ATTUALITÀ

CON IL PIUMONE A MAGGIO: QUANDO IL RISCALDAMENTO GLOBALE DIVENTA UN’OPINIONE

Nel corso degli anni a più riprese i media mainstream hanno annunciato imminenti catastrofi climatiche su scala planetaria. Diverse eminenti personalità hanno sposato, soprattutto negli ultimi anni, la lotta alle emissioni di CO2 e sulla scia dei Protocolli di Kyoto anche l’agenda dell’ONU ha messo tra le sue priorità la lotta al riscaldamento globale.

L’ultima paladina di questa battaglia ambientalista è Greta Thunberg. La giovane attivista e pasionaria svedese il 19 aprile scorso, dal palco di piazza del Popolo a Roma, di fronte a migliaia di studenti si è fatta portavoce della crociata ambientalista, alimentando così il dibattito sulla questione anche ai piani alti del potere. In questo suo soggiorno romano la stessa Thunberg ha avuto modo di confrontarsi su questi temi nientemeno che con Papa Francesco e anche la presidente del Senato Maria Alberta Elisabetta Casellati e il segretario della Cgil Maurizio Landini hanno trovato il tempo di ospitare la giovane svedese per accogliere le sue istanze di lotta al global warming.

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Tuttavia quello di cui molti si sono accorti è che, proprio dopo la tre giorni romana della Thunberg, le temperature hanno avuto un crollo vertiginoso non solo in Italia ma anche nel resto d’Europa accompagnate da nevicate, precipitazioni e abbondanti rovesci fuori stagione.

La realtà dei fatti sembrerebbe dunque smentire o almeno raffreddare, è proprio il caso di dirlo, lo zelo dell’attivista svedese, giunta nella capitale a ridosso della giornata mondiale della terra. Se alle porte dell’estate si dorme ancora con il piumone e la morsa del freddo attanaglia larga parte della penisola, muovere qualche dubbio sulle argomentazioni della Thunberg è più che lecito e il dogma della crisi climatica inizia vistosamente a vacillare.

Il riscaldamento globale è un termine coniato nel 1987 dall’IPCC, il Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici organo dell’ONU e dell’UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) che fornisce rapporti di valutazione periodici alla base dei quali ci sono la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e il Protocollo di Kyōto. I modelli informatici creati da questo gruppo internazionale di scienziati si basano su dati teorici ma la complessità delle dinamiche climatiche è difficilmente analizzabile attraverso schemi precostituiti. Una delle voci fuori dal coro è lo studioso australiano John McLean. Questo esperto indipendente si è preso la briga di analizzare i rapporti dell’IPCC riscontrando numerosi errori, anche marchiani, nei dati raccolti dal team di scienziati. A titolo esemplificativo le temperature medie dell’isola caraibica di Saint Kitts e Nevis sono state inserite nell’algoritmo di calcolo con zero gradi per un mese intero. Questo rapporto sembra essere minato dalla mancanza di informazioni raccolte, ad esempio per le temperature dell’emisfero meridionale i dati raccolti provengono soltanto da un sito in Indonesia.

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Interessante notare come nel gruppo di eminenze scientifiche che hanno lavorato al rapporto dell’IPCC figuri Hadley Center. Questo membro dell’Unità di ricerca climatica dell’Università dell’East Angli, fu coinvolto nello scandalo Climategate del 2009 quando un hacker pubblicò online i documenti della Climate Research Unit mettendo in luce manipolazioni di dati e varie violazioni della libertà d’informazione al fine di ingigantire il peso delle attività umane sui cambiamenti climatici.

Del resto il clima è un sistema complesso nel quale le varianti causate ad esempio dall’influsso degli oceani e dai cicli solari che influenzano le correnti dell’atmosfera sono difficilmente analizzabili e la storia insegna che in passato la terra è già stata sottoposta a glaciazioni e fasi di disgelo.

Quello che inoltre molti non dicono è che spesso anche le ormai celebri energie rinnovabili hanno un consistente impatto ambientale. Ad esempio le emissioni prodotte da un’auto elettrica in termini di CO2 sono le stesse di un’auto a benzina in quanto il costo dei kWh derivati dalle centrali elettriche a carbone produce indirettamente pari emissioni di anidride carbonica. Non bisogna infatti dimenticare che due terzi dell’energia elettrica mondiale deriva da fonti fossili. 

Ciò detto l’impatto delle attività umane ha senz’altro un peso sull’ecosistema ma forse andrebbe ridimensionata la pressione e il senso di colpa con cui i media cercano d’influenzare l’opinione comune.

 

 

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