Alla motivazione, nel 1997, della consegna del premio Nobel per la Letteratura a Dario Fo, Sture Allen, il segretario dell’Accademia, si espresse così:
Mescolando il riso e la gravità, Fo ha fatto prendere coscienza degli abusi e delle ingiustizie della vita sociale, ma anche del modo in cui queste possano inscriversi in una prospettiva storica più ampia.
Dario Fo, il giullare teatrale che tentava di raccontare la verità sotto il paradosso e il grottesco, nasce nella lombarda Sangiano il 24 marzo 1926, in una famiglia intellettualmente vivace, nella quale poté ascoltare fin dalla prima infanzia le favole, frammiste a cronaca locale, raccontate dal nonno materno e le storie dei viaggiatori conosciuti da suo padre Felice, capostazione.
Ammaliato dai racconti affabulatori, Fo abbandona la facoltà di architettura, iniziata dopo la parentesi milanese presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, e inizia l’attività teatrale, spesso improvvisando sul palco, con leggiadra aria farsesca.
Nel 1952 entra in Rai scrivendo e recitando per la radio “Poer nano“, fino a dedicarsi totalmente all’esperienza teatrale non solamente dopo essersi scontrato contro la censura televisiva (che di fatto gli blocca il programma di satira politica “Sani da legare“) ma soprattutto dopo l’incontro con Franca Rame, drammaturga con la quale instaurerà un sodalizio sentimentale e lavorativo indelebile.
E sarà proprio con la moglie che inizierà a produrre, a partire dal 1959, le prime commedie teatrali che, con un atteggiamento fortemente critico verso il “teatro borghese”, venivano rappresentate, con la struttura della farsa, in luoghi alternativi come piazze, case popolari e fabbriche.
Il capolavoro che consacrerà Fo all’attenzione mondiale verrà creata nel 1969 col nome di “Mistero Buffo“, un’opera trasversale che, fin dall’inizio, metterò in chiaro il suo intento: nessuna propaganda, nessuna spinta a rivoluzioni di cartapesta, ma il tentativo di recuperare un’identità popolare negata, una “giullarata” comica e dissacrante di contro alle rappresentazioni delle elìte, attraverso l’utilizzo di una lingua nuova e universale, incomprensibile solo a chi del popolo non faceva parte, un iperdialetto denominato grammelot.
Dario Fo lotterà tutta la sua vita contro l’egemonia culturale dominante, il cattolicesimo imperante, l’attivismo politico inesistente e il perbenismo dilatante rimanendo uno dei più vivi, autonomi e dissacranti rappresentati del teatro italiano.
Per approfondire ancora, cliccate qui:
Categorie:Metis Oggi, METIS OGGI