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VERITÀ NASCOSTE: IL CASO ORLANDI

Era il 22 giugno 1983 quando Emanuela Orlandi, quindicenne romana, figlia di un commesso della Prefettura della casa pontificia, scomparve misteriosamente ingoiata nel nulla, senza dare più notizia di sé.

All’epoca forse era inimmaginabile, almeno per i suoi familiari, ma ciò che accadde – quella tragica sparizione – diede origine a uno dei fatti di cronaca più dibattuti e controversi della storia del nostro Paese. Un caso oscuro sul quale ancora oggi, a distanza di oltre trent’anni si discute, nel tentativo – fino ad ora vano – di comprendere la verità, per poter restituire alla famiglia della ragazza un corpo su cui piangere; e alla stessa Emanuela, la dignità di un finale della storia che le permetta di riposare definitivamente in pace.

Un’adolescente normale, una come tante, questo fu ciò che si disse all’indomani dell’inspiegabile scomparsa, nell’incredulità generale; la scomparsa di Emanuela Orlandi in un primo momento aveva fatto pensare a un comune allontanamento volontario da casa, ma ben presto rivelò il suo lato enigmatico, tanto complesso e intricato da coinvolgere lo Stato Vaticano, lo Stato Italiano, la Banda della Magliana, il Banco Ambrosiano, l’Istituto per le opere di religione e i servizi segreti di diversi paesi.

Emanuela studiava musica e come di consueto, il pomeriggio in cui scomparve, si era recata a lezione presso la scuola di piazza Sant’Apollinare ove seguiva corsi di pianoforte, flauto traverso e canto corale. All’uscita da lezione, intorno alle ore 19.00, chiamò a casa e riferì alla sorella che le era stato offerto, da parte di un uomo di cui la ragazza non rivelò l’identità, un lavoro come promoter di prodotti cosmetici di un noto marchio presso l’atelier di moda delle sorelle Fontana. Questo fu il tenore dell’ultimo contatto tra Emanuela e la sua famiglia. Dopodichè se ne persero le tracce.

Il padre di Emanuela, non vedendola rincasare per cena, fu preso immediatamente dalla sensazione che fosse accaduto qualcosa e cominciò a cercarla nei pressi della scuola di musica ove la ragazza era stata fino a qualche ora prima; percorse i luoghi che Emanuela frequentava abitualmente; riuscì a recuperare i numeri di alcune sue amiche, che però non seppero dargli notizie in merito al mancato rientro a casa della figlia, e si recò per giunta al commissariato “Trevi”, sebbene una formale denuncia si perfezionò solo il giorno seguente alla scomparsa della ragazza.

Le piste che dal momento della sparizione in avanti furono seguite dagli inquirenti, pur nella diversità e molteplicità delle ipotesi investigative formulate, ebbero in ogni caso al centro del dibattito, l’identità ignota di quell’uomo che propose a Emanuela un lavoro così allettante e ben remunerato. Tra l’altro, quella dell’uomo procacciatore e ambiguo e quella dell’offerta di lavoro furono circostanze confermate e richiamate da tutti coloro che furono sentiti nell’immediatezza e nei giorni successivi alla scomparsa di Emanuela

Furono avanzati dubbi in merito al presunto collegamento tra la sparizione di Emanuela Orlandi e l’attentato a Papa Giovanni Paolo II, occorso un paio di anni prima, in ragione di un contatto telefonico presso la stampa vaticana, da parte di un tale che rivendicò, con accento spiccatamente anglofono, di aver preso con sè Emanuela e di tenerla in ostaggio; e che chiese in cambio del rilascio della ragazza, la liberazione dell’attentatore Mehmet Ali Agca, cioè proprio colui che aveva sparato al Papa.

Di fatto, tale pista fu sconfessata poiché nonostante le molte telefonate dell’AmeriKano (così fu ribattezzato per via del suo accento il tale che chiedeva insistentemente una linea telefonica diretta con il Vaticano) non si raccolsero prove a sufficienza circa il fatto che Emanuela fosse effettivamente ostaggio dell’organizzazione estremista denominata “Lupi Grigi” della quale il terrorista attentatore di Giovanni Paolo II faceva parte.

Una seconda ipotesi fu quella che collegava la sparizione di Emanuela Orlandi alla temuta Banda della Magliana, per via delle dichiarazioni di un pentito della Banda, tale Mancini, che nel 2006 tirò fuori informazioni in merito a una telefonata di rivendicazione del rapimento da parte di un certo Mario, che aveva contattato la famiglia Orlandi nell’immediatezza della scomparsa e che altri non era, a dire del pentito, che un sicario di Enrico De Pedis, boss della Banda, sepolto nella Basilica di Sant’Apollinare per volontà del cardinale Ugo Poletti.

Proprio un anno prima, una telefonata anonima pervenuta alla redazione di “Chi l’ha visto?” aveva fatto cenno alla possibilità di risolvere il caso Orlandi andando a controllare chi fosse sepolto in quella Basilica di Sant’Apollinare ove si scoprì riposare in pace proprio il boss De Pedis, con evidente scandalo per il paventato coinvolgimento dello Stato Vaticano nel torbido caso Orlandi.

