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QUEL PRESAGIO TRISTE DI ESSERE DONNE IN INDIA

Celebrata come potenza creatrice e distruttrice, necessario complemento dell’uomo, motore universale e temibile mistero, le donne in India vivono in realtà, di fatto, una situazione terribilmente minacciosa sotto le rigide norme istituzionali e sociali del patriarcato.

Nonostante in India non si possa parlare propriamente di religione di Stato vista che la vastità dei territori che comprende (28 Stati e 7 unioni territoriali, 6 religioni e 2 lingue ufficiali unite ad altre 22 lingue nazionali riconosciute per più di un miliardo di abitanti), è proprio la tradizione a giocare un ruolo fortemente repressivo nei confronti delle donne.

A partire dal V secolo, è stato il Codice di Manu ad ufficializzare “l’inferiorità” della donna, imponendole la completa sottomissione al padre, al marito e ai figli maschi.

Un vecchio detto del Padma Purana recita infatti:

La donna è creata per obbedire in tutte le età: ai genitori, al marito, ai suoceri ed ai figli.. Essa penserà solo a suo marito e non guarderà mai in faccia un altro uomo. Durante una prolungata assenza del marito, la moglie non uscirà di casa, non si pulirà i denti, non si taglierà le unghie, mangerà solo una volta al giorno, non dormirà su un letto, non indosserà abiti nuovi..

Dal punto di vista religioso, la donna non ha nessuna possibilità, perciò, di conseguire direttamente il Mokṣa (la Salvezza) perché per poter finalmente intraprendere il cammino per la propria libertà dovrà rinascere come uomo e questo succederebbe solamente se sarà in grado di essere quella moglie e madre devota in Terra.

Le precarie condizioni lavorative delle donne indiane (Copyright immagine)

L’infanticidio sulle figlie femmine:

L’infanticidio delle figlie femmine è una pratica ancora tristemente diffusa in molte aree rurali dell’India.

Un’antica poesia indiana non a caso recita:

Non far nascere nessuno, ma se proprio devi, fai che non sia una bambina

 

Il fenomeno del femminicidio in culla è un rito diffusamente tradizionale.

In molti stati del Nord, le normali proporzioni tra le nascite dei due sessi sono ormai completamente sbilanciate a favore dei nati maschi.

Nonostante il divieto esteso in tutta l’India nel 1994 del governo del Maharashtra di abolire l’amniocentesi per scoprire anzitempo il sesso del bambino, il più delle volte il genere del nascituro è comunicato alle coppie benestanti sotto pagamento e ultimamente molte di loro stanno aggirando anche questo problema della bustarella volando direttamente negli Stati Uniti per farsi impiantare embrioni maschili.

Secondo dati risalenti al 2001, l’infanticidio femminile, in India, determina uno scarto tra popolazione maschile e femminile pari al 933 donne ogni 1000 uomini, anche se rimane incalcolabile il numero esatto delle infanti (si stima, quest’anno, attorno ai dieci milioni) che sono state uccise nelle campagne oppure non riconosciute e abbandonate in tenera età su di un marciapiede, se non proprio vendute nei legalissimi quartieri a luci rosse delle città.

Le figlie sono considerate un peso per la famiglia, un investimento senza ritorno e, soprattutto nell’India meridionale, è spesso la nonna paterna ad essere incaricata di avvelenare le neonate.

Esistono diverse pratiche per uccidere le figlie femmine: le bambine possono essere soffocate con il riso o con dell’ oleandro mischiato al latte ma l’importante è che comunque vengano uccise tramite il “nutrimento”, un po’ come se fosse successo, secondo la giustificazione karmica induista, per mano del Fato.

 

Bambine-prostitute di Bombay (Copyright immagine)

La questione della dote:

Nonostante la pratica della dote sia stata vietata in India, con gli anni questa tradizione continua invece a fortificarsi in tutte le caste presenti.

L’idea di accompagnare la figlia nella nuova vita nuziale con doni (Dahej) è frequente non solo nel mondo Orientale ma anche in quello Occidentale e ha origini molto antiche, tuttavia pare che questa pratica, con riferimento al contesto indiano, si sia distorta nei secoli generando episodi di inaudita violenza ai danni delle spose quando le loro famiglie d’origine non riescono a soddisfare le richieste da parte dello sposo e dei suoi familiari sulla dote (pagamento in denaro o regali in gioielli, elettrodomestici e mobili).

Ovviamente maggiore sarà la sua dote, maggiore sarà il prestigio del ragazzo che le andrà in marito.

Capita anche che quando alcune famiglie non dispongono dei mezzi economici sufficienti per un buon matrimonio, pur di accasare la figlia, siano disposte a cederla ad un uomo di casta inferiore in modo da essere liberi di pagare solamente una piccola dote ed è per questo motivo che potrebbe capitare, perciò, che una ragazza vada in moglie ad un uomo malato o vecchio (soprattutto se è caduta in disgrazia a causa dell’ essere stata rifiutata dal ragazzo a cui era stata promessa).

