Il concetto di moda nasce in un periodo della storia ben preciso, siamo nell’epoca dei lumi. Tra il 1715 e il 1789 assistiamo al preponderante affermarsi dello spirito della ragione dell’intelletto e, durante l’illuminismo, la moda diventa proprio la rappresentazione dell’appartenenza al genere umano. Vestire in un determinato modo significava esserci, esistere, contare, riconoscersi in un movimento.
“Agisci affinché l’idea della volontà, insita in te, come in ogni essere ragionevole, diventi principio di una legislazione universale”
Da: “La Metafisica dei Costumi”, Immanuel Kant
Con la nobiltà in totale decadenza in quella Francia post rivoluzionaria, invece, assistiamo alla nascita di alte classi sociali accanto all’alta borghesia, cioè la media e piccola borghesia, ed è proprio grazie alla nascita di queste due nuove sfaccettature sociali che il concetto di moda muta radicalmente. Essendoci sempre più richiesta di vestiti, talvolta uguali, per più persone che ora potevano permettersi maggiori estrosità, le sartorie e le industrie iniziarono la produzione seriale di abiti. Ed è proprio qui che nasce il conformismo, poiché l’ideale di uguaglianza proprio della rivoluzione francese, vedeva tutti i cittadini uguali, e anche gli abiti dovevano essere tali (con ogni probabilità a cambiare erano solamente le stoffe con cui venivano realizzate le vesti, poiché i modelli erano pressoché trasversali ad ogni classe sociale).
Ma, senza andare troppo indietro nel tempo, anche ai giorni d’oggi la moda, sostanzialmente, vede il principio di uguaglianza alla base della sua messa in opera. Acquistare un abito in una grande catena a basso costo, piuttosto che nella boutique o nella sartoria vicino casa, ci fornisce maggiore possibilità d’acquisto. Quindi scegliere venti capi di scarsa qualità piuttosto che due vestiti cuciti a mano è preferibile in quella che consideriamo la società dei consumi. E se la volontà, come diceva Kant, può diventare un principio di universalità, si capisce bene che anche la moda definisce degli schemi e delle volontà universali bene precise.
Certamente, in questa ottica universalistica, nessuno di noi è veramente originale, ma tutti siamo soggetti all’omologazione. Pensando per assurdo ed estremizzando il discorso, tutti indossiamo dei pantaloni e delle gonne, tutti delle t-shirt o delle felpe, quindi in qualche modo tutti siamo omologati. Quindi, cosa rimane di davvero originale associato al concetto di moda?
Se nessuno di noi si può, forse, permettere di essere originale nel senso più puro del termine, quello che rimane di originale nel mondo della moda è sicuramente l’Alta Moda, fatta di arte, ispirazione e stile, vera e propria espressione di quello slancio artistico proprio dei grandi stilisti. Può, però, risultare scomodo uscire di casa per fare la spesa indossando un abito concettuale, quindi, se vogliamo ricercare un minimo di personalità nel nostro modo di vestire, non dovremmo più parlare di originalità o omologazione ma semplicemente di stile.
Lo stile è assolutamente personale e non può togliercelo nessuno, e riuscire a mostrare la propria personalità attraverso il modo di vestire, rompendo ogni schema preposto è davvero molto difficile, soprattutto se non si vuole cadere nel cattivo gusto (ed ecco che ritorniamo al conformismo e ciò che è socialmente accettato e accettabile).
Se parliamo di stile non tutto è concesso ma tutto è accettabile, perché attraverso l’abbigliamento possiamo mostrare l’appartenenza a una corrente politica piuttosto che la fascinazione per questo o quell’altro cantante o gruppo sociale, possiamo manifestare l’appartenenza a una determinata religione o rendere palese il lavoro che facciamo. Insomma, una divisa da indossare anche fuori da scuola!
Nel 2019, ma già dal 2015, è molto in voga lo stile vintage che si rispecchia sia nell’abbigliamento sia nell’arredamento, ma non evita di coinvolgere quelle parti della vita quotidiana come ad esempio libri con copertine vintage, tostapane e frullatori ispirati agli anni ’50, poltrone chesterfield arrivate direttamente dal set di un film di Hitchcock. Insomma, chi più ne ha più ne metta, in questo calderone che è diventato il consumismo.
Seguire la moda del momento è sicuramente un fattore di conformismo, cercare in qualche modo di personalizzare e creare un proprio stile, diciamo che può essere una simpatica bugia da raccontarsi. Nell’omologazione, purtroppo, la nostra società contemporanea è totalmente immersa e uscirne è decisamente impossibile! Oltre al suo significato di ricerca di omologazione, la moda ha però anche un altro effetto, opposto, che spiega il suo costante successo, e l’attenzione che riceve. Si tratta della sua capacità di conferire aspetti di anticonformismo. La donna e l’uomo di oggi guardano dentro i messaggi della moda per cercare il modo di esprimere se stessi utilizzando in modo personale le proposte di bellezza e di stile di vita contenute nelle collezioni dei grandi stilisti.
Se la ricerca di identità da parte dell’uomo non può essere fermata, cercare però di definire, di dare un nome a tutte le cose, di circoscrivere uno stile, un movimento, una tendenza o altro, anche questo è omologare, e tutto, così diventa moda.
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