Il 21 dicembre 1950 moriva a Roma il poeta Carlo Alberto Salustri, meglio noto con lo pseudonimo di Trilussa – anagramma del cognome.
Trilussa è stato autore di brillanti allegorie in versi, a metà tra favola e satira, in dialetto romanesco.
Giovanissimo, a solo 16 anni, divenne celebre per la pubblicazione sul Rugantino di diverse poesie che celebravano ed omaggiavano alcune delle più belle ragazze di Roma. Il successo fu tale da convincere Trilussa a inserirle nella sua prima raccolta di poesie, Stelle de Roma. Versi romaneschi, pubblicata nel 1889. Successivamente Trilussa continuò ad occuparsi di poesia, affrontando anche i temi della satira politico-sociale. Verso la fine dell’Ottocento cominciò a scrivere alcune favole “rimodernate” e sul Don Chisciotte di Roma ne vennero pubblicate 12. Nel 1898 pubblicò “Altri sonetti. Preceduti da una lettera di Isacco di David Spizzichino, strozzino”. Il titolo fa riferimento ad un episodio che i biografi considerano reale. Trilussa, in difficoltà economiche, si rivolse a Isacco di David Spizzichino, un usuraio, chiedendogli un prestito che avrebbe restituito dopo la pubblicazione del suo successivo libro. Ma il libro tardò ad essere pubblicato, e Isacco mandò una lettera perentoria al poeta. Nel 1922 la Arnoldo Mondadori Editore iniziò la pubblicazione di tutte le raccolte. Sempre nel 1922 lo scrittore entrò a far parte dell’Arcadia con lo pseudonimo di Tibrindo Plateo, che fu anche quello del Belli. Qualche settimana prima della sua morte fu nominato Senatore a vita dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi. Un anno dopo uscì la raccolta “Tutte le poesie”, a cura di Pietro Pancrazi.
LA FAVOLA MODERNA DEL TOPO DI CITTA’ E DI CAMPAGNA
“ER SORCIO DE CITTA’ E ER SORCIO DE CAMPAGNA”
Un Sorcio ricco de la capitale
invitò a pranzo un Sorcio de campagna:
– Vedrai che bel locale,
vedrai come se magna…
Je disse er Sorcio ricco: Sentirai!
Antro che le caciotte de montagna!
Pasticci dorci, gnocchi,
timballi fatti apposta,
un pranzo co’ li fiocchi! Una cuccagna!
– L’intessa sera, er Sorcio de campagna,
ner traversà le sale
intravidde ‘na trappola anniscosta;
– Collega, – disse – cominciamo male:
nun ce sarà pericolo che poi…?
– Macché, nun c’è paura:
J’arispose l’amico – qui da noi
ce l’hanno messe pe’ cojonatura.
In campagna, capisco, nun se scappa,
ché se piji un pochetto de farina
ciai la tajola pronta che t’acchiappa;
ma qui, se rubbi, nun avrai rimproveri.
Le trappole so’ fatte pe’ li micchi:
ce vanno drento li sorcetti poveri,
mica ce vanno li sorcetti ricchi!
Trilussa
(26/10/1871)
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