Giorgio Gaber, autore, sceneggiatore, attore e cantante, ma soprattutto uomo di teatro. Perché Gaber è stato il teatro e ne ha incarnato l’essenza.
Il corto circuito che uno spettacolo di Giorgio Gaber metteva in moto era gesti e canzone, impeto civile e divertimento. Ironico e istrionico è stato definito l’anarchico della scena artistica degli anni ’70, i recital che Gaber portava in giro per i teatri mettevano a nudo, con pudore e sottigliezza, la tragicità ordinaria dell’esistenza.
Col suo teatro-canzone Giorgio Gaber ha attraversato quarant’anni cruciali della storia italiana, in un intreccio continuo tra pezzi di vita pubblica e privata.
Quando Gaber iniziò a cantare, Milano è in una fase di originale crescita culturale: ci sono Dario Fo, Paolo Grassi, Giorgio Strehler, Franco Parenti. Nacque proprio in quegli anni la definizione di cantautore nell’ottica della rivalutazione del testo della canzone, sull’onda delle risonanze della canzone francese e in antagonismo con la musica leggera della tradizione italiana melodica.
Dopo gli inizi brucianti, Gaber ampliò i suoi interessi artistici, diventando molto popolare. Il pubblico televisivo lo scopre e lo apprezza in rubriche musicali e spettacoli di cui è ideatore-cantante-conduttore, dove propone alcuni pezzi scritti con Sandro Luporini che troveranno poi un ambito più congeniale a teatro, nell’esordio con “Il signor G”.
Il Signor Gaberscik era convinto che il suo posto fosse proprio nei teatri. Lì dove poteva esprimere la sua poetica dissacrante anti-borghese, anti-clericale, ritratto di bigotteria, sciacallaggio, ipocrisia, pur non sposando nessuna ideologia. La sua voce è quella di un individualista senza pace, che non riesce a tacere su nulla e che nutre una feroce antipatia per le masse omologate.
Oggi, 25 gennaio, avrebbe compiuto 81 anni e la sua voce continua ad echeggiare nella lotta al becero qualunquismo.
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