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“BLUES HIGHWAY”: IL VIAGGIO ON THE ROAD SULLA MUSICALE U.S. ROUTE 61

Meno famosa della Route 66, l’avventura pop on the road per scoprire gli Stati Uniti d’America, la US Route 61, chiamata anche “The Blues Highway” e “The Great River Road”, è invece l’entusiasmante percorso lungo il corso del Mississippi che attraversa per oltre 2.200 chilometri tre Stati degli U.S.A. alla ricerca delle radici della musica Blues e Soul.

Intrecciata al sistema stradale del Great River Road con il suo capolinea a Nord che si incrocia con la Interstate 51 in Wyoming e a Sud con New Orleans, la Route 61 è circondata da un’aura mitica e da racconti leggendari, un viaggio – consigliato in macchina! – che continua ad essere d’ispirazione a una valigia di musicisti, da Roosvelt Sykes (con la prima canzone registrata nel 1931 su questo tragitto, la “Highway 61 Blues“) a Jack Kelly e Will Batts, dagli Sparks Brothers all’Halleluja di Jesse James, da Sampson Pittman a Gatemouth Moore e il pianista Sunnyland Slim, ad esempio.

Rispetto al tratto originale, la Old Highway 61, percorsa da una serie strade sterrate e di campagna prive di indicazioni, sull’attuale Mississippi Blues Trail troverete indicazioni precise e cartelli segnaletici ben chiari che vi indicheranno gli itinerari più importanti della musica del diavolo, luoghi dove da qualche porta di distanza sentirete ancora, come scriveva Tennesee Williams in “Un tram che si chiama desiderio”:

…Un pianoforte che dita brune scorrono con soavità. Questo blue piano è l’espressione della vita che si svolge qui!

E se presterete attenzione, avrete anche l’opportunità di fotografare lungo la Highway le abitazioni di B.B. King e Robert Johnson, Charley Patton e Muddy Waters, Howlin ‘Wolf, Sonny Boy Williamson No. 2 e Ike Turner, Robert Nighthawk e Sunnyland Slim, Honeyboy Edwards e Sam Cooke, James Cotton, Jimmy Reed e Junior Parker.

Lungo l’itinerario dove per Bob Dylan Abramo sacrificò Isacco, sentirete come ancora gli echi lontani delle work songs nelle piantagioni di cotone (“Bisogna raccogliere cotone/ Bisogna raccoglierlo per tutto questo campo…“), catapultati in un tempo indefinito, sul magico crocicchio tra la 49 e la 61 dove Robert Johnson vendette la sua anima al diavolo in cambio del genio chitarristico o nei primi locali di Maxwell Street a Chicago dove si suonava il primo blues elettrico o vi imbatterete nel fantasma di Charley Patton che vi saluterà da una sgarrupata steamboat sul delta del fiume.

E mentre gli amanti delle profondità recondite delle sonorità nere inizieranno a segnarsi sulla cartina le tappe da percorrere seguendo il sito ufficiale o le storie in un libro (“Blues Highway. Da Chicago a New Orleans” di Giuliano Malatesta è dei pochi in italiano sulla Route 61), ecco un assaggio per voi del percorso da compiere per onorare degnamente questo genere musicale nato dai bassifondi delle viscere, delle sonorità che sono prima di tutto un modo di sentire le cose perché, come chi osò una volta Ladbelly:

Quando la notte sei sdraiato a letto e comunque ti rigiri, stai scomodo, allora vuol dire che t’ha preso il Blues.

CHICAGO (ILLINOIS)

La città ventosa è decisamente la patria degli studi di registrazione più famosi del blues, dalla Chess Records di Muddy Waters e Curtis Mayfield alla One-Derful Records dei Jackson Five e Otis Lee Clay.

Se per i collezionisti di chicche di vinili sul genere sarà indispensabile recarsi nella “strada dei dischi” tra la Roosvelt e Michigan Avenue, la Magnificent Mile, per i nostalgici più puntigliosi della storia musicale sarà invece consigliabile spostarsi sulla Record Row dove sicuro tenteranno di scovare i resti delle 350 etichette discografiche e dei 21 distributori di musica Blues, R&B, Soul e Hip-Hop che un tempo riempivano l’intero isolato.