Un atroce fenomeno che le donne indiane appena sposate, diventate di fatto oggetto di proprietà del marito, ben conoscono è il Bride-burning o Dowry-related violence (“Omicidi di fuoco“): ogni anno migliaia di loro vengono bruciate vive sul fornello o muoiono a seguito di prolungate torture da parte della famiglia acquisita, spesso solamente affinché lo sposo possa incassare la loro dote senza dover assumersi il peso di una nuova donna da mantenere, senza poi per altro subire condanne legali a causa della corruzione della maggior parte dei giudici.

Matrimonio combinato (Copyright immagine)

La violenza domestica:

Non è servita una recente modifica della sezione del Codice Penale sulla violenza domestica di considerarla ufficialmente punibile con detenzione fino a tre anni ed una salatissima multa, per fermare le ire di uomini violenti nei confronti delle proprie spose.

Milioni di donne indiane subiscono violenze quotidiane e inauditi maltrattamenti dal proprio marito o dai suoceri, con acido ed olio bollente sul corpo.

Quelle che scelgono di lottare per la giustizia in un’aula di tribunale sanno che dovranno affrontare processi lunghi, costosi e dolorosi, e che per la maggior parte delle volte questi atti di crudeltà saranno comunque bollati dagli stessi giudici corrotti come semplici litigi tra coniugi.

Ovviamente, va da sé che alcune delle donne indiane che denunceranno, a fine processo pagheranno questo loro coraggio per la libertà con sevizie indescrivibili, spesso addirittura con la lapidazione.

Donna indiana sfregiata (Copyright immagine)

 

Le spose bambine:

Nonostante la legge preveda che l’età da matrimonio sia per le donne 18 e per gli uomini 21 anni, si stima che 40% dei matrimoni infantili nel mondo avvengono in India e che tre milioni di bambine sotto i 15 anni abbiano già un figlio.

Sull’argomento vi consigliamo Water, l’intenso film di Deepa Mehta sulla storia vera di Chuyia, una sposa-bambina già a sette anni che l’anno successivo, perdendo il marito, è costretta a rinunciare alla propria vita in uno squallido Ashram per vedove.

 

Le vedove indiane:

Se la donna ha identità solo come moglie, quando muore il marito non ha più senso di esistere.

Negli ambienti tradizionali la vedova deve radersi la testa, visto che ogni suo singolo capello manda una reincarnazione al marito, vestirsi di bianco, il colore del lutto, e non le è più permesso indossare il Sindur (la polvere rossa che solitamente si mette sulla testa) né gioielli di alcun tipo.

In passato molte vedove potevano sublimare la loro devozione al marito attraverso la pratica del Sati ovvero immolandosi e morendo con lui sulla pira funeraria.

Molte di loro vengono riunite oggi negli Ashram, in delle comunità per vedove che raccolgono un grandissimo numero di donne, dove per mancanza di protezione economica sono per lo più costrette all’elemosina o alla prostituzione per un tozzo di pane giornaliero.

Ad esempio a Vrindavan più di 500 vedove trovano rifugio nel “Bhagvan Bhajan Ashram”, dove, cantando per 8 ore al giorno inni sacri a Krishna, ricevono 250 grammi di riso, 50 grammi di dhal (legumi) e 10 rupie (circa 500 lire). Alla sera si ritirano a gruppi in sordide stanze in attesa di una grazia che, ovviamente, non arriverà mai.

Vedove mendicanti a Govardhan (Copyright immagine)

Il lavoro delle donne indiane:

Rispetto a quello che si crede, più di un terzo delle donne che lavorano in India lo fanno da casa.

Confinate tra le mura domestiche, sono socialmente escluse, il che equivale alla perdita dei vantaggi derivanti, spesso, dalla creazione di una rete di rapporti sociali, come il sostegno emotivo e finanziario, l’accesso alle opportunità, o la partecipazione alla vita sociale o politica della comunità locale.

Ci si augura che, affinché le donne possano davvero prendere parte alle attività fuori casa, le strade, i quartieri e le infrastrutture di trasporto debbano essere progettati in modo da rispondere sensibilmente ai bisogni femminili, esigenza fondamentale quanto complicata, come racconta il documentario India’s Daughter di Leslee Udwin sullo stupro di gruppo che nel 2011 Jyoti Singh, giovane ragazza di ritorno dall’università, ha subito su di un autobus, senza che nessuno dei presenti fosse intervenuto a salvarla.

Eppure…

A partire dagli anni Settanta del XX secolo, sono nati i primi movimenti femministi in India a favore delle condizioni delle donne.

Gruppi come SEWA (Self Employment Women Association) in Gujarat e POW (Progressive Organization of Women) in Andhra Pradesh sono nati anche come movimento di lavoratrici agricole contro le oppressioni perpetrate dai proprietari terrieri, contro la violenza della polizia, gli abusi domestici e gli stupri di gruppo sulle donne.

La speranza è che sempre più donne indiane, perciò, si organizzino per difendere i propri diritti, che facciano gruppo per rivendicare la propria importanza sociale e la voce che a loro spetta.

Femministe in India: la Gulabi Gang. (Copyright immagine)