Il 19 luglio scorso il mondo intero ha versato lacrime di commozione per la notizia della scomparsa di una delle menti più preziose che il panorama culturale mondiale abbia mai vantato; a lasciarci è stata Agnes Heller, filosofa del Novecento, una delle massime esponenti della Scuola di Budapest, corrente filosofica del marxismo facente parte del cosiddetto “dissenso dei paesi dell’est europeo” prima della caduta definitiva dei regimi dell’Europa orientale, paladina della sfida al totalitarismo ed all’autocrazia.
Aveva novant’anni Agnes Heller, ma conservava quella lucidità che da sempre ne aveva contraddistinto la capacità critica e la tenacia impiegata durante tutta una vita a lottare contro ciò che riteneva ingiusto e contrario all’umanità.
Era pronta, nonostante l’età, a nuove importanti uscite pubbliche, eventi culturali previsti anche in Italia, e ad una mente ancora lucida rispondeva un corpo agile ed energico.
Il giorno in cui è passata a miglior vita stava andando a fare una nuotata nel lago Balaton; proprio lì la polizia ha ritrovato il suo corpo esanime.
Agnes è stata strappata alla vita ed all’affetto dei suoi cari da un arresto cardiaco che ne ha provocato il conseguente annegamento.
La sua famiglia fu vittima della Shoah e solo Agnes e la madre scamparono alla deportazione nazista.
Agnes Heller era nata a Budapest il 12 maggio del 1929 da una famiglia dell’alta borghesia ebraica e fu proprio la persecuzione della sua razza a darle l’input per ribellarsi al sistema di sopraffazione sotteso al regime.
Si dedicò alla politica attiva sin dal secondo dopoguerra e divenne, poco più che diciottenne, la discepola prediletta del marxista critico Gyorgy Lukács, dirigente del Partito Comunista e docente universitario, del quale presto fu assistente e collaboratrice ed al seguito del quale si formò e si plasmó pur tra le molteplici difficoltà connesse alla persecuzione del regime comunista.
Nel 1959 la Heller venne espulsa dall’università e dallo stesso partito comunista, per aver sostenuto le teorie di Lukács, ed i suoi scritti furono sottoposti a censura.
Era il 1963 quando entrò come ricercatrice nell’Istituto di Sociologia dell’Accademia delle Scienze, dal quale però fu cacciata dieci anni dopo, nel 1973, per aver negato la realtà socialista della sua terra; questa fu l’accusa mossale quale conseguenza dell’opposizione fervida perpetrata avverso l’intervento sovietico in Cecoslovacchia qualche anno prima ed in generale in ragione delle sue posizioni assolutamente e sempre non convenzionali.
Nel 1977 l’amara decisione di abbandonare il suo paese, per l’incapacità di rivedersi in ciò che nell’est europeo stava accadendo; fu allora che Agnes si trasferì in Canada per percorrere la via dell’insegnamento universitario nel Nordamerica e solo dopo diversi anni riprese a viaggiare dal Canada all’Ungheria, ove diventó imprescindibile punto di riferimento per le élites culturali che si mobilitarono in occasione della rivoluzione democratica del 1989, a seguito della caduta del muro di Berlino.
A partire dall’ascesa del sovranista leader del partito Fidesz – Unione Civica Ungherese, il politico Viktor Mihaly Orban, divenuto Primo Ministro di Ungheria nel 2010, la Heller tornò a subire nuove vessazioni e su di lei gravò il peso della diffamazione e della persecuzione intellettuale che ne comportarono la destituzione dalla cattedra.
Il sovranismo populista di Orban aveva cominciato a mietere le sue vittime nell’ambito di un percorso di destituzione dei principi dello Stato di diritto che ad oggi sembra inarrestabile; si pensi che lo stesso Primo Ministro di Ungheria nel 2017 stabilì di rimuovere dal Parco San Istvan di Budapest la statua del Maestro Lukács.
Agnes Heller ci lascia con un messaggio importante, quello per cui si deve maturare la convinzione che lottare per l’affermazione dei propri ideali è sempre l’unica cosa giusta; solo attraverso il libero convincimento e la divulgazione delle idee democratiche è possibile fronteggiare il populismo imperante della nostra èra; il nazionalismo etnico che, a trent’anni dalla caduta del muro di Berlino, torna a regnare incontrastato come se dalla storia nulla avessimo appreso; il sovranismo antieuropeista che si nutre di monopoli mediatici, di massificazione del pensiero, di strumentalizzazione delle paure umane e che, secondo quanto pensava proprio la Heller, può essere ancor più pericoloso e mietere ancor più vittime degli antichi regimi totalitari.
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