Anche con riguardo a tale pista, però, la cosa si risolse in un nulla di fatto, poiché nel corso degli anni successivi alle confessioni del pentito Mancini, si scoprì attraverso un’operazione nella quale si arrestarono diversi esponenti e affiliati alla Banda della Magliana che la telefonata di “Mario” indirizzata alla famiglia Orlandi avvenuta nel 1983 e quella anonima del 2005 alla redazione del programma “Chi l’ha visto?” nella quale si indicava la pista della Basilica di Sant’Apollinare, erano in realtà una montatura dei componenti della famiglia De Tomasi, vicina alla Banda e coinvolta nel giro di arresti.

Non fu trascurata dagli inquirenti, naturalmente, la pista della pedofilia, secondo la quale la bella e giovane Emanuela sarebbe finita in un giro di festini a base di droga e sesso, nell’ambito dei quali erano coinvolti anche diversi esponenti del clero e alcuni componenti del personale diplomatico presso la Santa Sede. Secondo tale pista investigativa Emanuela avrebbe trovato la morte proprio durante un’orgia in occasione di un festino.

La tesi della pedofilia e del losco giro in cui era incappata la Orlandi, nonché la questione relativa al coinvolgimento degli ambienti clericali, fu riportata anche da un collaboratore di giustizia affiliato a Cosa Nostra che riferì di una confidenza da parte di un boss mafioso secondo la quale Emanuela sarebbe stata reclutata per la partecipazione a riti orgiastici e sarebbe morta proprio durante uno di tali riti, per essere poi sepolta in Vaticano insieme ad altre malcapitate. Tra queste anche Mirella Gregori, pure scomparsa nell’anno 1983 da Roma, pochi giorni prima di Emanuela, il 7 maggio 1983, ma il cui caso non ha fatto vibrare le corde della cronaca nera al pari del caso Orlandi.

Proprio riguardo a tale ultima pista, a distanza di oltre trent’anni anni dalla misteriosa scomparsa avvenuta tra le mura dello Stato pontificio, le autorità vaticane hanno rotto il silenzio decidendo di dare una svolta e collaborare alla risoluzione del caso, disponendo così nuove indagini interne.

Tanto probabilmente per assolvere alla necessità, tanto avvertita da Papa Bergoglio, di ripulire l’immagine della Chiesa dalle continue macchie causate dagli scandali in cui moltissimi sacerdoti sono stati coinvolti negli ultimi anni.

A parte la riapertura del tumulo ove “riposava in pace” De Pedis e nel quale si era adombrato il dubbio che vi fosse sepolta anche la ragazza, un ulteriore input è arrivato a seguito del rinvenimento di resti ossei umani nella Nunziatura Apostolica di Via Po; di fatto però, sebbene tale circostanza avesse acceso una forte speranza nei familiari di Emanuela, alimentando la convinzione che finalmente avrebbero potuto mettere la parola fine a questa terribile storia, le analisi sui resti rinvenuti hanno rivelato che essi non appartenevano a Emanuela, ma a una persona vissuta moltissimi anni prima.

Un ennesimo barlume di speranza è poi arrivato pochi mesi fa, quando i familiari della Orlandi hanno rivolto al cardinale Pietro Parolin, segretario dello Stato pontificio, una formale richiesta di riapertura di una tomba sospetta ubicata nel cimitero teutonico di Roma, ove vengono seppelliti uomini e donne di origine austriaca, sudtirolese, svizzero-tedesca, liechtensteinesi, lussemburghese, e belga di lingua tedesca, oltre a fiamminghi e olandesi.

La richiesta mossa al cardinale prendeva le mosse da una lettera, ricevuta dalla famiglia Orlandi nella quale si faceva riferimento alla statua di un angelo con un foglio in mano sul quale sono incise le parole latine “Requiescat in pace” e che indica una tomba collocata ai piedi dell’ambasciatore con le ali, proprio nel cimitero teutonico e peraltro già aperta in precedenza almeno una volta; una circostanza, questa, che ha messo in allerta più di qualcuno, specie considerato che molte persone sono solite portare dei fiori su quella tomba per onorare la memoria di Emanuela, proprio nella convinzione che la ragazza giaccia lì.

Le indagini interne aperte dallo Stato Vaticano sono ad oggi ancora secretate e rimangono inaccessibili alla famiglia Orlandi e al loro difensore, il quale ha più volte chiesto di poter consultare il relativo fascicolo custodito presso gli Archivi Vaticani. Chissà se sarà possibile prendere visione del suo contenuto nel 2020, vista la decisione di Papa Francesco di disporre l’apertura dei detti Archivi per il Pontificato di Pio XII, cosa che avverrà il 2 marzo 2020, a ottantuno anni esatti dall’elezione al Soglio di Eugenio Pacelli.

https://www.huffingtonpost.it/nicola-lofoco/emanuela-orlandi-giallo-_b_12113020.html

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