Alexandre Joyeux Paganini, nato a Parigi nel 1978, è un vero spirito libero e questa caratteristica la si evince sin dall’infanzia. Da quando, ancora studente della scuola primaria, cercava rifugio nelle biblioteche in cui si poteva ascoltare musica gratis.
Sviluppando, quindi, un rapporto viscerale con la musica, all’età di 9 anni entra nel Coro della Radio Nazionale Francese e attraversa la Francia cantando dai gregoriani alla contemporanea. Successivamente studia solfeggio e trombone al Conservatorio del IX distretto di Parigi. A sedici anni, affascinato dalla vita di strada, abbandona la scuola e inizia il suo vagabondare in giro per il mondo, con in spalla la sua insperabile chitarra e il sogno di far musica.
Per un primo periodo si divide tra Italia e Francia, nel ‘98 entra nei King’s Roots, band reggae con cui suona nei locali di Parigi e dintorni. Dopo tre anni la band si scioglie e Sandro si rimette in viaggio. È il momento della scoperta del Marocco e, successivamente, dell’Africa più profonda, dove ha la possibilità di incontrare uno dei suoi idoli musicali: Boubacar Traore. Trovare gli spartiti del cantautore maliano è impossibile, così Sandro studia ad orecchio il suo repertorio musicale. Inizia ad appassionarsi alla musica del West Africa, a familiarizzare con i dialetti africani, è un vero e proprio momento di svolta per il suo percorso artistico.
In questi anni da busker matura la sua tecnica con la chitarra e impara a confrontarsi con ogni tipo di pubblico. Suona anche nelle carceri, nei centri d’accoglienza per migranti, negli ospedali psichiatrici.
Nel 2004 si trasferisce a Lille, dove fonda i 100Dromadaires, band dalle influenze Reggae e Afro, e con la quale apre i concerti di Omar Sosa e di Seun Kuti & Egypt 80.
Nell’estate del 2009 Sandro torna in Italia e si incrementano le sue collaborazioni artistiche, tra cui la partecipazione come attore/musicista al film “Cosimo e Nicole”, interpretando se stesso con il brano Sur Les rives.
È proprio in Italia che conosce un’altra Africa, quella dei braccianti agricoli sfruttati. La sua vicinanza alle popolazioni africane, lo spinge ad architettare l’”Antischiavitour”: progetto musicale a sostegno dei migranti.
Dopo diversi progetti musicali e collaborazioni artistiche, nel 2016 all’Auditorium parco della Musica di Roma presenta il suo nuovo lavoro discografico “Migrant”, che vede la partecipazione di Eugenio Bennato e Dean Bowman.
Scopriamo di più sulla sua grande passione e sull’evoluzione del suo percorso artistico, dalle sue dirette parole.
Il tuo rapporto con la musica è stato viscerale fin dall’infanzia, ci vuoi parlare di questo percorso dagli albori fino ad oggi?
Da bambino rubavo le cassette di mia mamma e piangevo, solo nel letto, nel buio della notte.
Mettevo in loop le canzoni che mi emozionavano. Poi un po’ più grande andavo, subito dopo uscito da scuola, nelle biblioteche parigine , dove era possibile ascoltare qualsiasi tipo di musica su impianti che si prenotavano a ore.
Così ascoltavo tanta musica lirica, rinascimentale. C’erano anche i DVD del Flauto Magico, Don Giovanni etc. Crescendo poi, studiando sempre di più la musica, ho perso un po’ questo rapporto magico con un linguaggio di cui non capivo le regole, ma ho guadagnato di tecnica e di comprensione.
Quanto è stato importante il rapporto con la musica per la tua crescita personale, oltre che come artista?
La musica ti spinge ad essere, a diventare. È un mondo in cui l’avere non conta nulla. Questo discorso vale per la musica, come per la vita vera. Ho cercato di applicare questo essere sempre di più, fino a diventare.
Suonare per le persone, per i loro cuori, le loro anime è una cosa bellissima. Anche suonare con le.persone procura grande gioia ed emozioni.
Una vita in viaggio: Francia, Italia, Marocco, Africa. Qual è il posto che definiresti casa?
Ho imparato a stare bene ovunque mi trovassi. Casa mia è lì dove mi trovo . Il cielo è il mio tetto.
Più concretamente ho eletto domicilio in Sicilia, a Palermo ( forse per avvicinarmi più possibile all’Africa)
Come nasce la tua passione per la cultura africana e l’Africa in generale?
A Parigi dove sono nato e cresciuto ci sono dei quartieri africani molto potenti.
Dopo i primi viaggi in Marocco, in autostop, ho iniziato a partecipare alle feste e ai concerti della comunità maliana. Mi appassionai ciecamente a questa cultura e decisi di partire a Bamako, dove studiai con una band locale (qui realizzai 13 concerti in un mese), e dove ebbi la possibilità di conoscere il mio idolo Boubacar Traore, cantautore anziano che canta melodie semplici, ma di una purezza illuminante.
Nel 2012 incidi il tuo primo disco a Napoli. Viaggiando per l’Italia scopri un’altra Africa: quella dei braccianti agricoli. Nasce, quindi, l’Antischiavi tour, ti va di parlarci di questo progetto?
Il fatto di non essere cresciuto in una famiglia benestante mi ha insegnato l’empatia. La vita che si svolge in viaggio, e il vagabondaggio, mi portò a pensare che l’altro diventa una chiave per la propria esistenza. Per quanto riguarda l’Antischiavitour il concetto era di rendere all’Africa quello che mi ha regalato. So benissimo cos’è ritrovarsi lontano da casa e dai propri cari. Sono stato anche io un migrante. Lo sono tut’ora. Li capisco, o meglio, cerco di capirli perché credo che non possiamo comprendere fino infondo la vita africana, essendo molto più dura dalle realtà che conosciamo e viviamo.
Gran parte della tua produzione artistica è incentrata sul tema dei migranti, nel marzo 2016 è stato presentato il tuo ultimo lavoro discografico “Migrant”, cosa ti ha spinto ad avviare questo progetto?
Sentivo il bisogno di dedicare un disco a questa problematica, che forse è la più grande sfida di questo momento storico. I brani esaminano ogni lato della migrazione: la terra madre, la fuga, il viaggio, a volte la morte, l’arrivo e le difficoltà che ne conseguono. Questo disco rappresenta l’intera vita del migrante, fra l’altro presi la decisione di iniziare con un minuto di silenzio dedicato a tutti i morti in mare, morti di percosse, di torture e di stupri. Le persone, qui in Occidente, non hanno la minima idea di quello che ha vissuto questa popolazione e di quello che vive tutt’ora. L’attuale contesto socio politico, nei confronti della questione dei migranti, è drammatico: c’è chi chiude i porti , chi si approfitta di loro, sfruttando i braccianti o sfruttandoli in altri ambiti lavorativi, utilizzandoli inoltre come capri espiatori per lucrare o guadagnare consensi politici.
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