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L’ANTICA ARTE DEL TEATRO DI FIGURA. INTERVISTA ALLA BURATTINAIA VALENTINA VECCHIO

Si può scoprire quanto la bellezza animi ancora il nostro Paese attraverso alcuni dei suoi più fiammanti volti, come quello animoso di Valentina Vecchio, attrice biscegliese che sta felicemente continuando a rinnovare la tradizione del Teatro di Figura.

Il suo teatro itinerante è un tripudio di personaggi intriganti, impiccioni e divertenti,  pupazzi di stoffa e maschere di cartone che prendono vita attraverso la modulazione della sua fantasia e della sua voce.

La ricerca della pupara pugliese è una costante riformulazione del rito del focolare, inteso come momento intimo e semplice in cui instaurare con chi ascolta un legame affettivo implicito, un colorato dialogo con il suo inconscio più segreto.

In questa intervista Valentina Vecchio ci condurrà, come il Pifferaio magico coi più piccoli, dinanzi alle porte incantate dell’Arte del Teatro di Figura.

Ha iniziato il suo percorso con il Teatro in prosa, fino all’approdo a “La casa di Pulcinella” di Bari, dove ha avuto, tra i tanti insegnanti, il puparo internazionale Mimmo Cuticchio. Com’è esploso dentro di lei questo innamoramento per il Teatro di figura?

Ero molto incuriosita dal poco che avevo visto di teatro dei burattini. Al teatro casa di Pulcinella di Bari ho avuto la fortuna di passare del tempo in un luogo bellissimo circondata da burattini e scenografie di Luzzati sperimentando i primi approcci alle figure, qui ho avuto la possibilità di incontrare dei maestri che hanno cambiato il mio percorso professionale. Tra i docenti di quell’anno c’era Mimmo Cuticchio, mi sono appassionata molto al suo lavoro sul “cunto”, tanto da essere invitata quell’estate alla “scuola per pupari e cuntisti” legata al festival “la macchina dei sogni”sulle Madonie, vicino Palermo, in un’atmopsfera bellissima; il laboratorio era incentrato sulla narrazione, ma il festival proponeva spettacoli di teatro di figura di ogni tipo, pupi, marionette, burattini, ombre… avrei voluto imparare tutto. E così poco a poco mi sono avvicinata a varie tecniche,andando ad incontrare i maestri che potevano aiutarmi nel percorso, fino ad utilizzare insieme al racconto quelle che mi erano più congeniali.  Il verbo esplodere è decisamente adatto a descrivere la curiosità che è nata durante il primo dei molti viaggi.

Cosa significa per lei oggi preservare l’antica arte dei burattinai?

Significa non piegarsi solo a quello che è richiesto. La maggior parte delle persone non ha idea di quanto potrebbe amare i burattini, perché molto semplicemente non li conosce… si sa poco di quanto lavoro c’è dietro ogni scena, della dimensione artigianale e del fascino archetipico che portano. La colpa spesso è di noi burattinai stessi che ci dimentichiamo di quanto valore abbia il nostro lavoro e lo proponiamo come un giochetto da bambini, attenzione: con questo non sto sminuendo i bambini, anzi, anche per loro le potenzialità di questa tecnica vanno ben oltre il divertimento. Bisogna andare a fondo e incontrare gli altri. Soprattutto preservare l’antico non significa renderlo immutabile ma fare in modo che rimanga vivo conservando la sua essenza nella trasformazione. serve viaggiare molto e confrontarsi, serve avere un grande ascolto per promuovere lo stupore in chi guarda. Sappiamo tutti che qualcosa è inanimato ma crediamo per qualche tempo che possa prendere vita e questo è magia.

 

Qual è il pubblico al quale si rivolge un’attrice specializzata nel racconto fiabesco?

Potenzialmente ogni tipo di pubblico, perché la narrazione si nutre del rapporto con chi ascolta e può rivolgersi a chiunque modificando un po’ la lingua e ritmi. Certo è molto diverso essere di fronte a un adulto o un bambino piccolo, ma la maggior parte delle storie migliori possono essere raccontate a tutti, con piccoli accorgimenti. Ricordo bambini di 4 anni rapiti dal mito di Atena e Aracne , e parlare tra loro di come diventare un ragno possa essere quasi una libertà per chi ama tessere. La cosa importante è scegliere il tema giusto e creare una relazione nel qui ed ora, è stato molto emozionante raccontare storie in carcere, o nei reparti di pediatria, o con diversamente abili. Bisogna essere pronti a tutto, avere varie possibilità di approccio tra cui scegliere quella più adatta al momento. Di solito è interessante creare più livelli di comprensione in modo che ognuno possa ricavare qualcosa di adatto a sé. Le fiabe in particolare attingono da un terreno comune molto antico e profondo, non vanno prese alla lettera e per questo sono immortali e permettono a tutti di riconoscersi. In ogni momento della vita possiamo guardarci allo specchio e chiederci “che fiaba sono oggi”? io oggi mi sento pollicino,  con gli occhi aperti per cercare i sassolini che mi porteranno a Casa.

