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VIOLENZA CONTRO LE DONNE. INTERVISTA ALLA PSICOLOGA MARIA GRAZIA SPAGNOLI

«La violenza sulle donne è antica come il mondo, ma oggi avremmo voluto sperare che una società avanzata, civile e democratica non nutrisse le cronache di abusi, omicidi e stupri».  Helga Schneider

 

 

Basta ascoltare i tg o leggere le prime pagine di cronaca nera sui giornali per apprendere che la violenza contro le donne è un fenomeno che sembra non arrestarsi, dalle sfumature complesse e drammaticamente diffuso ancora ovunque. Purtroppo. Lo dicono i report stilati dai diversi organismi nazionali e internazionali, che disegnano una situazione di emergenza pubblica sia in Italia che all’estero.

Ma come riconoscere i diversi tipi di violenza? Quali sono i campanelli d’allarme che la precedono? Come contrastarla? Quanto è importante il percorso psicologico per rinascere ed uscire dalla violenza?

Ne parliamo con Maria Grazia Spagnoli, psicologa.

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Secondo il rapporto Eures 2019 su «Femminicidio e violenza di genere in Italia», 142 donne sono state assassinate nel 2018. Nel rapporto si sottolinea che non si è mai registrata una percentuale così alta di vittime femminili (40,3%). Una violenza che si esplica principalmente in famiglia, all’interno delle mura domestiche. Perché ciò avviene e con quali modalità?

Il fenomeno del femminicidio e in generale della violenza sulle donne assume contorni sempre più drammatici. I dati statistici emersi dall’indagine Eures 2019, fotografano la situazione nel nostro Paese. 142 vite spezzate. Si contano in queste statistiche figlie strappate ai loro genitori ma soprattutto madri strappate ai loro figli. Famiglie segnate per sempre da queste tragedie, che nella maggior parte dei casi si tratta di “donne morte per mano di un uomo credendo nell’amore”. Quello che più mi colpisce nell’affrontare questo argomento è che questi dati, purtroppo, non riflettono la realtà: gli episodi di violenza sono molti di più. Solo una piccola percentuale riesce a denunciare. Inoltre, la maggior parte dei femminicidi avviene proprio in ambito famigliare, tra le mura domestiche. La prima domanda che ci si pone è: perché? L’unico vero motivo è la volontà dell’uomo di dominare sulla donna. Lo scopo è quello di annientarla per misurare la propria potenza e avere così il comando della situazione. Il controllo della vittima fa sentire l’uomo appagato e sicuro. Le modalità sono molteplici: violenza fisica attraverso percosse; violenza sessuale; violenza economica impedendo alla donna  di lavorare e costringerla ad essere economicamente dipendente da lui; violenza psicologica attraverso intimidazioni: farle paura con sguardi, azioni o gesti, rompere oggetti di sua proprietà; minacciare il suicidio o l’omicidio; ridicolizzare o giustificare gli episodi di violenza; utilizzare i bambini come oggetto di ricatto; insulti, manipolazioni, umiliazioni, isolare la vittima per controllare quello che fa, chi frequenta e dove va magari usando la gelosia come giustificazione.

Si parla sempre più spesso di violenza fisica, tralasciando un’altra forma, altrettanto grave, ossia quella psicologica. Potrebbe delineare gli aspetti di entrambe?

C’è da dire che tutte le forme di violenza sono devastanti e nessuna è meno importante dell’altra in quanto tutte lasciano segni indelebili. La violenza fisica comporta atti mirati a colpire fisicamente la persona, spesso si colpiscono parti del corpo non esposte per far si che non siano facilmente visibili agli altri, soprattutto ai familiari. Ovviamente si tende a giustificare questi episodi facendo sentire in colpa la vittima, facendo in modo che lei stessa possa credere che sia successo per colpa sua, oppure per un “attimo” di perdita di controllo con la promessa che non avverrà mai più. La violenza psicologica, invece, è un insieme di comportamenti che minano la dignità e l’autostima della vittima: offese, denigrazioni, manipolazioni per avere il completo controllo della vittima.  Per controllo si intende: dal tipo di abbigliamento da utilizzare nelle varie occasioni, obbligarla a rapporti sessuali; al controllare i posti che si frequentano e chi si frequenta, come e quando; denigrare e svalutare la vittima. Si mira ad insultare, ridicolizzare, far sentire inferiore, umiliare, svalutare il lavoro o l’operato della vittima per cercare di sottometterla in tutti i modi. Questo porta la vittima ad isolarsi, ad impedire di confrontarsi, consolarsi o chiedere aiuto. Inoltre non dimentichiamo il ricatto, dove vengono utilizzate cose o persone per fare pressione psicologica, come ad esempio minacciare di lasciarla sola o nei casi più estremi di ucciderla, ricattarla emotivamente dicendole di utilizzare video o foto ecc. contro di lei. Nel peggiore dei casi vengono utilizzati i bambini ove ve ne siano, come fonte principale di pressione, minacciando di toglierle i bambini o peggio fare loro del male.

