Dopo l’approvazione in Senato con il voto favorevole di tutti i partiti e l’astensione del Partito Democratico e del gruppo LEU, il 17 luglio u.s. il cosiddetto Codice Rosso è diventato legge; si tratta del nuovo testo normativo recante modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere.
L’articolato normativo, approvato con 197 voti favorevoli, nessun voto contrario e 47 astenuti, è stato fortemente voluto dalle forze di governo della maggioranza ed in particolare dalla ministra per la Pubblica Amministrazione e senatrice leghista Giulia Bongiorno.
La denominazione della legge vuole sottolineare la necessità di trattare con la massima urgenza – come fossero per l’appunto codici rossi – i casi di denuncia per violenza sessuale o familiare, per i quali deve procedersi all’audizione della denunciante entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato nel relativo registro presso la Procura territorialmente competente.
In tal modo, almeno secondo quanto ritiene chi ha promosso l’approvazione della legge, i reati di genere e quelli che si consumano nel contesto familiare cesserebbero di essere reati di serie B.
Si deve al Codice rosso l’introduzione di una serie di fattispecie criminose di conio giurisprudenziale e fino ad ora non oggetto di specifica legiferazione, attraverso le quali si è tentato, almeno in astratto, di dare applicazione a due direttrici: quella finalizzata all’inasprimento, in un’ottica di maggiore deterrenza, del trattamento sanzionatorio in risposta ai reati, anche di nuova introduzione, individuati come espressivi del fenomeno della violenza contro le donne e familiare; e quella tesa a rafforzare il sistema di tutela “preventiva” delle vittime attraverso la tempestiva adozione di misure di protezione, l’incremento degli obblighi informativi e di comunicazione in favore delle persone offese, l’introduzione di un più ampio spettro di misure atte a contenere il pericolo di recidiva da parte dell’autore del fatto.
Con la nuova legge vengono introdotti: il reato di violazione delle misure cautelari a tutela della sicurezza della vittima (art. 4), quello di costrizione e induzione al matrimonio (art. 7), il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, meglio noto come revenge porn (art. 10), il reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, più noto come “reato di sfregio” (art. 12); è stato espressamente previsto, inoltre, l’nasprimento delle pene per i delitti di maltrattamenti in famiglia e di atti persecutori (art. 9), nonché delle pene in caso di omicidio aggravato dai rapporti personali (art. 11); è stato altresì introdotto un considerevole inasprimento delle pene per i reati di natura sessuale e sono stati dilatati i termini per sporgere querela (art. 13).
Ciò che preoccupa, però, al di là della valenza positiva della legge nel merito, è la potenziale inefficienza applicativa del testo normativo, una inefficienza intravista e denunciata dagli operatori del diritto e da coloro che lavorano a stretto contatto con le vittime di violenza familiare e di genere nell’ambito dei centri antiviolenza.
Specialmente la previsione di tempistiche così ridotte per l’audizione della denunciante, rischierebbe, di fatto, di minimizzare la reale gravità degli episodi portati a conoscenza dell’autorità e soprattutto non consentirebbe di affidare i casi di violenza di genere e familiare a magistrati specializzati nella materia; per non parlare delle situazioni nelle quali la donna, non sentendosi sufficientemente salvaguardata, ritratti la denuncia che, risolvendo dinque in un nulla di fatto, intacca la credibilità della stessa vittima nell’ipotesi in cui essa si ritrovi a denunciare di nuovo, generando l’apertura di altro e successivo procedimento per fatti analoghi.
Ma vi è di più! Il vero punto dolente della novella legislativa è che essa configura una riforma a costo zero. Non viene stanziata, infatti, alcuna risorsa, né per sostenere interventi preventivi, né per la formazione specialistica di coloro che dovrebbero lavorare a contatto le donne vittime di maltrattamenti, rischiando così di vanificare l’opportunità di far sì che il Codice rosso riesca a contrastare concretamente il fenomeno della violenza domestica e di genere.
Queste le prospettive, non proprio rosee della misura; ma è chiaro che per un giudizio sulla validità della novella normativa sarà necessario attendere che essa diventi fisiologica al sistema.
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