Mio padre disegna benissimo. Vorrei mi avesse trasmesso questa dote, ma, insieme ad altre cose, ha scelto di tenersela gelosamente per sé. Però da bambino ero fortunato, perché passavo ore a guardarlo mentre consumava matite e fogli per dare vita a personaggi buffi che gli chiedevo instancabilmente. Era il mio migliore amico, insomma.
In quel periodo, lo vedevo come un eroe. Come tutti i bambini guardano al loro padre. Ma non si resta bambini per sempre, e quando arriva il momento in cui devi affrontare lo scontro generazionale, iniziano le delusioni e le incomprensioni. Anche perché prima di esser un padre, era un uomo, e come tutti gli uomini aveva i suoi difetti, le sue fragilità.
Peccato che da ragazzini certe difficoltà non si comprendono. Si ha la presunzione di esser il centro del mondo. L’impressione che i genitori siano i possessori di ogni risposta pronta ad essere servita su un piatto d’argento, come un contratto firmato all’atto della tua nascita.
Nella mia stupidità adolescenziale avevo smesso di vedere mio padre come la colonna che avevo idealizzato, iniziando a vedere comparire delle crepe nella sua armatura da eroe, da cui si intravedeva l’uomo all’interno. Un uomo che, in quanto tale, aveva le sue fragilità, le sue paure, i suoi demoni interiori con cui lottare ogni giorno.
Come accettare che non fosse più l’ideale che mi ero immaginato per così tanto?
Sono cose che al momento non capiamo, o quanto meno non lo capivo io all’epoca. Mettiamoci lo sforzo di muoversi in un mondo di cui non assimilavo certe regole, la voglia di ribellarsi ad imposizioni che sentivo soffocanti. Lo scontro generazionale casalingo era combattuto tra sguardi di accusa da parte mia ed altri più indagatori e sofferenti di mio padre, con una madre a far da tramite.
Non era solamente uno scontro di età, era frutto dell’illusione di un adolescente che non accettava nel padre, e quindi in una figura di riferimento, le stesse debolezze che avvertiva in sé. Ero io, che non riuscivo a comprendere quanto potesse esser difficile per mio padre capirmi, quanto io non capissi lui, dando vita ad un muro contro muro che non aiutava nessuno, rincuorato dalla convinzione che il padre era lui, il peso della comprensione e accettazione doveva esser tutto suo.
Spesso siamo così focalizzati su di noi da convincerci di essere nel giusto, che siano i nostri genitori che non si sforzano a sufficienza per comprenderci, spaventati da una percezione moderna che coglie sfumature che loro ormai non sanno più riconoscere. Un’illusione egocentrica, che rischia di allontanare anziché avvicinare, che rende complesso anche per un genitore trovare il punto di contatto.
Dimentichiamo che i nostri genitori hanno già affrontato questa fase, e ora hanno una visione diversa, nata dall’aver mitigato il loro senso di ribellione, le loro difficoltà adolescenziali con le esperienze di una vita adulta. Esser di una generazione precedente non è automaticamente una colpa.
Possono commettere errori ai nostri occhi, ma in realtà stanno ancora imparando, ad esser persone migliori, a non fallire come genitori. Non comprendiamo la loro responsabilità siamo così proiettati verso il nostro futuro che perdiamo di vista le loro emozioni, i loro dubbi e le loro difficoltà.
Per anni ho costruito un muro con la mia vecchia generazione casalinga, reagendo agli errori di mio padre con altri errori, pretendendo comprensione senza mai ricambiare la stessa cortesia, provando a capire le ansie di un padre di famiglia, le fatiche del lavoro. Trovavo maggior sicurezza nell’accusare, rendendo il tutto ancora più teso e allontanandomi da quelle che dovevano essere le mie figure di riferimento.
Così facendo mi sentivo ancora più sminuito quando arrivano macigni come ‘Capirai quando sarai più grande’. Lo viviamo come un affronto, non capendo che a volte in quella frase si racchiude la speranza dei nostri genitori che un giorno sapremo perdonarli, capendo quanto sia stato duro per loro essere persone migliori per renderci, di riflesso, migliori, quanto ci abbiano provato cercando di fare del loro meglio.
Vivere il rapporto tra genitori e figli come una differenza generazionale è spesso una scusa comoda. Dovremmo invece affrontare questo rapporto come una crescita condivisa. Chissà che non ne escano generazioni migliori.
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