Quali sono dunque le conseguenze psicofisiche di queste due tipologie di violenza?

Le conseguenze per una donna vittima di violenza o maltrattamenti impattano sulla qualità della vita nel breve, medio e lungo periodo. Possiamo affermare che le lesioni fisiche con il tempo possono passare ma quelle interne saranno onnipresenti. Purtroppo spesso sfociano in depressioni, in disturbi del sonno, disturbi post traumatici da stress, perdita di autostima, perdita di fiducia negli uomini. Queste donne vivranno sempre nella paura di non poter essere mai “all’altezza”, oppure nella paura che qualcuno possa di nuovo farle del male, o ancora paura che possa succedere qualcosa a qualcuno della famiglia, alcune purtroppo arrivano addirittura al suicidio.

Quali sono le azioni che si possono attuare per contrastare il fenomeno?

Per contrastare questo fenomeno bisogna denunciare. La cosa più importante, però, è quella di prendere coscienza di vivere accanto ad una persona violenta perché possono entrare in gioco meccanismi di vergogna, senso di colpa e auto-punizione che portano a negare certi comportamenti, e quindi a fingere di non vederli. Il primo passo è riconoscersi vittime smettendo di “sopportare” quelle situazioni, rompendo il silenzio e trovare il coraggio di parlare con qualcuno di quello che accade. Altrettanto importante è l’informazione, è fondamentale che queste donne capiscano che la violenza è un reato e che come tale va punito.

Quali sono i campanelli d’allarme che segnalano un’incrinatura nel rapporto di coppia?

I campanelli d’allarme possono essere tanti. Bisogna prestare attenzione quando il nostro partner comincia ad avere atteggiamenti di iper controllo, oppure tende a portare la propria donna alla sottomissione, ad isolarla, quando vi è violenza fisica o verbale. Una relazione sana è all’insegna dell’amore e del rispetto, pertanto qualsiasi atto volto ad intimidire, maltrattare e violare l’autostima di una donna è violenza e va denunciata a chiunque possa aiutarci ad allontanarci dal nostro partner.

Quali sono le conseguenze sui bambini che assistono alla violenza domestica nei confronti delle loro mamme?

Purtroppo la maggior parte delle aggressioni subite dalle donne avviene in presenza dei figli. Impossibile riuscire a nascondere loro determinate cose poiché si accorgono delle violenze in molti modi e la loro consapevolezza è molto più intensa di quanto noi adulti possiamo pensare. Anche se i bambini non assistono direttamente alle liti o violenze non significa che questi non abbiano delle ripercussioni su di loro in quanto, essendo estremamente sensibili, subiscono il clima di tensione e violenza all’interno del nucleo famigliare. I sintomi del trauma sono: ansia, disturbi del sonno, disturbi dell’alimentazione, disturbo post traumatico da stress. Queste violenze privano i più piccoli del loro “posto sicuro”, del posto dove fino a quel momento vivevano serenamente. I bambini sono pazzeschi: percepiscono più quello che viene taciuto di quello che viene detto. Negli adolescenti potrebbero presentarsi anche casi di depressione, abuso di alcool e/o di sostanze stupefacenti o addirittura di suicidio.

Qual è il percorso psicologico che può seguire una persona vittima di violenza?

L’intervento più efficace in questi casi è una terapia con entrambi i partner, in modo che si possano definire i ruoli e soprattutto è importante chiarire che la vittima non ha colpe e che le uniche responsabilità sono dell’aggressore che ha usato violenza. Quando questo non è possibile è assolutamente necessario il sostegno psicologico per la vittima. Le donne che hanno subito violenza generalmente soffrono di bassa autostima, depressione, ansia, ecc. Alcune ricorrono all’alcool o droghe per “lenire” il peso della sofferenza, mentre altre tentano il suicidio. La terapia è piuttosto lunga a causa delle profonde ferite sul corpo e sulla psiche della persona interessata e prevede la gestione dello stress e la regolazione delle emozioni. Ci si concentra molto sull’ empowerment, sulla restituzione dell’autostima alle vittime, aiutando loro a sviluppare le competenze necessarie per raggiungere gli obiettivi personali, la costruzione di abilità cognitive e comportamentali per gestire il disturbo post traumatico da stress. In questi casi può essere utile l’intervento da parte della rete familiare a sostegno della vittima, come possono anche essere utili i gruppi di ascolto per capire che non sono sole e che il loro dolore è condiviso.

 

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