È il 1 settembre del 1994 quando “Il Postino”, opera ultima del comico Massimo Troisi, viene presentato al Festival di Venezia, per trovare poi ingresso nelle sale cinematografiche pochi giorni dopo.
Un film nato da un incontro fatale, quello tra Troisi e la lettura del romanzo “Ardente paciencia” dello scrittore cileno Antonio Skàrmeta, del quale l’attore e regista volle comprare i diritti per realizzare il suo sogno di veder trasformata quella storia in pellicola.
Le riprese del film cominciarono nel marzo del 1994, subendo un importante ritardo legato alle già precarie condizioni di salute di Massimo Troisi, attinto da gravi problemi cardiaci, e si protrassero, serrate, per ben dodici settimane, con l’ultimo ciak battuto il 3 giugno di quello stesso anno.
L’ultimo ciak di sempre per Massimo Troisi, giacché egli morì il giorno seguente presso la casa della sorella ad Ostia, stroncato da un infarto fulminante.
La storia si svolge nello scenario naturale di un’isola del sud d’Italia, la meravigliosa Salina nel film, dove negli anni del secondo dopoguerra si rifugia in esilio Pablo Neruda con la sua giovane consorte Matilde. È in tale occasione che a Mario Ruoppolo, disoccupato, figlio di un pescatore locale, che non conta di seguire le orme paterne, viene affidato l’incarico di consegnare la posta al poeta, dalla cui figura Mario è decisamente incuriosito ed affascinato.
Mario stringe pian piano una salda amicizia con Neruda ed è proprio grazie a lui ed al “reimpiego” delle sue “metafore” che conquista Beatrice, la barista della locanda, che gli si concede trasgredendo alle disposizioni della zia.
Mario e Beatrice convolano a nozze e Neruda è il loro testimone.
Nel frattempo il suo esilio viene revocato ed il poeta può ritornare in patria. Nel corso dei cinque anni che seguono Mario continua a seguirne le vicende sui cinegiornali, alla radio, senza alcun contatto, finché non gli perviene una lettera da parte del segretario del poeta che gli chiede i libri e gli oggetti lasciati sull’isola.
Mario aspetta un figlio e decide di registrare per l’amico lontano i suoni di quel luogo che ha suggellato l’inizio della loro amicizia.
È l’epoca della Democrazia Cristiana, di cui Mario non condivide gli ideali, ed egli è infatti sempre più impegnato nel partito comunista.
Cinque anni dopo, Neruda e la moglie fanno ritorno all’isola e si recano nella locanda di Beatrice, dove trovano Pablito, il figlio di Mario. Scoprono però che Mario non lo ha mai conosciuto e nemmeno visto nascere. È morto a Roma durante un comizio in cui doveva leggere una poesia in onore dell’amico Neruda.
Finisce così la magistrale pellicola interpretata da quella che senza dubbio può definirsi un’icona del cinema italiano di tutti i tempi. Una pellicola che oltre a ricevere importantissimi riconoscimenti ha registrato incassi da capogiro ed è ad oggi una delle opere in assoluto più riuscite che il cinema italiano possa vantare.
Chissà se Troisi sentiva durante le riprese che di lì a poco sarebbe arrivata davvero la sua fine, così come nel suo film accadeva a Mario.
Questo possiamo solo ipotizzarlo; non soltanto per come va a finire la storia di Mario, ma anche per la smania di Massimo Troisi di portare a termine le riprese anche a discapito di un intervento cardiologico urgente e programmato che egli però ha inteso rimandare per non perder tempo, quasi avesse sentore di non averne abbastanza e volesse fare testamento per lasciare un’impronta indelebile su questa terra.
Non lo sapremo mai. Quel che è certo è che non potremo mai dimenticare quel ragazzo solare con i ricci sulla testa e quel sorriso naturale che lo rendeva tanto amato tra la gente.
Quel che è certo è che non potremo mai dimenticare un postino così speciale.
Copyright foto: Il Postino
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