelli che amano divertire l’uditorio […]. Attori moderni con pochi lazzi e magari senza, con poche smorfie e con pochi soggetti». (F. Petriccione, Nuova generazione teatrale: i De Filippo, in «Comoedia», a. XIV, n. 6, 15 giugno-15 luglio 1932, pp. 45-6. http://www.fondazionedefilippo.it)
Dotato di un eccezionale talento nella mimica e nella recitazione, Eduardo destò l’ammirazione di Luigi Pirandello, il cui incontro avvenne casualmente, nel 1933, al Sannazzaro di Napoli. Eduardo ha la possibilità di collaborare con lui, lavorando alla riduzione teatrale della novella “L’abito nuovo” che verrà rappresentata al Teatro Manzoni di Milano il 1 aprile 1937, pochi mesi dopo la morte del grande drammaturgo.
La Compagnia del teatro umoristico ha rappresentato – in versione napoletana –anche “Liolà” ed “Il berretto a sonagli”.
Dopo i dissidi con Peppino e la morte della sorella Titina, Eduardo si mette in proprio e fonda una nuova compagnia teatrale chiamandola semplicemente “Il teatro di Eduardo”.
In cartellone vanno commedie divenute celebri come “Napoli milionaria” (1945), storia di un uomo che, dopo essere ritornato da un campo di prigionia, scopre che la sua famiglia si è arricchita con il mercato nero, “Filumena Marturano”, (1946) commedia ispirata ad un fatto di cronaca, e che porta al pubblico il tema, scottante in quegli anni, dei diritti dei figli illegittimi.
Sempre attivo nella vita politica e nelle opere sociali, viene nominato, all’età di ottant’anni, senatore a vita dal presidente Sandro Pertini. Collaborò anche per il cinema con Vittorio De Sica, Totò e Luigi Comencini. Morì a Roma nel 1984.
«Lo sforzo disperato che compie l’uomo nel tentativo di dare alla vita un qualsiasi significato è teatro».
Eduardo De Filippo ebbe il merito, come autore, di aver saputo elevare il teatro napoletano a un livello di dignità e di risonanza nazionale, andando oltre le sue straordinarie capacità interpretative.
Ha inoltre saputo unire la tradizione ottocentesca alle istanze della poetica neorealistica sia per quanto riguarda l’utilizzo del dialetto, sia per l’energica rappresentazione della vita popolare, con gli ambienti di una dolente miseria e i problemi di una precaria sopravvivenza. Ma si tratta di un caso fortuito e occasionale.
Egli diede piuttosto un nuovo volto “realistico” e vibrante alla maschera eterna di Pulcinella, l’uomo alle prese con le difficoltà e sofferenze quotidiane, disponibile agli accomodamenti e ai sotterfugi, ma anche depositario di una sincera dignità e umanità e alla fine trionfante nella caducità e nell’instabilità che accompagnano l’agire dell’individuo.
Il calore, l’ironia e la simpatia umana che emana nelle sue opere lo hanno reso indimenticabile al pubblico di tutto il mondo.
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