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GENDER GAP: PERCHÉ LE DONNE CONTINUANO A GUADAGNARE MENO DEGLI UOMINI?

Il gender gap è costituito da tutte quelle differenze che si riscontrano a livello di condizioni economiche, di accesso al lavoro, sociali e di istruzione che influenzano le vite degli esseri umani, in base al loro genere sessuale di appartenenza.

Nello specifico il gender pay gap – anche detto gender wage gap – è il divario salariale che esiste tra uomini e donne. Solitamente si fa riferimento ai lavoratori e alle lavoratrici dipendenti.

Normalmente è espresso nella forma di numero di giorni in più durante l’anno per i quali le donne dovrebbero lavorare per arrivare a guadagnare la stessa cifra dei propri colleghi uomini o, più semplicemente, sotto forma di percentuali come quelle che parlano di un  differenziale retributivo tra uomini e donne superiore al 5.5%, ma che può toccare anche il 20% soprattutto nel settore privato.

Diverso è il concetto di concetto di equal pay for equal work, ossia a parità di mansioni lavorative e qualifiche le donne guadagnano meno degli uomini. È un “fattore” che pesa tra il 10 e il 20% della retribuzione, noto da anni e al centro di campagne nazionali e internazionali per la parità salariale a parità di mansioni.

Se il gender gap è un fatto, purtroppo, noto nel mondo del lavoro, meno lo sono le sue cause.

Come si calcola il gender pay gap?

Calcolare il gender pay gap è molto complesso perché spesso i paesi usano indicatori diversi (per esempio, alcuni stati misurano gli stipendi su base oraria, altri su base settimanale o mensile). Inoltre parte del suo ammontare non può essere quantificato con i tradizionali criteri usati nel mercato del lavoro per determinare la retribuzione salariale.

Nell’Unione europea il gender pay gap è calcolato sulla base della differenza del salario lordo orario tra gli uomini lavoratori e le donne lavoratrici. Non vengono presi in considerazione tutti gli altri fattori che contribuiscono al divario.

Perché le donne vengono pagate meno?

Women don’t ask o women don’t get? La prima teoria vede la donna meno propensa a negoziare per l’aumento di stipendio con il proprio datore di lavoro. Una vera e propria illazione, poiché le donne hanno la stessa propensione alla negoziazione degli uomini, chiedono aumenti di salario tante volte quanto lo fanno i loro colleghi maschi. Solo che alle donne l’aumento viene concesso meno che agli uomini: vengono accolte il 15% delle richieste femminili e il 20% di quelle maschili, una differenza che incide molto nell’arco di una carriera lavorativa.

Altre cause, più o meno, legate al senso comune vedono le donne occupare maggiormente posizioni lavorative con un impegno orario part-time. Ma lavorare meno ore a settimana significa portare meno soldi a casa a fine mese, non guadagnare meno soldi ogni ora. Inoltre il lavoro a tempo parziale per le donne non è sempre una scelta ma deriva dalla necessità di prendersi cura dei familiari, dalla mancanza di servizi, come il servizio di baby sitting per le donne madri, o è imposto dalle stesse aziende.

O ancora, la retribuzione è direttamente proporzionale al titolo di studio. È possibile constatare che la percentuale di donne laureate in Italia è del 53%. Ma studiare non basta per raggiungere il livello contributivo degli uomini, al contrario più le donne sono istruite e più è grande il divario. A influenzare il gap c’è anche il tipo di discipline scelte dai due sessi. Le discipline umanistiche, maggiormente scelte dalle donne, hanno più basse prospettive di carriera.

Il problema è da riscontrarsi, ancora una volta, nella cultura stereotipata di genere. Non vi è una distribuzione paritaria del lavoro di cura in famiglia, e una rete pubblica che semplifichi e non complichi il tempo destinato a tali mansioni. In alcuni casi scegliere settori dove si guadagna di meno, sembra quasi essere una scelta obbligata per una donna che vuole conciliare lavoro e famiglia.

In diversi Paesi vige per legge il divieto di discriminazione salariale per genere.
In Italia è in vigore il cosiddetto Codice delle Pari Opportunità (approvato nel 2006, integrato nel 2017), ma senza un sistema di welfare adeguato, servizi per la genitorialità e una effettiva parità nella gestione dei carichi familiari, il pay gap è destinato a non estinguersi.

La situazione in Italia

L’Italia si trova piuttosto in basso nella classifica dei paesi virtuosi per la parità di genere: suo è il 70esimo posto su una classifica di 179 nazioni e che vede primeggiare l’Islanda e altri paesi del Nord Europa come la Norvegia e la Svezia.

Oltre che tutti gli aspetti già discussi sulle differenze salariali, in Italia rappresentano una minoranza le donne che ricoprono ruoli dirigenziali e/o manageriali, nonostante negli ultimi anni siano moltiplicati misure e incentivi pensati ad hoc.

Un altro dato che fa da specchio a quella che è la situazione del gender gap nel Belpaese, è il divario di genere nella politica italiana. Tra i membri dei consigli regionali nostrani solo uno su cinque è donna e solo il 14% dei comuni italiani ha un sindaco donna.

Ma perché sorprenderci di questa prospettiva, quando sulle pagine delle politiche italiane piovono commenti sessisti e offensivi, lungi dal riguardare l’operato politico.


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