Il fascino degli anni 20-30 del ‘900 sembra aver ormai contagiato tutti.
Negli ultimi anni c’è stata una vera e propria riscoperta di questo periodo storico, dal cinema, alla musica e la moda. La riscoperta del Jazz, serate a tema Charleston, pellicole cinematografiche come il Grande Gatsby e baffi a manubrio, non fanno che riportaci proprio lì: nell’era del Proibizionismo.
L’era del Proibizionismo
Il 16 gennaio 1920 negli USA divenne illegale la vendita e il consumo di tutti i tipi di alcoolici all’interno di locali pubblici. La legge fu in vigore per oltre un decennio, sostenuta dalla cosiddetta società di temperanza, costituita da gruppi religiosi, politici moralisti e fondamentalisti.
Il regime dry veniva promosso poiché si riconduceva al consumo di alcool l’assenteismo e lo scarso rendimento sul lavoro, nonché i maltrattamenti domestici, e addirittura la criminalità stessa.
Dopo l’istituzione del Proibizionismo milioni di americani per continuare bere erano disposti a pagare le cifre folli richieste dal mercato nero.
Già a mezzanotte e tre quarti del 15 gennaio, a Chicago, una banda armata assaltò un treno e rapinò un carico di whiskey dal valore di 100.000 dollari, dando così ufficialmente inizio al contrabbando e al mercato nero degli alcolici.
Era partita una macchina invisibile ed inarrestabile che mise l’America in ginocchio e sotto l’egemonia dei gangster, figura che prese piede proprio in questi anni. Gli intrecci tra politici, polizia, contrabbandieri e criminali si fecero torbidi e frequenti.
Fu l’epoca di Al(phonse) Capone, e di altre figure mitiche, come quella del Capitano William “Bill” Mc Coy che, con i suoi pescherecci, batteva la costa Est del Centro e Nord America, trasportando rum dai Caraibi e Rye whiskey dal Canada.
Gli alcolici che non arrivavano via mare o dai paesi limitrofi, venivano distillati in laboratori clandestini nascosti nelle case o addirittura in mezzo ai boschi.
I più facoltosi non disdegnavano di fare un giro a l’Havana per bere e fumare, spendendo grandi somme di denaro nei casinò, nei bordelli, nei cocktail bar e ristoranti dell’isola.
Ed è in questo scenario illegale e romantico, che nascono gli speakeasy: i locali (non così tanto) segreti.
Da sempre posizionati nei quartieri o nelle vie più nascoste, spesso erano seminterrati che venivano allestiti a bar. Si nascondevano nel retrobottega di una drogheria, nello sgabuzzino di un barbiere, dietro porticine anonime; sotto terra, ma anche ai piani alti di hotel e ristoranti di lusso, nascosti da passaggi segreti o con entrate e uscite separate.
Quasi sempre, la struttura del locale prevedeva volte in mattoni, pietra a vista e arredi essenziali. Importante era che il volume fosse molto basso, per non destare sospetti. Infatti, pare che il nome dei bar super segreti derivi proprio dal modo in cui venivano zittiti i clienti troppo turbolenti “speak easy boys!”.
Gli effetti del Proibizionismo sulla società furono tutt’altro che positivi, dalle guerre di strada allo svuotamento delle casse nazionali, si arrivò ben presto alla crisi del ’29.
I novelli Speakeasy
Dopo il 1933 tutti i locali tornarono in superficie e il concetto di speakeasy venne abbandonato, fino ai giorni nostri. Il tempo in cui la new cocktail golden age si fonde con la ricerca di atmosfere intime e retrò. Infatti è proprio di questi ultimi anni la diffusione dei nuovi locali segreti.
A fare da apripista il Milk & Honey, nel Lower East Side di Manhattan, la cui avventura cominciò nel 1999. Totale assenza di insegne, ingresso su prenotazione telefonica (e il numero cambiava spesso), un locale in legno scuro e mattoni rossi, jazz di sottofondo, personale vestito all’antica. Era vietato sostare all’esterno del locale e la qualità dei cocktail strepitosa.
Questo speakeasy storico ha chiuso, ma nel il corso degli anni ne sono nati tanti di locali che ne ricalcano le orme, complice le nuove tendenze in atto.
La prima regola di uno vero speakeasy è di non farsi trovare. Indirizzo incognito, senza un numero da poter chiamare, apparentemente nessun contatto. Come entrarci? Proprio come si faceva negli anni ’20, per conoscenze personali e passaparola.
A prima vista si presentano come attività che non c’entrano nulla con un bar. Alcune volte come un negozio vetrina, altre volte si aprono le ante di un vecchio armadio, o di quella che sembra essere una parete di libri, e l’entrata è proprio lì. Ma non c’è mai un’insegna su quella porta.
Non c’è da meravigliarsi, quindi, se passeggiando per le vie della città, qualcuno sparirà di soppiatto dietro una porticina apparentemente anonima.
Un’altra regola fondamentale per un vero speakeasy è non servire vodka. Già, perché il distillato sovietico arrivò negli Stati Uniti solo dopo la seconda guerra mondiale, con il Moscow Mule.
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