Sembrerà strano, ma i grandi disastri della storia sono sempre accompagnati dall’eco di chi sostiene che ciò che è occorso era stato previsto. È quasi una regola, come se una tragedia ciclopica, senza la sua precognizione, non possa assurgere ad evento memorabile.
Non fa eccezione a ciò il naufragio del Titanic, il gigantesco transatlantico su cui moltissimi esponenti della ricca borghesia inglese si affannarono a prenotare un posto a bordo – con tanto di cabina! – in occasione del viaggio inaugurale verso l’America, anche solo per il gusto di raccontare di esserci stati, ignari del fatto che la città galleggiante più famosa di tutti i tempi non avrebbe fatto in tempo a raggiungere la rotta e sarebbe, invece, sprofondata negli abissi dell’Oceano Atlantico settentrionale, al largo delle coste del Canada, per aver urtato nella notte tra il 14 e il 15 aprile del 1912 la punta di un iceberg.
Ma cosa c’entra tutto questo con le premonizioni vi chiederete! Lo abbiamo detto in principio: non v’è tragedia che si rispetti senza qualcuno che l’abbia prevista; ed anche nel caso del Titanic andò proprio così. La tragedia del naufragio fu predetta ben quattordici anni prima che accadesse.
Il merito della predizione va attribuito ad un tale Morgan Robertson, autore di non particolare rilievo che nel 1898 pubblicò un breve romanzo dal titolo “The Wreck of Titan” (Il naufragio del Titan), nel quale si narrava del più grande transatlantico mai costruito, l’inaffondabile Titan, che – neanche a dirlo – in una notte di aprile aveva incontrato un iceberg sulla sua rotta, vi si era schiantato contro ed era tragicamente affondato.
La cosa sconcertante fu che quattordici anni dopo, proprio nel mese di aprile, quanto Robertson aveva raccontato nel suo libro con dovizia di particolari, si verificò in maniera così sorprendentemente simile al racconto da risultare quasi raccapricciante.
Dal nome della nave al periodo dell’anno dell’occorso disastro, il mese di aprile; dall’assenza di scialuppe di salvataggio sufficienti ad ospitare tutti i passeggeri presenti a bordo all’espressione utilizzata per riferirsi al gigante dei mari, “l’inaffondabile Titan”; dalla dinamica del sinistro alla modalità dell’impatto della grande nave contro l’iceberg avvistato; proprio tutto, quando la tragedia si consumò davvero, sembrava far gridare al presagio. Nè le poche divergenze tra il romanzo e la realtà, quali la rotta inversa, il numero delle vittime e le diverse condizioni atmosferiche, servirono a smentirlo.
Ad ogni modo, che si trattasse di un vero presagio o di una serie di sbalorditive coincidenze, questo naturalmente nessuno di noi può dirlo e sicuramente una “spiegazione” dell’accaduto – se di spiegazione si può parlare – fanno meno fatica a trovarla coloro che credono nel soprannaturale e che nel macabro presagio probabilmente riescono ad intravedere persino una nota di romanticismo drammatico dalle note dark; per tutti gli altri, invece, che sono propensi a far pendere l’ago della bilancia in favore del raziocinio e si sentono di escludere l’esistenza delle premonizioni, di certo si tratta di coincidenze belle e buone, ma francamente pensiamo davvero che nel profondo dell’intimità di tutti costoro, resista il barlume del dubbio irrisolto e la necessità inevasa di spiegarsi come abbia fatto quell’autore sconosciuto a raccontare, quattordici anni prima, la storia di una delle tragedie più discusse di tutti i tempi.
Copyright immagine in evidenza
Categorie:MetisMagazine