“Tutto il mondo è un palcoscenico, e gli uomini e le donne sono soltanto attori. Hanno le loro uscite come le loro entrate, e nella vita ognuno recita molte parti, ed i suoi atti sono sette età”.
Ha inizio così il monologo di Jacques, protagonista della commedia teatrale “Come vi piace” (As you like it) di Shakespeare. Attraverso la sua voce, il drammaturgo e poeta inglese, soprannominato il Bardo o il Cigno dell’Avon, ci trasmette un messaggio profondo sul valore della vita e sul nostro ruolo in essa. L’opera, terza del gruppo delle “commedie romantiche” shakespeariane, insieme con le altre “Tanto trambusto per nulla” (“Much Ado about Nothing”), “Dodicesima notte (o quello che volete)” (“Twelfth Night; or, What You Will”) e “Le gaie mogli di Windsor” (“The Merry Wives of Windsor”), fu composta tra il 1598 e il 1600 e pubblicata nel cosiddetto “primo in-folio” uscito nel 1623, sette anni dopo la morte del poeta, a cura di due suoi amici e colleghi, gli attori John Heminge e Henry Condell. William Shakespeare l’ha tratta chiaramente da un romanzo di Thomas Lodge, apparso poco prima (1590) col titolo di “Rosalinda”.
LA TRAMA
Il vecchio Duca, spodestato dal tracotante fratello Federigo, con pochi cortigiani rimastigli fedeli trova rifugio nella foresta di Arden. Sulle sue tracce la figlia Rosalinda e l’inseparabile Celia, erede dell’usurpatore. L’ambizione, l’invidia e la cupidigia che avvelenano i rapporti di corte sono ormai lontani. Complice la magica atmosfera del bosco, Eros manifesta tutta la sua potenza: fra i protagonisti si intrecciano storie d’amore (Rosalinda – Oliviero, Silvio e Febe, duca Pietraccia e Aldrina), gli scellerati si redimono e dopo innumerevoli peripezie il legittimo duca tornerà in possesso dello scettro. Nel solco della tradizione arcadica cinquecentesca, Shakespeare ci fornisce una rappresentazione, attraverso i modi di agire e di sentire dei personaggi, del contrasto tra la vita di corte, convulsa, complicata, insidiosa e la vita di campagna, all’aperto, nella foresta a contatto con la natura; del contrasto tra mondo contadino e aristocratico.
LA FIGURA DI JACQUES
Jacques è un signore al seguito del Duca che, durante il corso della vicenda, viene esiliato dal fratello usurpatore. Fedele al suo signore, si rifugia con lui nel bosco di Arden.Un personaggio secondario, quasi marginale, ma un uomo dotato di una grande saggezza e allo stesso tempo un uomo molto malinconico.È innamorato di una ragazza di campagna, tuttavia non si fa avanti a conquistare il suo cuore. Nel corso della narrazione lo vedremo disinteressarsi ai piaceri della vita, per dedicarsi, a fine commedia, ad una vita religiosa e meditativa. Celebre il suo discorso sulle sette età dell’uomo, sulla grande similitudine tra la vita e il teatro, tenuto alla presenza del Duca nell’Atto II (Scena VII). Dall’infanzia a quella che lui definisce “la seconda infanzia”, ovvero l’oblio e la morte.
Tutto il mondo è un palcoscenico, e gli uomini e le donne sono soltanto attori. Hanno le loro uscite come le loro entrate, e nella vita ognuno recita molte parti, ed i suoi atti sono sette età. Prima, l’infante che miagola e vomita in braccio alla nutrice. Lo scolaro poi, piagnucoloso, la sua brava cartella, la faccia rilucente nel mattino, che assai malvolentieri striscia verso la scuola a passo di lumaca. E poi l’innamorato, che ti sospira come una fornace, e in tasca una ballata tutta lacrime sopra le ciglia della sua adorata. Poi, un soldato, armato dei moccoli più strambi, un leopardo baffuto geloso dell’onore, lesto di mano, pronto a veder rosso, che va a cercar la bubbola della reputazione persino sulla bocca d’un obice. E poi il giudice, con un bel ventre tondo, farcito di capponi, occhio severo, barba ritagliata a regola d’arte, gonfio di sentenze e di luoghi comuni: e in questo modo recita la sua parte. L’età sesta ti muta l’uomo in magro pantalone in ciabatte, le lenti al naso, la borsa sul fianco, e quelle braghe usate da ragazzo, ben tenute ma ormai spaziose come il mondo per i suoi stinchi rattrappiti, e il suo vocione da maschiaccio che ridiventa un falsetto infantile, un suono fesso e fischiante. L’ultima scena infine, a chiuder questa storia strana, piena di eventi, è la seconda infanzia, il mero oblio, senza denti, senz’occhi o gusto, senza niente.
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