La presenza di ancora numerosi studi di registrazione sarà incorniciata dentro un’ampia scelta di bar e club nei quali ascoltare musica dal vivo, spesso senza sosta alcuna: dal Buddy Guy’s Legends al The Green Mill Cocktail Lounge, dal Kingston Mines, il primo Blues club della città alla House of Blues, quello che è stato per anni il tempio dei Blues Brothers.

Perché tutto questo è, come cantava il re del blues del delta Robert Johnson

Sweet Home Chicago!

DA ST. LOUIS (MISSOURI) A NASHIVILLE (TENNESEE)

Incontriamoci a St.Louis!, recitava il titolo di un vecchio film di Vincent Minnelli.

Una città pienamente immersa nella black music se già la sua squadra di hockey su ghiaccio si chiama, per l’appunto, come già cantava H.C. Handy, “St. Louis Blues”!

Accanto alla visita del National Blues Museum, questa città inizierà anche a mettervi in contatto, novelli Mark Twain, con l’atmosfera ‘South’ degli Stati Uniti, come se tutto fosse volutamente rimasto immacolato sin dagli anni Venti del Novecento lungo le ramificazioni del Mississippi.

Spostandoci invece nella capitale del Tennesee ci troveremo catapultati sulle rive del fiume Cumberland a Nashville, la “Music City”, sede del programma radiofonico di musica country Grand Ole Opry e di nutrite case discografiche.

E che ne dite di una capatina a Graceland, la luccicante magione di Elvis, prima di riprendere il nostro viaggio alla ricerca della musica del diavolo?

DA MEMPHIS (TENNESEE) A CLARKSDALE (MISSISSIPPI)

La Storia di Memphis è indissolubilmente legata a quella della battaglia per i diritti civili, un esempio per l’emancipazione delle donne african-american e per l’integrazione lavorativa della comunità nera che hanno di certo agevolato la produzione musicale Blues.

A Memphis è possibile connettersi con la black music tramite il Memphis Rock’n’ Soul Museum, un museo gestito dallo Smithsonian Institute che ripercorre il processo di trasformazione musicale che si era verificato a partire dal Blues e dal Gospel rurale fino alla nascita della musica Soul (e in questo caso doveroso sarà un salto allo Stax Museum of American Soul Music, dedicato alla storia della Stax, la famosa casa discografica di soul music fondata proprio in questa città nel 1957).

Beale Street è invece la vivace strada di musica dal vivo straripante di Blues bar (il B.B. King’s Blues Club o il Rum Boogie Cafe, ad esempio) o di preziosissimi reperti archeologici (come la casa-museo del bluesman W.C. Handy a cui si deve la prima pubblicazione del genere nella canonica forma in 12 battute), di mostre in tema (come quella delle leggendarie chitarre Gibson sulla George W. Lee Avenue) o di visite guidate ai mitici studi della Sun Records, all’incrocio tra Marshall e Union Avenue.

Memphis è, perciò, una contaminazione perfetta di Blues, Gospel e Country  (Cash, Perkins) che ha di fatto dato origine a quello strano ibrido chiamato rock’n’roll (Presley, Lee Hooker) proprio perché, come ha scritto nel suo “It Came From Memphis Robert Gordon:

La vera questione è: come chiamiamo un bianco che prova a suonare blues?come definizione del rock’n’roll io suggerisco: rock’n’roll was white rednecks trying to play black music.

Proseguendo sulla nostra Blues Highway ci si sposta a Clarksdale, a Coahoma, una delle contee più povere degli Stati Uniti, dove il 37% dei resistenti vive in stato di assoluta povertà.

Eppure è stato proprio qui che si dice sia nato il Blues rurale del Mississippi quando, nei primi anni del Novecento, il musicista dell’Alabama W.C.Handy udì per caso di notte, in attesa di un treno che non arrivava mai, “un nero vestito di stracci” che suonava una chitarra utilizzando un coltello per imprimere alle corde un suono lamentoso, ripetendo tre volte la strofa “I’m going where the Southern cross the dog” (un luogo dove si incrociavano le vie ferroviarie della Mississippi Valley soprannominata “The yellow dog” e la ferrovia Southern).