 

Una delle caratteristiche delle fiabe è quello di potersi appoggiare ad archetipi potenti e riconoscibili dentro ciascuno di noi. In che maniera la laurea in Psicologia l’ha agevolata a evocarli?

Senza rendermene conto ho anticipato parte della risposta nella precedente! In che modo la laurea possa avermi agevolato non lo so di preciso, di certo quello che ho studiato ha lasciato una traccia in me, anche perché la scelta era portata dall’interesse verso l’essere umano, ma non c’è un meccanismo cosciente alla base del suo entrare nel lavoro.  La mente è una sola, dunque ogni nostra esperienza fa da base per le successive, forse mi è rimasta qualche chiave di lettura? Può darsi, però non sempre serve interrogarsi sui meccanismi precisi con cui questo avviene… sarebbe di maggior interesse per una psicologa forse, ma ora che la mia scelta è di narratrice e burattinaia trovo più utile fidarmi dell’ intuizione e accogliere le spinte che possono arrivarmi. C’è l’attitudine all’ascolto, Poi ovviamente leggo molti libri e articoli che riguardano l’educazione e lo sviluppo del bambino, le interpretazioni delle fiabe  secondo differenti approcci e non smetto di farmi domande. Che poi anche l’attore a suo modo si fa domande sui comportamenti umani.

 

 Da dove trae ispirazione perciò per scrivere le storie che animerà?

Le ispirazioni possono essere molteplici, a volte parto da racconti che trovo nei libri o ascolto, a volte c’è un’immagine o una situazione intorno a cui creare il resto, a volte sono suggestioni nate dai discorsi con altri. Ci sono storie che poi prendono forme più precise, altre che restano in forma di studio e sono lì da parte ma che sono utili come esercizio. Le risposte e i comportamenti dei bambini che incontro sono poi utilissimi anche per il lavoro con gli adulti.

Nel film “Magic”, il burattino del personaggio interpretato da Anthony Hopskins sembra ad un certo punto acquisire una sua autonomia. Come mai i pupari ritengono che i propri burattini conquistino ad un certo punto un pensiero cosciente?

L’idea che un burattino o un pupazzo possano prendere un proprio pensiero è abbastanza ricorrente ed il motivo è uno solo: accade veramente. La metafora del burattino che fa tutto quello che gli dici è profondamente sbagliata, innanzitutto per questioni fisiche: tu provi scegliere come vuoi che si muova, ma poi il suo modo di essere (peso, materiale, stile, risultato tecnico) condizionerà la tua scelta, poi per una questione di carattere del personaggio. Più studi e manovri un burattino, più scopri delle caratteristiche che si sono presentate in maniera imprevedibile. Si crea un grandissimo spazio di libertà nel quale può venir fuori molto più di quanto prevedi,prima ancora che tu ne sia cosciente, capita spesso di sorprendersi delle proprie improvvisazioni! Questa caratteristica del burattino, a metà strada tra me e fuori di me, è utilissima per il suo utilizzo in ambito educativo perché permette di tirare fuori dei vissuti molto personali e profondi in modo giocoso o anche semplicemente di esprimere parti della propria personalità nascoste per timidezza o perché ritenute non accettabili… certo senza arrivare alla situazione limite dell’esempio da te citato!

Ci potrebbe presentare e descrivere alcuni dei suoi?

Il più “famosi” tra chi mi segue sono nonna Willie ed Evaristoermenegildoeugenioeufrasio-pergliamiciPasquale.  Nonna Willie è un personaggio da contatto… non ha uno spettacolo suo eppure è il pupazzo più richiesto, una piccola nonnina di gommapiuma , esperta di modi di dire e un po’ sorda (a volte), lei vive di vita sua e di relazione con chi le si avvicina. Pasquale invece è il personaggio viaggiatore e un po’sciocco dello spettacolo “Fortunadovesei” , ha una bellissima testa di legno scolpita durante un laboratorio con Brina Babini, spesso mi è capitato di portarlo con me in viaggio anche senza che fosse in scena, per esempio durante un cammino di 5 giorni sul Gargano del quale sono rimaste immagini e video, si sente molto sfortunato, ma gran parte della sua sensazione è data dal non saper riconoscere le opportunità intorno a lui, prende tutto alla lettera, travisa e si mette nei guai. E poi c’è la gazza ladra… il mio primo pupazzo… è ormai rovinata e imperfetta, ma sono molto affezionata a lei che ha sempre rappresentato la mia libertà.

 

(Copyright immagine in evidenza)

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