La meta di Clarksdale è per lo più conosciuta per la The Crossroads, l’inconfondibile insegna con tre chitarre all’incrocio della Highway 61 e la 49 dove la leggenda narra che Robert Johnson abbia fatto quel famoso patto col maligno.

Per gli impenitenti amanti del Blues tappe obbligatorie saranno anche il Delta Blues Museum e il Rock n’Roll & Blues Heritage Museum, non trascurando di fare un salto da Cat Head, il luogo migliore dove informarsi sui concerti dal vivo della città, soprattutto al Ground Zero Blues Club o il Red’s.

Da Vicksburg a Leland con il The B.B.King Museum, procedendo ancora più nel cuore del Mississippi, non potrete non notare la presenza indefessa nella “Piccola Chicago”, la città di Helena, delle Sharecropper’s cabin, baracche dei mezzadri che lavorano ancora il terreno cantando, i murales decrepiti coi volti dei musicisti amati e i wide open, bettole di perdizione tra sesso e giochi d’azzardo e alcool che sono sempre stati di sincera ispirazione per i versi dei nostri bluesmen preferiti.                                                                                                                                                                                                                 

DA NATCHEZ A NEW ORLEANS (MISSISSIPPI)

A Natchez, dopo la prima tappa al Birthplace of the Blues, a 10 km ad est di Cleveland della US-8, potremmo quasi affermare che invece il Blues sia nato qui, sui mugugnii di Robert Johnson, Howlin’ Wolf e Charlie Patton.

Natchez è di fatto il più antico insediamento del Mississippi, fondato nel 1716 col nome di Fort Rosalie dai francesi, capitale commerciale dell’industria del cotone e luogo di ritrovo per eccellenza di gamblers, contrabbandieri e truffatori tanto che, non a caso, il juke joint più autentico della US Route 61 è posizionato proprio qui, l’Under the Hills Saloon, aperto fino a tarda notte tra chitarre e bottle side in movimento.

Ma eccoci arrivati a Jazzland, New Orleans!

La musica di New Orleans, sul finire del nostro polveroso viaggio, ruoterà essenzialmente attorno al jazz e alla figura di Louis Armstrong, la cui  tromba è esposta proprio qui, nella città che gli aveva dato i natali, al Museo del Jazz vicino al French Market.

Nonostante sembrerebbe ancora, come recita un cartello al suo ingresso, che New Orleans sia “Closed for storm” per l’uragano Katrina, il jazz suonato nelle viuzze sembra ostinatamente voler continuare a sfidare i disastri del maltempo, delle paludi, degli alligatori e delle zanzare.

Questa meravigliosa città è un intricato crogiolo di razze e culture che si mescolano dalla sua nascita, dagli indiani del mardì gras ai discendenti degli schiavi dell’Africa occidentale, dai native american agli immigrati europei.

A Borboun Street continuano ad agitarsi gli strumenti a fiato che si inseguono in un fitto intreccio di melodie dando origine a una musicalità collettiva festosa e ininterrotta.

La black music è ovunque, da Congo Square ( il quartiere dove gli schiavi neri, per Spike Lee, potevano ancora sentirsi africani) al Louis Armstrong Park fino al New Orleans Jazz & Heritage Festival.

Persino durante le funzioni funebri si respira e si soffre con la musica nei tradizionali Funeral Jazz, un’insieme di riti africani e cristiani che vengono accompagnati da strumenti jazz un tempo per rallegrarsi della rinnovata libertà di uno schiavo, oggi come celebration of life di amici e parenti.

Descrivere perciò il fascino di New Orleans è come descrivere la malinconia nel Blues: sostanzialmente impossibile.

Se volessimo però proprio voler descrivere questa musica dell’anima, sarebbe meglio farlo con le parole di altri come ad esempio quelle di Robert Palmer in Deep Blues:

Il Blues è sempre stato un linguaggio musicale complesso, raffinato, ingegnoso e estremamente sottile. Suonarlo richiede soprattutto doti particolari ed eccelse che solo pochi chitarristi bianchi, praticamente nessun cantante bianco e non troppi musicisti neri che hanno imparato a suonare e cantare al di fuori del delta sono in grado di raggiungere.

Percorrere la Route 61, per gli appassionati di questo genere musicale, è l’esperienza più emozionante che ci si possa regalare se non fosse altro che, in fondo, citando Sony Payne

Blues never went away.

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